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Cinema

Il traditore di Marco Bellocchio candidato agli oscar

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Il film si apre con una scena girata in una villa decadente sul mare, e ci ricorda, un pò le immagini del capolavoro di Francis Ford Coppola “Il Padrino”,  e un pò lo scenario gattopardesco, che solo Tomasi di Lampedusa  seppe descrivere nel suo capolavoro.

Il giorno di Santa Rosalia nel 1980 a casa di Stefano Bontade la famiglia è riunita e una foto di gruppo cristallizzerà un momento che non tornerà più, perché il più sanguinario di tutti, Totò Riina , che si copre la faccia per il flash, aveva già deciso di decimarla.

12 minuti di applausi

52 anni dopo de: “I pugni in tasca” Bellocchio è tornato a maneggiare un argomento, la mafia, anzi “Cosa nostra”, per riprendere una frase dal film, che non è mai finito. 12 minuti di applausi a Cannes per un film purtroppo tradito dalla stessa giuria che non gli ha assegnato neanche un riconoscimento.

D’altronde era immaginabile il verdetto vista la partenza anticipata dalla croisette dello stesso Bellocchio. Il suo è stato un lavoro lungo, certosino, di ricerca nel tratteggiare la complessa e contradditoria figura del primo vero pentito, Tommaso Buscetta, colui che permise ai giudici Falcone e Borsellino, prima di cadere tragicamente per mano della mafia, di portare alla luce l’esistenza della piramide mafiosa, rivelandone i capi, facendoli imprigionare, svelando le collusioni con la politica, e l’esistenza, con Pizza Connection, del traffico di droga con la mafia italo-americana. Marco Bellocchio, Leone d’oro alla carriera alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, è un regista di razza.

Ha trascorso molti anni a studiare le carte del maxi processo, con i suoi 475 imputati alla sbarra, si è avvalso della consulenza di un cronista di giudiziaria del calibro di Francesco La Licata, scrivendo maniacalmente la sceneggiatura assieme a Ludovica Rampoldi, Valia Santella e Francesco Piccolo. La stessa Rampoldi a margine della conferenza stampa di lancio  ha dichiarato: ”ci sono voluti più di 2 anni e 11 stesure di copione. Abbiamo ricreato gli eventi della vita di Buscetta per trasformali in tragedia, siamo stati guidati dalla visione e dalle ossessioni di Bellocchio”.

E’ una pellicola che racconta tanto ma chiarisce poco, soprattutto quel complesso e difficilissimo legame tra stato e mafia di cui ancora si discute nelle aule del tribunale di Palermo.

Pierfrancesco Favino è  il protagonista ma anche Luigi Lo Cascio e Fabrizio Ferracane, rispettivamente, Contorno e Calò realizzano più pose di tutti. Favino, nell’interpretare magistralmente il ruolo di Buscetta ha ammesso di essere stato affascinato dalla sua vita,  “sembra un gangster degli anni ’50, ha detto ai giornalisti, era un playboy, una di quelle facce che segna un’epoca. Ovviamente stiamo parlando di un criminale, però condivido con lui il senso di famiglia, insomma un uomo romantico”. Luigi Lo Cascio, indimenticabile protagonista dei “Cento passi”, riesce a trasmettere un personaggio profondo nell’animo, la violenza attraverso lo sguardo, l’orgoglio della propria sicilianità; parla spavaldo alla corte che lo sta interrogando in un dialetto stretto ed incomprensibile. 

Fabrizio Ferracane non smentisce le sue straordinarie doti di attore professionista nell’interpretare il boss Calò, acerrimo nemico di Buscetta, che, nella foto iniziale di famiglia, lo abbraccia promettendo di proteggere i suoi figli quando Buscetta emigra in Brasile ma che poi si rivelerà il sanguinario che li uccide a mani nude. Incarna il criminale di alto bordo che è stato a lungo a contatto con i colletti bianchi ed ha imparato il politichese.

Cristina, la terza moglie di Buscetta, interpretata dall’attrice e modella brasiliana Maria Fernanda Cândido, è una presenza dolce e nello stesso tempo travagliata. Interpreta, durante la latitanza del marito, una scena sensuale apprezzata dalla critica.

Anche il giudice Falcone (Fausto Russo Alesi) è convincente, ad affermarlo la sorella Maria dopo avere visto il film. Sempre bravo l’attore di Paternò, Giovanni Calcagno nei panni del boss Gaetano Badalamenti.

