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USA: George Floyd è morto soffocato dal razzismo

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Durante tutta questa settimana ho mantenuto un atteggiamento socratico, ho atteso e a lungo riflettuto su cosa fosse giusto scrivere riguardo l’omicidio “volontario” di George Floyd, l’afroamericano morto a Minneapolis dopo che un poliziotto gli ha premuto il ginocchio sul collo.

Ho atteso perché non riuscivo a trovare le parole giuste per definire questo atto di violazione dei diritti umani di un uomo, di questo si tratta: violazione dei diritti civili e politici dell’uomo.

Dereck Chauvin, il boia, l’agente che teneva il ginocchio sul collo di Floyd e che è in prigione dalla scorsa settimana, ha abusato del suo potere contro un uomo che in quel momento è stato privato del suo diritto alla vita: respirare. A nessuno può essere negata la volontà di respirare. A nessuno. Esistiamo perché respiriamo.

Negli Stati Uniti mancano norme ed equilibrio sull’uso della forza; “la polizia infatti applica quello che si chiama Racial Profiling” afferma Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, un fenomeno da sempre presente nel corpo di polizia statunitense che non si riesce a sradicare.

L’espressione profilazione razziale si riferisce al peso decisivo di fattori razziali o etnici nel determinare l’azione portata da parte delle forze dell’ordine nei confronti di un individuo. Un esempio: se una persona bianca ha le mani in tasca è perché sente freddo, se ad avere le mani in tasca è una persona di colore allora sta nascondendo una pistola.

 

O ancora, una persona bianca che corre sull’autostrada è in ritardo a una riunione di lavoro. Se a correre invece è una persona di colore sta fuggendo dopo aver compiuto una rapina. E Trump, il bullo che presiede la Casa Bianca, speriamo ancora per poco, “ha una visione incendiaria e irresponsabile, continuamente ammicca alla supremazia dei bianchi”.

Non da ultimo il suo tweet dove inserisce il movimento antifascista tra le organizzazioni terroristiche.

La popolazione infatti ha perso fiducia nei tutori dell’ordine pubblico che vede al contrario come promotori del disordine, del caos, della cattiva condotta.

Le persone hanno paura, timore, di coloro che dovrebbero garantire invece la loro sicurezza.

Gli altri complici del boia Chauvin, Thomas Lane e Tou Thao, sono stati portati nel penitenziario della contea di Hennepin. J. Alexander Kueng si è consegnato spontaneamente. Per tutti è stata fissata una cauzione da un milione di dollari. Per Chauvin l’accusa è stata aggiornata da omicidio colposo a omicidio volontario.

L’ex presidente Usa, Barack Obama, in un video ai giovani: “Andate a votare per costringere l’intera società a voltare pagina. Non ho mai visto una crisi così grave in vita mia. Dobbiamo usarla per provocare un risveglio di tutta la nazione”.

Per la prima volta dall’inizio delle proteste per la morte di George Floyd, prende la parola Barack Obama. L’intervento del primo presidente afroamericano della storia era atteso da molti, per dare un senso alla tragedia che il paese sta vivendo. Obama non infiamma gli animi, non vuol fare un comizio elettorale, ma è chiara la sua indicazione: “Tutti insieme dobbiamo lottare per garantire che avremo un presidente, un Congresso, un Dipartimento di Giustizia, una magistratura federale che riconoscono il ruolo distruttivo del razzismo nella nostra società, e vogliano agire per cambiarlo”.

Obama, parlando dalla sua casa di Washington mentre la capitale è ancora teatro di manifestazione, fa una vibrata difesa della libertà di espressione e del diritto di scendere in piazza: “Ricordiamoci che questa nazione fu fondata dalle proteste, da quella che chiamammo Rivoluzione americana“.

Ogni progresso della storia americana, ogni rafforzamento delle libertà, ogni espressione dei loro ideali più profondi sono stati conquistati attraverso sforzi che hanno disturbato lo status quo. Gli americani devono essere grati a quelli che sono là fuori in modo pacifico e disciplinato, perché vogliono fare la differenza.

L’ex presidente si rivolge soprattutto ai giovani che hanno riempito le piazze da otto giorni: “Dobbiamo far sì che l’America stavolta cambi davvero. Voi giovani, abbiate il coraggio di essere scomodi per tutti noi. Impegnatevi, partecipate, andate a votare per costringere l’intera società a voltare pagina”. Obama si dice incoraggiato dai tanti giovani che ha visto scendere in piazza, vede in loro “una nuova mentalità”. A ospitare l’intervento di Obama è l’iniziativa “My Brother’s Keeper” (“il custode di mio fratello”), istituita dall’ex presidente nel 2014 dopo l’uccisione del teenager afroamericano Trayvon Martin in Florida.

Obama parla ai milioni di americani che sono scesi in strada e hanno fatto sentire la loro voce, un’ondata di proteste che nascono da una legittima frustrazione. E vuole rispondere alla domanda che in tanti gli rivolgono: “Come dare continuità, efficacia a questo movimento, perché provochi un cambiamento reale”.

Molto dipenderà da “una nuova generazione di attivisti”, che sappiano superare i fallimenti del passato. Per troppo tempo l’America “non è riuscita a riformare i metodi della polizia e della giustizia penale”. Le sue parole risuonavano poche ore dopo la svolta giudiziaria a Minneapolis, dove la procura ha aggravato l’incriminazione del poliziotto imputato per la morte di George Floyd. Il capo di accusa è diventato omicidio volontario e può costargli fino a 45 anni di carcere. Per la prima volta sono stati incriminati anche gli altri tre membri della pattuglia, per concorso in omicidio.

L’Americ, ancora una volta, ispira gli altri stati del mondo che vivono le sue stesse problematiche razziali, piaghe che incancrenizzano le società civili. Va dato sostegno ai manifestanti pacifici americani; sono coraggiosi, responsabili, capaci di ispirare il mondo intero.

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