Editoriali

La responsabilità del giornalista

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E’ difficile nel nostro mestiere di comunicatori pubblici riuscire a declinare la parola “responsabilità”. Lo scorso mese di ottobre ho partecipato, in videoconferenza, al secondo Seminario di formazione e confronto per giornalisti, a partire dai temi del disagio e delle marginalità, organizzato a Milano, dall’agenzia di stampa “Redattore Sociale”. Per chi come me è impegnato quotidianamente a “stanare” dalla rete e mettere in evidenza le cosiddette “good news”, ossia le buone notizie, trovarsi di fronte un tema, dal titolo: “Miglioratori del peggio”, i giornalisti e la responsabilità di raccontare (anche) la speranza, è stato motivo di grande gioia. Anche il presidente della repubblica Napolitano, ha lanciato un appello, nel corso del congresso nazionale della Federazione della Stampa che si è tenuto in questi giorni a Bari, a coniugare i principi di liberta’ e di responsabilita’ anche nel rappresentare la vita del paese, nelle sue luci non meno che nelle sue ombre. Uno dei luoghi comuni più ricorrenti nel giornalismo, è che le buone notizie “non fanno vendere”. Come tutti i luoghi comuni, anche questo ha un fondo di verità: quello che fa vendere, infatti, sono le notizie e basta. Buone o cattive che siano. L’operazione che ogni giornalista responsabile dovrebbe compiere, nel momento in cui, decide di trasmettere un messaggio, è sicuramente quella di porsi dall’altra parte dal fruitore. Immaginiamo dunque di trovarci di fronte una famiglia, riunita davanti il televisore, e cerchiamo di analizzare le notizie dei telegiornali. Dominano inquietudine e paura; i contenuti dei servizi comunicano solo preoccupazioni, ansie e allarmi. Pensate dunque quanto è delicato e cruciale il compito di chi seleziona le notizie, individua i luoghi dove andarle a cercare, sceglie le parti da raccontare. Nel nome dell’indipendenza, del diritto di cronaca e dell’imparzialità, il giornalismo tradizionale ha sempre rifiutato qualsiasi discussione sul suo ruolo “pedagogico”. Un rifiuto giustificato dal timore di mettere in pericolo i fondamenti della professione. In tanti anni di cronaca mi sono convinto che il giornalista responsabile non dovrebbe aver paura di portare alla luce anche gli aspetti positivi di una storia, di lasciar filtrare i segni di speranza che fanno parte, sempre, di ogni vicenda, comprese quelle peggiori. Non dovrebbe lasciarsi imprigionare dal presunto “dovere” esclusivo di emozionare e scandalizzare, di far inorridire e indignare (per lasciare poi ad altri la funzione di “ricreare” il pubblico, rassicurandolo con la banalità). Il giornalista responsabile dovrebbe solo trovare le notizie, buone o cattive che siano. E proporle, nei limiti del possibile, in tutte le loro sfaccettature. Solo così potrà assolvere al servizio che sta alla base del suo mestiere: aiutare il pubblico a interpretare giorno dopo giorno il mondo in cui vive. E magari tenere viva la speranza che è sempre possibile migliorare il peggio.

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