Teatro

Quella Strabuttanissima Sicilia di Salvo Piparo

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Ci sono le sagome in bianco e nero di Crocetta, Miccichè, Musumeci e Cuffaro, ma il finale è davvero strepitoso: il “mattatore – giullare” Salvo Piparo butta in aria quella di Raffaele Lombardo. Istrionico, irriverente, un vero “one man show” con una maturazione professionale straordinaria grazie a questo spettacolo andato in scena per due giorni al Teatro Biondo e che si sposterà a Catania. Piparo è un artista completo, è capace di fare ridere fino al mal di pancia, ma anche di commuovere e fare riflettere su un terra e i suoi abitanti  che si portano ferite incancellabili, causate da sempre dai malgoverni politici.  D’altronde lo aveva scritto l’ispiratore di questo spettacolo, Pietrangelo Buttafuoco, nel suo libro quando parlava della Sicilia: “dei fiori scozzolati e dei bastardoni assicurati, dei pupi e dei pupari, delle arance di ’nterra, dei furbi e dei fessi, non è più Buttanissima, è di più: ancheggiante nonostante le ferite; ammiccante seppur stuprata. Strabuttanissima è”. Quasi due ore di spettacolo con tutti i posti occupati per un sold out annunciato. L’abile regia del giornalista Giuseppe Sottile con il coordinamento artistico di Antonio Raffaele Addamo, e le musiche originali di un  talentuoso Ruggero Mascellino al  pianoforte e fisarmonica,  insieme al contrabbassista Massimo Patti, sono un mix perfetto. Sulla scena a dare forma plastica alla “strabuttanissima”  una sempre brava Costanza Licata. Fin dal suo ingresso dalla sala, Piparo, armato di troccola, i due legni che battono  e che vengono usati nelle processioni in sostituzione delle campane, inizia la sua lunga maratona di racconti sulla politica degli squali che nuotano da sempre nel mare del potere, dove non c’è più lotta politica senza il “mascariamento”, dove è necessario stare dentro la linea d’ombra per non essere sgamati. Nella mitologia greca i satiri vengono generalmente raffigurati come esseri umani barbuti con orecchie, corna, coda e zampe caprine o equine; erano grandi suonatori di flauto che incantavano con la loro musica. Salvo Piparo è tutto questo, le corna le fa con un monologo sulla parola cornuto. Incanta il pubblico con il cunto, da abile cantastorie; fa alcune smorfie labiali che ci ricordano l’indimenticabile Gigi Burruano, (chissà se quando le fa si ispira a lui?). Ci sono i pupi sul palco mossi da Nicola Argento. È la Sicilia delle ombre, in questo spettacolo; le ombre del passato, ombre sui forestali, ombre sui provinciali, ombre sulla gestione dei migranti, ombre sui gabinettisti, financo le ombre del “Gattopardo” quelle di Cuffaro & Lombardo, che si allungano su quasi tutti i partiti e i candidati surrogati. E poi sullo sfondo viene proiettata una lunga carrellata di fotografie della scientifica dei più grandi capimafia, quelli con “la riga di lato” come li chiama Piparo. Strabuttanissima Sicilia è amaro teatro di mafia e mezzamafia, dove vige anche la regola: “quanto più sei anti-mafioso tanto più è mafioso chi non la pensa come te”; covo di taverne, verminaio di uomini, dove la Cultura serve solo ai “banditi” per vincere “certi bandi”, ma per il resto è superflua come i peli e per questo la tagliano dai bilanci”.

 

 

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