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Cinema

La musica in un film è come una “sceneggiatura in ombra”

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Il compositore Marco Betta si racconta

Il compositore che scrive una colonna sonora si sente come uno sceneggiatore, cambia solo la scrittura che diventa musica, in una sorta di diario intimo su cui scrivere le emozioni personali. Hai bisogno di fermarti un attimo dopo averlo ascoltato nella sua narrazione, spiazza, in positivo, l’approccio empatico di questo grande compositore di fama internazionale che mantiene salde le sue radici a Palermo,  Marco Betta; 54 anni compiuti il 25 luglio scorso, agli amici più intimi ricorda che è nato a Enna, è qui che si trovava la sua famiglia per lavoro. Insegna composizione al Conservatorio Bellini di Palermo e Teoria e pratica della Colonna Sonora al Master of Music  all’Università Luiss di Roma. La musica per film è la materia che lo fa letteralmente amare da un pubblico di cinefili e di musicisti in genere, in particolare da decine di giovani, appassionati di cinema, che vogliono imparare a scrivere e assemblare note musicali su immagini.

Le opere che amo di più

Tra le opere che ama di più Marco Betta “Il Tabarro e la Turandot” di Giacomo Puccini e il teatro di Mozart. Dei registi di cinema Kubrick, Bergman e Rosi. Ama la lettura, e viaggia per lavoro. E’ legato profondamente alla figlia e ai genitori. Piscina e palestra lo tengono sempre in forma nella mente e nel fisico. Palermo è la sua base per esplorare il mondo e tornare sempre.

Ma come si forma nella musica Marco Betta fino a specializzarsi nelle colonne sonore? È necessario tornare indietro fin alla sua infanzia, quando sentiva forte l’attrazione naturale verso la musica, iniziando a studiare chitarra. Poi l’incontro con uno dei più grandi musicisti che ha avuto la nostra isola, Eliodoro Sollima, che per primo intuì la sua vocazione di compositore; studia anche da direttore d’orchestra e di coro. Oggi, Sollima, padre di Giovanni, virtuoso del violoncello, è ricordato nei concorsi musicali di Bagheria ed Enna che portano il suo nome e a Marsala, sua città natale che gli ha dedicato il teatro comunale.

Gli studi

Gli studi al conservatorio di Palermo con Eliodoro Sollima e il perfezionamento a Firenze con Armando Gentilucci e a Città di Castello con Salvatore Sciarrino, fanno di Marco Betta, uno dei compositori più apprezzati, per avere scritto partiture per opere liriche, orchestre e soprattutto per il cinema. Il suo debutto come compositore nel 1982 al Festival Spazio Musica di Cagliari. Uno dei riconoscimenti più importanti e prestigiosi della sua carriera arriva nel 1994 dove per 8 anni, ricopre l’incarico di Direttore Artistico del Teatro Massimo di Palermo fino al 2002. Betta si impegnò attivamente nel progetto della sua riapertura che avvenne dopo 23 anni, il 12 maggio del 1997 con un concerto dell’Orchestra e del coro del teatro, diretti da Franco Mannino e dei Berliner Philharmoniker diretti da Claudio Abbado.

È accademico effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Nel 2015 ha inaugurato la stagione sinfonica, assieme al regista Roberto Andò, firmando l’opera per musica e film: “Il Quadro Nero”, ispirata al dipinto della Vucciria di Renato Guttuso, con i testi di Andrea Camilleri.  Il quadro nero è soltanto uno dei tanti lavori che Betta ha scritto per e con il regista Andò; tra loro anche una profonda amicizia. Le prime sperimentazioni di musica per film nel 1990 in uno spettacolo maestoso, “La sabbia del sonno”, che ha girato tra Palermo, Roma e Parigi.

Le partiture

E poi “Il Manoscritto del Principe” nel 2000, di cui ha scritto una versione per trio e un’altra per violino e pianoforte utilizzate a Verona per una rappresentazione di balletto; nel 2006 “Sette storie per lasciare il mondo“ con debutto a Catania e  “Viaggio segreto”; nel 2013 con il film “Viva la libertà” ottiene la nomination come migliore colonna sonora. Marco Betta è emozionato perchè il prossimo 20 settembre uscirà l’ultimo film del regista Andò, “Una storia senza nome”, e anche questa volta firma lui le musiche; è molto soddisfatto e ci dice che forse non ha mai composto nella sua vita una colonna sonora così bella come per questo film. Musiche anche per il regista Ruggero Cappuccio, con un opera in un atto dal titolo “Natura viva” presentato nel Maggio Musicale Fiorentino nel 2010 e con le musiche del film documentario “Paolo Borsellino, essendo stato” trasmesso recentemente in t; e ancora la fiction “Maria Montessori”, andata in onda su  Canale 5 e “Le cose che restano” di Gianluca Tavarelli per Rai 1.

