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In piedi sul tetto dell’auto per salutare la mamma ricoverata per Covid

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Como, una donna che per via del virus non può entrare in ospedale, è rimasta in attesa per ore.

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Una donna è rimasta per ore in piedi sul tetto della propria auto nella speranza di poter salutare la mamma ricoverata per Covid. E’ avvenuto a Como, di fronte all’ospedale Valduce. La scena è stata immortalata da un residente e condivisa sui social. “Una ragazza che da stamattina provava a salutare la sua mamma – si legge nel post -. Si disperava perché non riusciva a vederla ma senza demordere. Qui sopra il tetto della sua auto che prova ancora a farsi riconoscere”.

Salvatore Amura, l’uomo che ha scattato la foto, ha poi spiegato che scene del genere sono piuttosto frequenti, dovute soprattutto all’impossibilità per i pazienti Covid di ricevere visite in ospedale: “Capita spesso vedere familiari e amici che cercano di salutare i propri parenti, fargli sentire una vicinanza, la presenza degli affetti. Dalla strada anche per ore senza successo”.

La diffusione del coronavirus ci ha messo davanti ad un dilemma morale rispetto alla tutela della salute degli anziani, in particolare nelle RSA.

Il dilemma è infatti quello tra affetti e supporto psicologico da un lato e l’interruzione dei contatti con l’esterno, vale a dire con parenti e amici, dall’altro. È chiaro che per le persone in età avanzata o per coloro che a causa di una malattia hanno uno spazio di vita limitato questi legami siano essenziali e che, se interrotti, non si riannoderanno.

Il tema centrale è quello della scelta, effettuata nei mesi passati e che si sta riproponendo ora, di interrompere i cosiddetti “contatti con l’esterno” come provvedimento provvisorio e temporaneo alla diffusione del virus.

Uno degli effetti collaterali di questa pandemia “ … è la solitudine: quella di chi non ha potuto vedere i propri figli, i genitori, i compagni. La solitudine più dolorosa, però, è stata quella delle persone malate, sofferenti, che in solitudine sono morte” (dal libro: Emozioni virali. Le voci dei medici dalla pandemia, Il Pensiero scientifico editore).

Al dolore per la perdita del parente, dell’amico, si aggiungono il dramma di non aver assistito e accompagnato il proprio caro, l’impossibilità di elaborare il lutto con i giusti tempi e spazi e la difficoltà che è emersa nei mesi scorsi, in vari casi, non solo di vedere la salma, di assistere al rito funebre, ma perfino di rintracciarne il luogo di sepoltura.

Marco Geddes da Filicaia, autore de “La sanità ai tempi del coronavirus”, ritiene che in una situazione così drammatica si sia scelto, fra rischi del contagio (e della diffusione del virus) e lesione degli affetti e limitazioni delle libertà, quello che era “il male minore”. Ma tale dilemma etico pone oggi un quesito: abbiamo fatto tutto il possibile per limitare il “male minore”?

All’inizio di questa epidemia ci siamo trovati impreparati e la carenza di mezzi di protezione non consentiva di dotare i visitatori di abbigliamenti idonei, mascherina, schermi protettivi che prioritariamente dovevano essere destinati agli operatori. Da quella fase emergenziale sono passati molti mesi e per Geddes ora abbiamo il dovere di far fronte anche alla riduzione del “male minore”, a limitare la solitudine, a non perdere la tenerezza e a non affidarci per tali azioni solo alle “nude mani” degli operatori. Dobbiamo assumere tutti i provvedimenti utili su questo fronte, anche per limitare la paura di “finire in ospedale”, di essere distaccato per sempre dagli affetti più cari che può portare a ritardi diagnostici, a dilazione nella somministrazione delle terapie e ad un aumento delle complicanze e della mortalità anche per altre patologie.

Per Geddes risulta pertanto necessario favorire il colloquio diretto fra parenti e ospiti nelle residenze sanitarie, predisponendo spazi adeguati, in cui la relazione visiva e vocale sia pienamente assicurata; organizzare, nei casi in cui elementi affettivi e sanitari (pensiamo in particolare a situazione di aggravamento e a fasi terminali) lo richiedano, la presenza della persona cara adeguatamente istruita ed equipaggiata; sviluppare sistemi di collegamento visivo e uditivo dimensionalmente ed ergonomicamente appropriati a persone allettate e anziane, al fine di facilitare la continuità di rapporti con l’esterno. Predisporre, in caso di decesso di persona sola, adeguate procedure per conservare la salma per un periodo che consenta di effettuare le opportune ricerche per rintracciare i parenti prima di procedere a sepoltura o incenerimento.

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