A molti è sfuggita la metafora degli animali che l’autore ha voluto in questo film; ne appaiono 3: la tigre bianca in gabbia (Riina in carcere?), la iena (Provenzano??) e migliaia di topi al buio, metafore dei mafiosi costretti a vivere nascosti.

Ma oltre a tanta ricostruzione fedele della cronaca, nel film di Bellocchio c’è anche qualche scena onirica; Andreotti che esce in mutande dall’atelier del sarto, o l’apparizione dei fantasmi dei figli evocati dai sensi di colpa, e il funerale di Buscetta immaginato da lui vivo.

Colpisce nella sceneggiatura la frase pronunciata dal pentito durante l’interrogatorio: “Dott. Falcone, noi dobbiamo decidere solo una cosa: chi deve morire prima, lei o io”.

Bellocchio lo ha detto in tutte le interviste: “Buscetta nel lungometraggio non è un eroe, è solo un uomo coraggioso che vuole salvare se stesso e i suoi cari”.

Le musiche sono del premio oscar Nicola Piovani,  hanno degli innesti perfetti anche quando in un ristorante americano un guitto suona con la chitarra a Buscetta e alla sua famiglia la celebre canzone di Toto Cutugno: “Lasciatemi cantare”, con la storpiatura: lasciatemi cantare, sono siciliano”. C’è anche un’aria di Verdi sparata al massimo, mentre si contano i morti e gli anni di galera. La stessa galera che viene raccontata nel film quando i mafiosi brindano nel carcere dell’Ucciardone alla notizia della morte di Falcone. Bellocchio è stato abile a raccontarla con loro che alzano i calici, le bottiglie di champagne in mano sputando sul vetro della tv che trasmette la foto del giudice assassinato con la moglie e la scorta sull’autostrada di Capaci. Brinda da solo nella sua campagna di Corleone anche il capo dei capi, Nicol Calì, attore messinese, scelto dal regista dopo lunghi ed estenuanti provini e catapultato nel ruolo del sanguinario con gli occhi pieni di una forza pericolosa e animale.

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Cinema

Arriva in sala “Un altro ferragosto”

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Arriva in sala dal 7 marzo l’attesissimo sequel di Ferie di agosto. Paolo Virzì omaggia Natoli e Fantastichini nell’affollato cast che riunisce gli attori dell’epoca (Silvio Orlando, Sabrina Ferilli, Laura Morante, Paola Tiziana Cruciani, Gigio Alberti) con le new entry Christian De Sica, Andrea Carpenzano, Vinicio Marchioni, Emanuela Fanelli e Anna Ferraiol Ravel)

“Un Altro Ferragosto” di Paolo Virzì

I Molino e i Mazzalupi. Alzi la mano chi non ricordi i cognomi delle due famiglie agli antipodi che si fronteggiavano a Ventotene in “Ferie d’agosto“, il film di culto di Paolo Virzì che fotografava alla perfezione due stili di vita e due concezioni d’Italia datate 1996.

A distanza di 28 anni e a furor di popolo cinefilo rieccole ancora insieme in Una altro ferragosto, l’attesissimo sequel diretto dal regista livornese e dal quale mancano Piero Natoli ed Ennio Fantastichini (ma nel film appaiono in foto e in qualche nostalgica sequenza del primo film) nel frattempo prematuramente scomparsi. Cast affollatissimo (le new entry sono Christian De Sica, Andrea Carpenzano, Vinicio Marchioni, Emanuela Fanelli, Anna Ferraiol Ravel) e stessa location, con l’isola laziale in fermento per il matrimonio di Sabry Mazzalupi, la goffa figlia del bottegaio romano Ruggero, diventata una celebrità del web e promessa sposa ad un volgare speculatore tecnologico.

Mentre il vecchio giornalista dell’Unità, Sandro Molino (Silvio Orlando) rivede dopo anni il figlio, un 26enne imprenditore digitale che ritorna dall’America col marito fotomodello proprio mentre l’Alzheimer inizia a dare segnali preoccupanti. Due tribù di villeggianti in bilico tra passato, presente e futuro con le storie e la Storia d’Italia a darsi simbolicamente la mano in un trapasso generazionale non sempre convincente per toni e scrittura. E il senso della morte, incombente, a tramandare quel bisogno d’affetto e di condivisione che regola tutti i personaggi di “Un altro ferragosto“.