Ma tornando al suggestivo titolo della “sceneggiatura in ombra”, gli inserimenti musicali in un film sono come dei racconti intimi per il compositore Betta; essenziali ma intensi; devono raccontare molto del musicista, come in una sorta di viaggio introspettivo. Il punto in cui inserirsi è fondamentale ci confessa Marco Betta; soltanto con la musica puoi evocare suggestioni ed emozioni che le parole non potranno mai dare.

Betta fa continue incursioni nel mondo classico, la musica antica è parte fondamentale del suo percorso; cita il “De Musica” di Sant’Agostino e i suoi occhi si commuovono. E poi il melos greco, le tragedie classiche, una sorta di ritorno alle origini con inevitabili richiami alla memoria dei canti dei carrettieri siciliani simili a quelli dell’antica Persia, gli stessi che Virgilio evoca nelle bucoliche.

Dal passato al futuro Betta guarda con particolare attenzione alla musica elettronica e al sound design come nuove soluzioni per sperimentare e scrivere le prossime colonne sonore. Betta si può definire un compositore inquieto, perché non è mai pienamente soddisfatto di ciò che realizza. Sente il continuo bisogno di tornare alla scrittura musicale e rivederla. Una inquietudine che poi gli fa raggiungere un senso di pace quando trova la giusta quadra.

La musica per lui deve essere essenziale e quindi funzionale all’idea del regista e dello sceneggiatore che la concepisce. Ecco perché il compositore di colonne sonore può definirsi co-autore, alla stessa stregua del regista. “Quando scrivo, ci dice, cerco di dimenticare tutte le strutture e sovrastrutture della tecnica compositiva e mi lascio andare alle suggestioni che una sequenza di immagini riesce a darmi”. Tra i  suoi musicisti preferiti Schubert, Schumann, Stravinsky, Berg, Bach, Beethoven, Mozart, Mahler, Bellini, Verdi, Puccini. Mentre i padri della musica per film per Betta sono:  Sergei Prokof’ev, Bernard Herrmann, Nino Rota, Ennio Morricone e Philip Glass.

Il compositore palermitano inoltre ha studiato molto anche il compositore russo Al’fred Garrievič Šnitke che, con il suo approccio eclettico, riuscì a fondere magistralmente musica di differenti stili tradizionali e contemporanei.  Per Betta uno dei più grandi è anche il giapponese Toru Takemitsu, che ha composto le musiche per oltre 100 film. Marco Betta sostiene che il compositore deve utilizzare i materiali della musica:  scale, accordi e intervalli come una sorta di architetto che immagina i suoi progetti; utilizza ciò che serve in funzione di ciò che deve realizzare.

Grandi progetti in un orizzonte prossimo che potrebbero fare di Palermo il luogo ideale per continuare a comporre straordinarie musiche per film.

 

Cinema

Arriva in sala “Un altro ferragosto”

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Arriva in sala dal 7 marzo l’attesissimo sequel di Ferie di agosto. Paolo Virzì omaggia Natoli e Fantastichini nell’affollato cast che riunisce gli attori dell’epoca (Silvio Orlando, Sabrina Ferilli, Laura Morante, Paola Tiziana Cruciani, Gigio Alberti) con le new entry Christian De Sica, Andrea Carpenzano, Vinicio Marchioni, Emanuela Fanelli e Anna Ferraiol Ravel)

“Un Altro Ferragosto” di Paolo Virzì

I Molino e i Mazzalupi. Alzi la mano chi non ricordi i cognomi delle due famiglie agli antipodi che si fronteggiavano a Ventotene in “Ferie d’agosto“, il film di culto di Paolo Virzì che fotografava alla perfezione due stili di vita e due concezioni d’Italia datate 1996.

A distanza di 28 anni e a furor di popolo cinefilo rieccole ancora insieme in Una altro ferragosto, l’attesissimo sequel diretto dal regista livornese e dal quale mancano Piero Natoli ed Ennio Fantastichini (ma nel film appaiono in foto e in qualche nostalgica sequenza del primo film) nel frattempo prematuramente scomparsi. Cast affollatissimo (le new entry sono Christian De Sica, Andrea Carpenzano, Vinicio Marchioni, Emanuela Fanelli, Anna Ferraiol Ravel) e stessa location, con l’isola laziale in fermento per il matrimonio di Sabry Mazzalupi, la goffa figlia del bottegaio romano Ruggero, diventata una celebrità del web e promessa sposa ad un volgare speculatore tecnologico.

