Editoriali

Lo “stigma” della malattia mentale

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Nei giorni scorsi ci sono state numerose manifestazioni che hanno celebrato la giornata nazionale dalla salute mentale. Molti si sono disinteressati e, devo dire con rammarico, anche i media hanno quasi ignorato un fenomeno, quello della malattia mentale, che molto spesso rappresenta l’ostacolo principale al raggiungimento di una migliore qualità di vita per chi ne è coinvolto. Noi che in questa rubrica ci occupiamo di famiglia non possiamo che rendere merito alle numeros associazioni di familiari, ai servizi sociali dei Comuni e alle agenzie di volontariato che quotidianamente lottano contro lo stigma che ancora circonda la malattia mentale. Sentiamo forte dunque il bisogno di affermare che i malati mentali devono riappropriarsi della condizione di cittadini a tutti gli effetti. L’obiettivo dei servizi che lavorano nel campo della salute mentale è quello di informare e sensibilizzare la popolazione verso la necessità di non emarginare cittadini che hanno qualità e capacità umane troppo spesso misconosciute per ignoranza o pregiudizi. La riabilitazione psichiatrica, secondo gli esperti, si basa sulla consapevolezza che ogni persona, affetta da malattia mentale, non è completamente distaccata dalla realtà, ma vi sono dei ponti tra il suo mondo interno ed il mondo esterno in cui è immerso quotidianamente. E’ su questi ponti, sulle parti non ancora compromesse, sulle parti “sane” che lavora la riabilitazione. Il teatro e l’arte oggi rappresentano per il malato mentale una opportunità di riscatto dal ruolo di soggetto, incapace di inserirsi nel contesto sociale a cui appartiene. L’artista “psichiatrico” agisce dunque da protagonista, esprimendo al massimo le sue idee, anziché subire le scelte degli altri, familiari o terapeuti. La teatroterapia per esempio è un ottimo mezzo che permette di esprimere la capacità di collaborare con altri per realizzare qualche cosa di concreto e condivisibile con gli spettatori. Sul fronte dell’arte invece mi viene in mentre il fenomeno dell’ Art Brut o “arte grezza”. Nel 1945 Jean Dubuffet pittore e scultore francese di fama mondiale, fu il primo a teorizzare e introdurre questo concetto, rompendo definitivamente con il concetto psichiatrico di ‘arte dei pazzi’. Ci sono diverse esperienze consolidate, di esposizioni di lavori straordinar di pazienti psichiatrici, tra queste la più autorevole è quella del Musée de l’Art Brut di Losanna in Svizzera. I creatori di queste opere, che rappresentano per noi una sorta di ‘purezza artistica’, sono i testimoni di un altro mondo, onirico e per certi aspetti temibile. Artisti estranei alla cultura delle ‘belle arti’, estranei ai rituali e ai luoghi che la rappresentano. Ci accorgiamo di queste persone perché vivono spesso in un isolamento che ci fa pensare all’autismo. La loro esistenza, fatta di gesti semplici ci fa riflettere sulle nozioni classiche di arte e di creatività, ma anche quelle di normale e di patologico.

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