Connect with us

Teatro

Ricordando l’attore Luigi Maria Burruano

Published

on

Presente alla proiezione del video “Gigi ‘u rancutanu” di Giuseppe Moschella e del film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana a “Casa Cultura” di Monreale. Abbiamo ricordato l’attore Luigi Maria Burruano con alcuni interventi di: Giuseppe Cangemi (Ass. Cultura), il regista Giuseppe Moschella, gli attori Gino Carista ed Emanuela Mulè. Ecco il mio contributo al grande artista scomparso.
 
Se n’è andato nel sonno, a 69 anni Luigi Maria Burruano, uno degli attori di cinema e teatro più rappresentativi della Sicilia. Palermo perde un pezzo di storia popolare ma anche uno straordinario talento artistico che ha saputo interpretare probabilmente l’artista vero, quello che spesso usa la pancia e i muscoli facciali per interpretare ruoli estremi, cuciti per lui dalla fiction. Nella sua ultima intervista a Repubblica avvenuta nel novembre dello scorso anno, Burruano dichiarò: “….tra i 20 e i 50 anni la vita me lo sono mangiata a morsi grazie al mio lavoro. Lavoravo per godermi la vita e l’ho vissuta fino in fondo. Ho avuto qualche problema che bene o male ho superato, ho un equilibrio mentale e fisico fortissimo”. La sua casa all’Uditore oggi è diventata quasi una meta obbligata per chi non soltanto ha lavorato con lui, ma per le tante persone che lo hanno apprezzato in televisione, al cinema e in teatro. Figlio di un medico dentista, Burruano sognava di diventare un pianista nell’adolescenza. Assisteva in casa alle lezioni tenute da un musicista alla sorella ma riconobbe di non avere il suo talento; così per puro caso venne a conoscenza che un bravo regista popolare, come Nino Drago, stava mettendo in piedi una modesta compagnia teatrale. La carriera di Burruano cominciò in uno scantinato di via Scarlatti, provando e riprovando “L’aria del continente”. C’è tanta bottega nel percorso artistico – professionale di questo straordinario attore, che intuì fin da giovane il potenziale talento di tanti ragazzi della periferia. Con loro fece le esperienze più difficili. E’ lo stesso Aldo Morgante, fondatore del teatro Dante che fra pochi mesi tornerà a splendere e oggi direttore artistico del teatro Al Massimo, che lo volle in scena con lo spettacolo dal titolo: “Sangue e latte” liberamente ispirato alla “Cavalleria rusticana”. Protagonisti i giovani dell’antico quartiere della Vucciria; molti con precedenti penali ma con una straordinaria voglia di cimentarsi nella recitazione. Erano gli antesignani di “Mery per sempre”. Il volto e la storia di Burruano sono legati a un ruolo, nello spettacolo “Palermo oh cara”, che fu il suo cavallo di battaglia: “Rancu Tanu”. Nell’intervista a Mario Di Caro gli manifestò il desiderio di portarlo in scena al teatro Biondo; desiderio che rimase in aria. Ecco la sua testimonianza: «Io mi portavo dietro, sin da piccolo, la figura di uno zoppo che faceva il gioco “U sutta 90”: se con i tre numeri estratti si totalizzava meno di 90 si vincevano le caramelle. Era una persona di una cattiveria da fare paura, noi ragazzini ci spaventavamo, ma aveva un modo di raccontare storie inventate da lui che ci affascinava. La sua carta d’identità era il fiasco di vino che aveva sempre con sè». Solo per citare una parte del suo curriculum: l’esordio al cinema nel 1970 nel film, diretto da Dacia Maraini, “L’amore coniugale” con Tomàs Miliàn. Indimenticabile nel 1997 nell’ottavo episodio della serie tv “La piovra 8” dal titolo “Lo scandalo”; e poi con Tornatore ne: “L’uomo delle stelle”, “Miracolo a Palermo!” di Beppe Cino, “Nowhere” di Luis Sepúlveda, “Il ritorno di Cagliostro” di Ciprì e Maresco, “Quo vadis, baby?” di Gabriele Salvatores. In tv Burruano ha lavorato anche nelle serie Turbo e Incantesimo 4. Zio dell’attore Luigi Lo Cascio, a lui si deve la scoperta degli attori Tony Sperandeo e Giovanni Alamia.
La sua casa all’Uditore oggi è diventata quasi una meta obbligata per chi non soltanto ha lavorato con lui, ma per le tante persone che lo hanno apprezzato in televisione, al cinema e in teatro.

da sinistra: Ivan Scinardo, Gino Carista, Emanuela Mulè, Giuseppe Moschella

Ivan Scinardo, Emanuela Mulè

In Evidenza

Il racconto dell’ancella di Viola Graziosi e il distopico

Published

on

Viola Graziosi è un’attrice immensa e quando si fa dirigere dal marito, il grande attore di teatro Graziano Piazza, lo diventa ancora di più, in una performance artistica che impegna voce e corpo in quasi due ore di spettacolo.