Mentre il vecchio giornalista dell’Unità, Sandro Molino (Silvio Orlando) rivede dopo anni il figlio, un 26enne imprenditore digitale che ritorna dall’America col marito fotomodello proprio mentre l’Alzheimer inizia a dare segnali preoccupanti. Due tribù di villeggianti in bilico tra passato, presente e futuro con le storie e la Storia d’Italia a darsi simbolicamente la mano in un trapasso generazionale non sempre convincente per toni e scrittura. E il senso della morte, incombente, a tramandare quel bisogno d’affetto e di condivisione che regola tutti i personaggi di “Un altro ferragosto“.

“Mi sono interrogato sul senso misterioso di aver finalmente deciso solo ora di girare questo sequel” dice Virzì che ha presentato il film proprio in occasione del suo 60mo compleanno. “Piero Natoli subito dopo il primo film voleva farne un altro ma a me sembrava una furbata. Gli promisi che comunque lo avremmo girato negli anni ed eccomi qui. Ho costruito sul lutto di due amici indimenticabili un romanzo d’appendice dell’800 che mescola vicende familiari e politiche”. “Il film si è scritto con la collaborazione di tutti gli attori che in tutto questo tempo hanno pensato a che fine avessero fatto i loro personaggi” continua il regista. “Un altro ferragosto è un bilancio amaro sul tempo che passa inesorabilmente e che dimostra che la maturità non sempre arriva con l’avanzare dell’età che anzi rende più fragili. Scrivendolo- con Francesco Bruni e Carlo Virzì– ho riflettuto sulla mia vita e sul mio tempo. Credo sia un miracolo che io sia ancora vivo a 60 anni, non me lo sarei mai aspettato” scherza ma non troppo Virzì.

Differenze con Ferie d’agosto? “Quello era un film di passioni e sentimenti, di emozioni più che di tecnica. Dopo 28 anni credo di aver imparato la grammatica cinematografica e questo è un film girato in modo completamente diverso. Con Ventotene e il suo passato (nel film si ricorda che nell’isola, tra il 1932 e il 1943 furono costretti al confino 1000 oppositori che redassero il manifesto per l’Europa libera e unita) protagoniste e simbolo di quella convivenza civile del dopoguerra che dialoga coi nostri tempi dove la democrazia è in crisi e i nazionalismi avanzano”.

Ma le utopie della sinistra sono definitivamente franate, chiede qualcuno in riferimento al finale amaro del film. “Nel racconto ostinato di Sandro Molina a Tito, il nipotino di 10 anni che dimostra di recepirlo, forse c’è la speranza che non tutto sia perduto. Chissà, forse sarà lui in futuro il nuovo leader della sinistra…” .

Prodotto da Lotus Production e RaiCinema, Un altro ferragosto uscirà il 7 marzo distribuito da 01 in più di 400 copie.

Claudio Fontanin (Fonte: Cinemaitaliano.info)
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Cinema

L’85% degli under 24 in sala negli ultimi 3 mesi

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La generazione Z artefice del ritorno di fiamma tra italiani e cinema: oltre 6 italiani su 10 ci sono infatti andati almeno una volta negli ultimi 3 mesi, ma la percentuale si impenna oltre l’85% se si considerano i ragazzi tra i 18 e i 24 anni e oltre il 75% per le persone tra i 25 e i 34 anni. Particolarmente rilevante anche il pubblico dei “Boomers”. Tra i segreti del successo, l’investimento sulla stagione estiva.

CINEMA - L’85% degli under 24 in sala negli ultimi 3 mesi

La nuova luna di miele tra italiani e cinema si celebra nel segno della Generazione Z: se infatti nel 2023 si è registrato un boom di spettatori nelle sale (+60% sul 2022*), con presenze superiori persino al periodo pre-Covid, molto si deve ai giovanissimi. Oltre 6 italiani su 10 sono infatti andati al cinema almeno una volta negli ultimi 3 mesi, ma la percentuale si impenna oltre l’85% se si considerano i ragazzi tra i 18 e i 24 anni e oltre il 75% per le persone tra i 25 e i 34 anni. A rilevarlo, alla vigilia della notte degli Oscar, è l’istituto di ricerca Eumetra, che ha realizzato un’indagine qualitativa sul “nuovo spettatore”, analizzando anche le possibili cause che hanno riportato in auge una forma di intrattenimento che molti consideravano in via di estinzione.

Chi pensava che il cinema avrebbe finito per soccombere sotto la scure della pandemia e delle piattaforme di streaming deve dunque ricredersi. Il cinema” – ha commentato Matteo Lucchi, CEO di Eumetra – “è ancora un’esperienza a cui gli italiani non vogliono rinunciare e che, come testimoniato dalla nostra analisi, sta facendo breccia soprattutto tra i ragazzi, ma non solo. Ci sono diversi tipi di spettatore a cui l’industria cinematografica deve e può rivolgersi. Questa ripresa rappresenta non solo un’ottima notizia per i player del settore, ma anche un’opportunità per gli investitori pubblicitari interessati a raggiungere un determinato target“.