“Mi sono interrogato sul senso misterioso di aver finalmente deciso solo ora di girare questo sequel” dice Virzì che ha presentato il film proprio in occasione del suo 60mo compleanno. “Piero Natoli subito dopo il primo film voleva farne un altro ma a me sembrava una furbata. Gli promisi che comunque lo avremmo girato negli anni ed eccomi qui. Ho costruito sul lutto di due amici indimenticabili un romanzo d’appendice dell’800 che mescola vicende familiari e politiche”. “Il film si è scritto con la collaborazione di tutti gli attori che in tutto questo tempo hanno pensato a che fine avessero fatto i loro personaggi” continua il regista. “Un altro ferragosto è un bilancio amaro sul tempo che passa inesorabilmente e che dimostra che la maturità non sempre arriva con l’avanzare dell’età che anzi rende più fragili. Scrivendolo- con Francesco Bruni e Carlo Virzì– ho riflettuto sulla mia vita e sul mio tempo. Credo sia un miracolo che io sia ancora vivo a 60 anni, non me lo sarei mai aspettato” scherza ma non troppo Virzì.

Differenze con Ferie d’agosto? “Quello era un film di passioni e sentimenti, di emozioni più che di tecnica. Dopo 28 anni credo di aver imparato la grammatica cinematografica e questo è un film girato in modo completamente diverso. Con Ventotene e il suo passato (nel film si ricorda che nell’isola, tra il 1932 e il 1943 furono costretti al confino 1000 oppositori che redassero il manifesto per l’Europa libera e unita) protagoniste e simbolo di quella convivenza civile del dopoguerra che dialoga coi nostri tempi dove la democrazia è in crisi e i nazionalismi avanzano”.

Ma le utopie della sinistra sono definitivamente franate, chiede qualcuno in riferimento al finale amaro del film. “Nel racconto ostinato di Sandro Molina a Tito, il nipotino di 10 anni che dimostra di recepirlo, forse c’è la speranza che non tutto sia perduto. Chissà, forse sarà lui in futuro il nuovo leader della sinistra…” .

Prodotto da Lotus Production e RaiCinema, Un altro ferragosto uscirà il 7 marzo distribuito da 01 in più di 400 copie.

Claudio Fontanin (Fonte: Cinemaitaliano.info)
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Cinema

L’85% degli under 24 in sala negli ultimi 3 mesi

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La generazione Z artefice del ritorno di fiamma tra italiani e cinema: oltre 6 italiani su 10 ci sono infatti andati almeno una volta negli ultimi 3 mesi, ma la percentuale si impenna oltre l’85% se si considerano i ragazzi tra i 18 e i 24 anni e oltre il 75% per le persone tra i 25 e i 34 anni. Particolarmente rilevante anche il pubblico dei “Boomers”. Tra i segreti del successo, l’investimento sulla stagione estiva.

CINEMA - L’85% degli under 24 in sala negli ultimi 3 mesi

La nuova luna di miele tra italiani e cinema si celebra nel segno della Generazione Z: se infatti nel 2023 si è registrato un boom di spettatori nelle sale (+60% sul 2022*), con presenze superiori persino al periodo pre-Covid, molto si deve ai giovanissimi. Oltre 6 italiani su 10 sono infatti andati al cinema almeno una volta negli ultimi 3 mesi, ma la percentuale si impenna oltre l’85% se si considerano i ragazzi tra i 18 e i 24 anni e oltre il 75% per le persone tra i 25 e i 34 anni. A rilevarlo, alla vigilia della notte degli Oscar, è l’istituto di ricerca Eumetra, che ha realizzato un’indagine qualitativa sul “nuovo spettatore”, analizzando anche le possibili cause che hanno riportato in auge una forma di intrattenimento che molti consideravano in via di estinzione.

Chi pensava che il cinema avrebbe finito per soccombere sotto la scure della pandemia e delle piattaforme di streaming deve dunque ricredersi. Il cinema” – ha commentato Matteo Lucchi, CEO di Eumetra – “è ancora un’esperienza a cui gli italiani non vogliono rinunciare e che, come testimoniato dalla nostra analisi, sta facendo breccia soprattutto tra i ragazzi, ma non solo. Ci sono diversi tipi di spettatore a cui l’industria cinematografica deve e può rivolgersi. Questa ripresa rappresenta non solo un’ottima notizia per i player del settore, ma anche un’opportunità per gli investitori pubblicitari interessati a raggiungere un determinato target“.