Margaret Atwood

Interpretare June Osborne, la protagonista del racconto della scrittrice canadese Margaret Atwood, “Il Racconto dell’ancella”, andata in scena al teatro Libero di Palermo, non è facile, anche perché il pubblico negli ultimi anni ha tributato un grande consenso al romanzo distopico del 1985, che ha venduto milioni di copie, adattato per il grande schermo nell’omonimo film diretto da Volker Schlöndorff e nel 2017 per la televisione.

The Handmaid’s Tale

Tutte le stagioni sono su Prime video sotto il titolo di The Handmaid’s Tale. Il suo ideatore Bruce Miller, forse non si aspettava tanto successo, grazie all’attrice protagonista Elisabeth Moss che interpreta June. Sono molto simili la Moss e la Graziosi, nel cinema la prima è  dentro il regime teocratico totalitario di Gilead, catturata mentre tentava di fuggire in Canada con suo marito, Luke, e sua figlia, Hannah. Grazie alla sua fertilità, diventa una ancella del comandante Fred Waterford (da qui il nome Difred) e sua moglie, Serena Joy; l’altra Viola Graziosi, in Teatro, si immerge nel testo, tradotto da Camillo Pennati.

Viola Graziosi

Per lei tutto ha avuto inizio 5 anni su un input di Laura Palmieri di Radio 3 che le chiese di portare in scena questa incredibile storia, proprio il giorno della festa della donna. Il palco è come una sorta di anfiteatro dove tante paia di scarpe rosse, delimitano un semicerchio con al centro un abito rosso che ci richiama alle antiche vestali. Viola inizia il suo racconto illuminata soltanto da un occhio di bue che le delimita luci e ombre sul viso e sul corpo.

Un viaggio introspettivo

Lo spettatore vive una sorta di viaggio introspettivo amando il coraggio di una donna che diventa emblema anche  di alcuni movimenti di protesta a sostegno dei diritti delle donne. “Nolite te bastardes carborundorum” e “Ci sono domande?” Sono due frasi ricorrenti nell’opera, spesso usate come motto di emancipazione femminile, ed è proprio il racconto di Viola Graziosi che spinge il pubblico quasi a una catarsi liberatoria in cui in scena, attraverso la parola, il corpo si svela non soltanto come mezzo di procreazione.

La repubblica di Gilead

Nel racconto dell’ancella in versione teatrale e televisiva lo spettatore è spinto a detestare i comandanti di una Repubblica, Gilead, dove le donne sono asservite a loro per scopi riproduttivi e dove quelle non fertili o troppo anziane sono dichiarate “Nondonne” e quindi eliminate.

Sorvegliate e divise in categorie secondo il colore dei vestiti: azzurro le Mogli; verde le Marte, le domestiche; marrone le Zie, sorveglianti; rosso le Ancelle, le uniche in grado di procreare. Nessuna può disobbedire, pena la morte o la deportazione. Non hanno bisogno di leggere, di scrivere, di pensare, di stancarsi troppo. Non vanno in giro da sole di modo che non possano essere importunate. Sono vestite di rosso con un cappuccetto bianco, in modo tale da non venir troppo viste e possono anche evitare di guardare, se non vogliono.

Viola Graziosi, Ivan Scinardo, Graziano Piazz

E’ un racconto immaginato in un futuro irreale e forse Viola Graziosi, con questa “opera magna” vuole farci comprendere come la donna sia ancora oggi discriminata da una becera cultura maschile che non si rassegna!

