Editoriali

Quantità, qualità e dignità del lavoro, secondo i vescovi

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Sono queste le sfide dei prossimi anni “nello scenario di un sistema economico che mette al centro consumi e profitto e finisce per schiacciare le esigenze del lavoro”; così scrivono i vescovi italiani nel messaggio della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace in occasione della festa del 1° maggio. I vescovi sono partiti dal discorso di papa Francesco all’Ilva di Genova il 27 maggio 2017, laddove il Pontefice aveva esortato a “ritrovare una cultura che stima la fatica e il sudore, senza la quale non ritroveremo un nuovo rapporto col lavoro e continueremo a sognare il consumo di puro piacere. Il lavoro è il centro di ogni patto sociale: non è un mezzo per poter consumare”. Secondo l’agenzia Korazym, i vescovi individuano tre urgenze fondamentali: rimozione degli ostacoli per chi il lavoro lo crea, istituzioni formative all’altezza delle sfide, una rete di protezione per i soggetti più deboli. I due imperativi del benessere del consumatore e del massimo profitto dell’impresa hanno risolto il problema della scarsità dei beni e delle risorse necessarie per investimenti, innovazione e progresso tecnologico nella nostra società. E proprio dal deprezzamento economico del lavoratore prende le mosse il testo per denunciare una situazione critica e paradossale: “Questi meccanismi sono alla radice di quella produzione di scartati, di emarginati così insistentemente sottolineata da Papa Francesco. E ci aiutano a capire perché ci troviamo di fronte a tassi di disoccupazione così elevati, ancor più tra i giovani, e al fenomeno inedito dei lavoratori poveri. Se un tempo il lavoratore povero era una contraddizione in termini oggi l’indebolimento della qualità e della dignità del lavoro porta al paradosso che avere lavoro, quasi sempre precario, non è più condizione sufficiente per l’uscita dalla condizione di povertà”. Nei paesi ad alto reddito come nei paesi emergenti assistiamo a crescenti diseguaglianze interne tra un ceto istruito e preparato alle sfide dell’economia globale e un ceto con minori competenze che rischia di finire tra i ‘vinti’ del progresso, abbandonato sulla riva”.

 

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