Se è vero infatti, secondo quanto evidenzia la ricerca Eumetra, che la frequentazione delle sale diminuisce progressivamente all’aumentare dell’età – tra i 35 e i 44 anni ci va il 66,5% delle persone, tra i 45 e i 54 anni il 61,4%, tra i 55 e i 64 anni il 60,5% e infine tra gli over 64 il 55% – è altrettanto vero che esiste una fetta consistente di aficionados cinefili “maturi”: un quarto circa dei cosiddetti Boomers frequenta le sale cinematografiche con grande regolarità, rappresentando un segmento di pubblico di grande rilevanza.

Ma, al di là dei distinguo generazionali, cosa ha concretamente riportato gli italiani al cinema? Secondo l’analisi dell’istituto di ricerca sono numerosi i fattori che hanno portato a questi risultati: tra questi, l’iniziativa Cinema Revolution, promossa dal Ministero della Cultura e da tutte le componenti del comparto cinematografico, che prevede il prezzo ridotto del biglietto per un certo periodo di tempo e che, nel solo periodo giugno-settembre 2023, ha portato un milione e mezzo di presenze (+36,67% sullo stesso periodo 2022) in sala, di cui 1,1 milioni per i soli film nazionali. A questo si aggiunge che, per la prima volta nel 2023, si è scelto di investire sulla programmazione estiva, con sale aperte e uscita di titoli particolarmente attesi – tra luglio e agosto sono usciti due titoli particolarmente attesi come “Barbie” e “Oppenheime“r – che ha fatto scoprire (o riscoprire) agli italiani il gusto del cinema anche in vacanza. Nel corso di tutto l’anno, è inoltre stata introdotta un’ottimizzazione da parte della distribuzione dell’uscita dei film, non solo attraverso la creazione di veri appuntamenti al rilascio dei titoli più importanti della stagione (da ultimo, “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi), ma anche con un’offerta diversificata in funzione delle diverse tipologie di pubblico. Infine, non da ultimo, sono state adottate strategie di prezzo incentivanti in alcune sale.

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Cinema

Margherita Hack raccontata in “Margherita delle stelle”

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Margherita delle stelle è il titolo del film, per la regia di Giulio Base, che ha come protagonista Cristiana Capotondi nel ruolo di Margherita Hack. Il film evento, in onda il 5 marzo su Rai1, rende omaggio alla celebre astrofisica, morta il 29 giugno del 2013, e rinominata “l’amica delle stelle”.

Il film racconta in modo emozionante e suggestivo la straordinaria vita e carriera di Margherita Hack. Partendo dalla sua infanzia, esplora gli anni di giovinezza in cui viveva come una ragazza libera e anticonformista, per poi seguire il suo percorso accademico fino a diventare la prima donna a dirigere l’Osservatorio Astronomico di Trieste.

Membro anche dell’Accademia dei Lincei, dell’Unione Internazionale Astronomi e della Royal Astronomical Society, Margherita Hack è stata compianta in tutto il mondo dopo la sua scomparsa, quando si è scoperto dei problemi cardiaci nuovamente aggravati che sono stati la causa della morte.

Margherita Hack: la causa della morte dell’astrofisica

La vita di Margherita Hack è per lo più conosciuta, ora anche grazie al film Margherita delle stelle con Cristiana Capotondi. La vera causa della morte dell’astrofisica, tuttavia, non è così nota.

Da tempo, infatti, erano conosciuti i problemi cardiaci che l’affliggevano, anche se per un notevole lasso di tempo le sue condizioni di salute sembravano migliorate. In realtà, nella settimana precedente alla sua dipartita, Margherita Hack era stata ricoverata d’urgenza a Trieste.

La notizia del decesso dell’astrofisica è arrivata il 29 giugno 2013, con una nota del marito di una vita Aldo della Rosa, con cui è stata sposata per 70 anni. La causa della morte è quindi da ricondurre alla condizione cardiaca di cui soffriva da tempo.

Margherita Hack, tuttavia, ha sempre affermato di non aver paura della morte: ne è riprova la sua scelta, poco tempo prima, di rifiutare un intervento al cuore rischioso ma che avrebbe potuto migliorare in parte la sua condizione. In un’intervista a Il Piccolo aveva spiegato:

“L’intervento poteva essere risolutivo, ma presentava anche dei rischi: l’idea mi è venuta di notte, semplicemente. Mi sono resa conto che in ospedale mi mancavano la mia attività, mio marito, i miei animali e tutte quelle comodità, privacy compresa, che in ospedale non ci sono. Una vita a metà. Qui a casa, magari al rallentatore, ma faccio le cose normali. E allora, ho pensato: un’operazione a rischio, un’altra degenza e poi una lunga convalescenza? No, come va, va. Meglio un giorno da leoni”.

 

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