 

Continue Reading

Teatro

“Nudi sul terrazzo”, Moschella & Mulè coppia vincente

Published

on

I buongustai avranno certamente colto le continue incursioni nel cinema ed è inevitabile che la formazione di Giuseppe Moschella peschi a piene mani dalla settima arte, già dalla prima stesura, avvenuta, per sua stessa ammissione, in pieno lockdown,  E’ una  commedia brillante, “Nudi sul terrazzo”, scritta assieme a Roberto Pizzo,  andata in scena al Teatro Sant’Eugenio di Palermo.

3 anni di preparazione

Ci sono voluti quasi 3 anni di gestazione per quest’opera “leggerissima”, come la definiscono i due protagonisti, che nella vita sono coppia affiatata oltre che artistica. Giuseppe Moschella e Emanuela Mulè, in quasi due ore regalano al pubblico una serie di gags esilaranti e nello stesso tempo incollate alla realtà di tutti i giorni, dove le scene di gelosia non mancano con una girandola di attori azzeccati e scelti con cura.

Il dramma della gelosia

Forse il “Dramma della gelosia”, capolavoro cinematografico di Ettore Scola del 1970, con Vitti, Mastroianni e Giannini, ha un pò condizionato la scrittura di Moschella, da sempre affascinato da quel neorealismo che fece nascere la commedia all’italiana. E chi si aspetta che i due protagonisti finiscano davvero nudi sul terrazzo, deve aspettare quasi alla fine di un intrigata storia di gelosie e ripicche che in fondo non sono altro che il frutto di una subcultura popolare che affonda le sue radici nei fotoromanzi e nelle canzonette che nell’immaginario collettivo risuonano come ricordi incancellabili, è il caso della febbre del sabato sera.

Pubblico divertito

Pubblico coinvolto dalle perfomance artistiche di personaggi divertenti, in testa Emanuela Mulè che si riconferma attrice di talento capace di tenere la scena grazie alla sua bravura artistica e bellezza;  c’è il ruolo della suocera, una napoletana verace, Iaia Corcione, da qualche anno trasferita a Palermo, con una formazione da ballerina di danza a Napoli e poi come attrice a Roma, dove si è perfezionata anche nel canto. E’ lei il valore aggiunto di questa piece teatrale che vede anche la sensuale assistente dello scrittore, la bella Sonia Hamza; le sue movenze ricordano Jessica Rabbit, moglie del coniglio Roger, personaggio immaginario inventato dalla penna di Gary Wolf.

E’ lei al soldo della suocera di Giuseppe; e poi c’è Romeo che ci richiama al gattone degli aristogatti, lui è il manutentore di casa, Massimiliano Sciascia, ogni sua battuta è un mix di catanese e palermitano, che scatena sempre una risata collettiva. Arredi scenici rigorosamente allestiti dall’assistente alla regia, Elisabetta Loria. Bravi tutti

. Bravi tutti!

Continue Reading

In Evidenza

Teatro Biondo, la stagione 23/24, Radici

Published

on

Il Ficus Magnolia è re della Sicilia ed emblema dell’anelito umano all’espansione del sapere, della ricerca di nuova conoscenza, della conquista della bellezza: ha radici profonde nella terra in cui germina, ne ha altre che escono dalla terra e creano arabeschi, ed altre ancora che si proiettano nell’aria per radicarsi più in là… ancora più in là. Così nutrito, l’albero diventa una cattedrale di bellezza. Siamo usciti dal tunnel dell’isolamento e della paura più insicuri: guerre, instabilità economica e allarme ambientale ci rendono fragili; perciò, più che mai ci interroghiamo sulla nostra identità.

L’albero

Come l’albero meraviglioso noi siamo ciò di cui ci siamo nutriti dalla nascita (radici profonde), ciò di cui abbiamo deciso di alimentarci in seguito (radici scelte), e ciò che vorremmo assimilare nel futuro, perciò lanciamo radici al vento per captare, per ricevere stimoli, per crescere. Il nostro lavoro in teatro continua in questa strada d’identità, di classici, di storie e artisti “nostri”, si arricchisce di letteratura e linguaggi di cui ci siamo innamorati, che ci hanno incantato; infine, gettiamo radici al vento per proporvi novità, curiosità, grafie ed espressioni nuove che chiedono di arricchire il nostro bagaglio culturale e il nostro pensiero, e di espandersi in tutti i terreni possibili. La stagione “Radici” offre un ventaglio di proposte per esplorare questi tre diversi sentieri e arrivare ai tre angoli della nostra identità… una Trinacria? Pamela Villoresi (direttrice artistica)

Continue Reading

In Tendenza