Editoriali

I laureati lasciano la Sicilia

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Il titolo dai toni provocatori esce fuori da una recente indagine sull’occupazione, presentata a  Palermo al Castello Utveggio, sede del Cerisdi, nell’ambito di un convegno organizzato da Svimez, Istat e  Fondazione Curella. I dati li riporta una testata on line: “Il Mattino di Sicilia”  che titola: “I  laureati siciliani vanno via dall’Isola. Uno su tre parte, e quel che è peggio, non ritorna”. Il campione preso in osservazione riguarda 2800 giovani laureati tutti sotto i 30 anni, che fino al 2011, per necessità o semplice voglia di evadere, sceglievano di lasciare casa per trovare lavoro altrove. I ricercatori prevedono per la Sicilia un trend esponenziale negativo dal 2014 al 2018. La chiave di lettura è ancora più allarmante se si guarda al dato generale e alla cosiddetta fuga delle intelligenze ricomprese nella fascia di età 20/40 anni che raggiunge quasi il 47%. Ciò che più fa rabbia e che molte famiglie del sud e siciliane in particolare spesso hanno superato il tetto delle 50 mila euro spese per ogni figlio laureato al termine dei cinque anni (3+2) di università. La ricerca evidenzia che la gran parte di questi giovani che hanno studiato nelle università siciliane sono andati a realizzarsi fuori, rendendo di fatto vani gli studi nella propria terra. Li chiamano “flussi di mobilità territoriale”, nel periodo compreso tra il 2004 e il 2014, gli analisti hanno osservato che le regioni del Sud e le isole in particolare  abbiano perso costantemente capitale umano di elevato profilo che si è spostato a Nord. Diverse le stime per l’estero: secondo i dati 2014 i laureati che scelgono di migrare oltre confine sono espressioni degli atenei del Nord (10%) e del Centro (7%) mentre solo il 3% rappresenta Sud e isole. Riassumendo quindi  dalla Sicilia si va a studiare o cercare lavoro nelle regioni del Nord, mentre dalle regioni del Nord si cercano nuove opportunità all’estero. La ricerca pone una seria riflessione su quella che è stata l’offerta formativa della regione siciliana, che si è rivelata quasi sempre fallimentare. Si è sperato nelle università, ma a leggere i dati solo in parte ha funzionato la formazione d’eccellenza.  Ecco perché si parla di povertà delle conoscenze come la peggiore delle povertà, perché inevitabilmente contagia tutte le altre come un virus inarrestabile. L’assessore regionale al bilancio si avvia verso l‘approvazione del bilancio di previsione ma quasi mai negli ultimi anni è stato deliberato dall’assemblea regionale siciliana che soprattutto alla fine dell’anno preferisce sempre rinviare a un esercizio provvisorio che conferma pressapochismo e improvvisazione. Un bilancio  fatto solo di stipendi di personale dipendente o esterno all’ente regione. Non c’è spazio per nessun altro! Spesso viene da chiedersi: ma davvero si vogliono spezzare le catene e i pesi che trascinano in fondo al baratro la Sicilia, o non si preferisce mantenere  sacche di consenso appese sempre e comunque al filo del precariato?

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