Editoriali

Giovani mammoni, cresce il numero di chi resta a casa!

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Eccola l’ultima delle classiche europee che relega i nostri giovani in coda per occupazione e abbandono della famiglia d’origine.

In Svezia un ragazzo si distacca dal nucleo familiare ancora prima di diventare maggiorenne (l’età media è 17,8 anni), in Italia deve aspettare fino ai 30 anni. Solo Slovacchia e Croazia hanno un dato peggiore (rispettivamente 30,9 e 31,8 anni) in Ue. A determinare il divario, infatti, sono soprattutto le politiche di welfare per i giovani e le opportunità offerte dal mercato del lavoro.

“Gli Stati in cui i ragazzi lasciano la casa dei genitori intorno ai 20 anni – se non prima come nel caso dei Paesi scandinavi – sono caratterizzati da quella che, il docente universitario Maurizio Ferrera, definisce sulle colonne del Corriere della Sera,  come una politica familiare «capacitante», vale a dire una politica che aiuta i giovani a partecipare al mercato del lavoro, ad avere un reddito adeguato che consenta loro di mantenersi e crearsi una famiglia”. Tra questi paesi rientrano Francia e Germania, dove i giovani si svincolano dai genitori intorno ai 23 anni e mezzo.

Per i giovani italiani uno dei maggiori problemi è proprio inserirsi nel mercato del lavoro, come suggerisce l’ultimo rapporto Istat sui i giovani che non studiano e non lavorano. I cosiddetti Neet in Italia sono circa 2 milioni, pari al 22,2% di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Nella categoria rientrano sia il neolaureato «con alte potenzialità e motivazioni», che sta cercando un lavoro in linea con le proprie aspettative, sia il giovane che ha abbandonato presto gli studi, «con basso capitale sociale e forte esposizione alla demotivazione».

La parola Neet spesso, infatti, non dà conto delle diverse situazioni che portano un giovane a essere disoccupato, alla ricerca di un lavoro o peggio rassegnato. Molte famiglie italiane sono così costrette ad avere a carico un figlio fino ai 30 anni con inevitabili ripercussioni sul bilancio anche individuale con esigenze da parte di un giovane che a 30 anni è uomo e che ha necessità e bisogni che non sono più di un ragazzo. Sono felici le mamme, un pò meno i papà, costretti a mantenere i figli anche da adulti.  Ma ci si chiede perché il modello svedese no iene importato in Italia? Che differenza c’è fra un giovane della capitale del nord Europa e un italiano medio che deve pagarsi gli studi e farsi mantenere dalla famiglia? Il giovane svedese prima di diventare maggiorenne ha già delle opportunità di inserimento lavorativo. Università e istituti tecnici o scientifici superiori sfornano giovani qualificati in abbondanza riuscendo a soddisfare una domanda sempre più crescente da piccola e media impresa. Alla formazione si aggiunge anche il prestito bancario, che per i giovani può essere ripagato anche fino a 60 anni con tassi di interesse quasi nulli. Forse è il caso che qualche giovane italiano, finita la pandemia, si spera presto, possa prenotare un viaggio a Stoccolma e magari aprire i suoi orizzonti lavorativi!

 

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