Se è vero infatti, secondo quanto evidenzia la ricerca Eumetra, che la frequentazione delle sale diminuisce progressivamente all’aumentare dell’età – tra i 35 e i 44 anni ci va il 66,5% delle persone, tra i 45 e i 54 anni il 61,4%, tra i 55 e i 64 anni il 60,5% e infine tra gli over 64 il 55% – è altrettanto vero che esiste una fetta consistente di aficionados cinefili “maturi”: un quarto circa dei cosiddetti Boomers frequenta le sale cinematografiche con grande regolarità, rappresentando un segmento di pubblico di grande rilevanza.

Ma, al di là dei distinguo generazionali, cosa ha concretamente riportato gli italiani al cinema? Secondo l’analisi dell’istituto di ricerca sono numerosi i fattori che hanno portato a questi risultati: tra questi, l’iniziativa Cinema Revolution, promossa dal Ministero della Cultura e da tutte le componenti del comparto cinematografico, che prevede il prezzo ridotto del biglietto per un certo periodo di tempo e che, nel solo periodo giugno-settembre 2023, ha portato un milione e mezzo di presenze (+36,67% sullo stesso periodo 2022) in sala, di cui 1,1 milioni per i soli film nazionali. A questo si aggiunge che, per la prima volta nel 2023, si è scelto di investire sulla programmazione estiva, con sale aperte e uscita di titoli particolarmente attesi – tra luglio e agosto sono usciti due titoli particolarmente attesi come “Barbie” e “Oppenheime“r – che ha fatto scoprire (o riscoprire) agli italiani il gusto del cinema anche in vacanza. Nel corso di tutto l’anno, è inoltre stata introdotta un’ottimizzazione da parte della distribuzione dell’uscita dei film, non solo attraverso la creazione di veri appuntamenti al rilascio dei titoli più importanti della stagione (da ultimo, “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi), ma anche con un’offerta diversificata in funzione delle diverse tipologie di pubblico. Infine, non da ultimo, sono state adottate strategie di prezzo incentivanti in alcune sale.

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Cinema

Margherita Hack raccontata in “Margherita delle stelle”

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Margherita delle stelle è il titolo del film, per la regia di Giulio Base, che ha come protagonista Cristiana Capotondi nel ruolo di Margherita Hack. Il film evento, in onda il 5 marzo su Rai1, rende omaggio alla celebre astrofisica, morta il 29 giugno del 2013, e rinominata “l’amica delle stelle”.

Il film racconta in modo emozionante e suggestivo la straordinaria vita e carriera di Margherita Hack. Partendo dalla sua infanzia, esplora gli anni di giovinezza in cui viveva come una ragazza libera e anticonformista, per poi seguire il suo percorso accademico fino a diventare la prima donna a dirigere l’Osservatorio Astronomico di Trieste.

Membro anche dell’Accademia dei Lincei, dell’Unione Internazionale Astronomi e della Royal Astronomical Society, Margherita Hack è stata compianta in tutto il mondo dopo la sua scomparsa, quando si è scoperto dei problemi cardiaci nuovamente aggravati che sono stati la causa della morte.

Margherita Hack: la causa della morte dell’astrofisica

La vita di Margherita Hack è per lo più conosciuta, ora anche grazie al film Margherita delle stelle con Cristiana Capotondi. La vera causa della morte dell’astrofisica, tuttavia, non è così nota.

Da tempo, infatti, erano conosciuti i problemi cardiaci che l’affliggevano, anche se per un notevole lasso di tempo le sue condizioni di salute sembravano migliorate. In realtà, nella settimana precedente alla sua dipartita, Margherita Hack era stata ricoverata d’urgenza a Trieste.

La notizia del decesso dell’astrofisica è arrivata il 29 giugno 2013, con una nota del marito di una vita Aldo della Rosa, con cui è stata sposata per 70 anni. La causa della morte è quindi da ricondurre alla condizione cardiaca di cui soffriva da tempo.

Margherita Hack, tuttavia, ha sempre affermato di non aver paura della morte: ne è riprova la sua scelta, poco tempo prima, di rifiutare un intervento al cuore rischioso ma che avrebbe potuto migliorare in parte la sua condizione. In un’intervista a Il Piccolo aveva spiegato:

“L’intervento poteva essere risolutivo, ma presentava anche dei rischi: l’idea mi è venuta di notte, semplicemente. Mi sono resa conto che in ospedale mi mancavano la mia attività, mio marito, i miei animali e tutte quelle comodità, privacy compresa, che in ospedale non ci sono. Una vita a metà. Qui a casa, magari al rallentatore, ma faccio le cose normali. E allora, ho pensato: un’operazione a rischio, un’altra degenza e poi una lunga convalescenza? No, come va, va. Meglio un giorno da leoni”.

 

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