Cinema
Costanza Quatriglio: una storia vera, una favola
Locarno. “Questo film nasce da un incontro molto prezioso che la vita mi ha regalato. Quello con Mohammad Jan Azad, uno dei protagonisti del mio documentario Il mondo addosso. Un documentario che racconta le vite di alcuni ragazzi migranti scappati dalla furia della guerra, dalle persecuzioni nei loro Paesi. Storie di ragazzi minorenni costretti ad abbandonare affetti, famiglia, studi, lavoro pur di sopravvivere, e ridotti in Italia a esistenze durissime”. Con queste parole Costanza Quatriglio presenta a Locarno (fuori concorso) il suo ultimo film, Sembra mio figlio. Una storia vera, quella di Jan e di sua madre, che si mescola alle tante in cui la regista si è imbattuta durante il suo lavoro sui giovani migranti e che, “parla della condizione di tanti altri ragazzi che come Jan si sono ritrovati a vivere in un Paese straniero senza sapere più nulla della propria vita precedente”.
E infatti Sembra mio figlio è un film costruito tutto sull’assenza. Un’assenza enorme già all’inizio, che è quella della madre di Hassan e Ismail, due fratelli hazara scappati dall’Afghanistan quando erano ancora bambini. Hassan e Ismail vivono da tempo in Italia, e con fatica, e accumulando debiti, hanno aperto una piccola bottega sartoriale, ma le loro vite continuano ad essere oppresse da questa mancanza: da che sono fuggiti non sanno più nulla della loro madre. L’unico contatto, con una donna che inizialmente li nega come figli, ma poi li cerca attraverso il nuovo marito, ce l’ha Ismail, il più giovane dei due. Attraverso alcune inquietanti telefonate ai due fratelli viene chiesto di partire per il Pakistan, dove potranno ritrovare la loro madre e una nuova famiglia. È a questo punto che le loro vite perdono nuovamente l’equilibrio. Hassan vuole credere ciecamente a quanto gli viene raccontato per telefono, ha bisogno di fidarsi delle uniche rassicurazioni mai ricevute in vita sua. Ismail invece capisce che non è quella la strada giusta e parte da solo, ripercorrendo a ritroso il viaggio che lo aveva portato via da casa. Un viaggio che permetterà ad Ismail di riscrivere la sua storia personale e di riappropriarsi delle sue origini, della storia del suo popolo.
“Ismail, che è interpretato da Basir Ahang – un vero hazara, che nella vita non fa l’attore ma il poeta e giornalista – nelle inquadrature iniziali appare un gigante, come se fosse fuori posto, troppo grande per quello spazio. Appare invece più piccolo, compreso perfettamente nell’inquadratura, come gli altri, quando si ritrova finalmente nella sua terra. Questa collocazione di Ismail nello spazio è importantissima, e passa anche attraverso lo sguardo di un altro personaggio Nina, la ragazza di cui Ismail si innamora. Tra loro ad un certo punto succede qualcosa di magico, di misterioso e nulla sarà più come prima. Lei lo vede in un modo nuovo. Ecco, per me lo sguardo di Nina è quello dell’Europa, uno sguardo che ci aiuta a cambiare posizione, punto di vista e a rivelarci cose che prima, proprio per la nostra posizione non potevamo vedere. E Il film è tutto costruito così, seguendo una struttura di progressivi svelamenti”.
Una costruzione a ‘scatole cinesi’ che conduce man mano lo spettatore da una dimensione reale ad una sempre più allegorica, per arrivare ad un finale sotto il segno della speranza: non è più importante sapere se il fatto raccontato sia vero oppure no. “La scena in cui Ismail incontra la donna che potrebbe essere sua madre è stata per tutti molto commovente, perché ad interpretare quel ruolo è stata la vera mamma di Basir. E i due non si vedevano da anni. È stata inoltre una delle scene più difficili che abbia mai girato in vita mia perché ho sentito tutta la responsabilità che avevo anche nei confronti delle persone che, villaggio per villaggio, avevamo scelto come comparse e figuranti. L’emozione era tanta perché tutti in quel momento sapevano che con questo film stavamo raccontando la storia di tante persone, di tante donne che l’avevano vissuta e di un popolo, quello Hazara, perseguitato da oltre cento anni. Eravamo così tanto concentrati e immersi in un clima di preghiera e meditazione che anche in questo caso si è creata un’atmosfera magica, in cui ad un certo punto non c’è stato più nulla da spiegare”.
La vita e la finzione si mescolano dunque in Sembra mio figlio senza la necessità di scindersi, dando forma a un film che arriva dritto al cuore, senza strategie, senza compromessi, con la sola forza dirompente che ha la verità. “Fondamentale per questo lavoro è stata la possibilità di girare in Iran, dove abbiamo trovato un paesaggio simile a quello dell’Afghanistan. La nostra è stata la prima troupe dopo quella di Zurlini per Il deserto dei tartari a girare di nuovo qui. È stato importante essere in un luogo abitato anche dagli hazara e dove abbiamo conosciuto degli anziani che hanno vissuto sulla loro pelle le persecuzioni. E poi abbiamo incontrato le donne, le madri, le persone che ci hanno aiutato a creare quella dimensione ancestrale a cui ritorna il protagonista alla fine del film, riconosciuto finalmente dai suoi antenati”.
Sembra mio figlio è stato prodotto da Ascent Film (che ne cura anche la distribuzione) con Rai Cinema in coproduzione con Caviar e Antitalent e uscirà nelle sale il 20 settembre. (fonte: Cinecittànews)
Cinema
“La Notte” di Michelangelo Antonioni
“La Notte” di Michelangelo Antonioni a Venezia 81
Nell’ambito della 81esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale presenterà in anteprima mondiale nella sezione Venezia Classici la versione restaurata de La notte (1961) di Michelangelo Antonioni con Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau e Monica Vitti. La proiezione ufficiale sarà il 30 agosto, alle 14.15 nella sala Corinto, per pubblico e accreditati.
“L’avventura, è uno dei film della mia vita. All’epoca ne rimasi folgorato – ha scritto per il dossier del Centro Sperimentale Gianni Amelio – Se il motore de L’avventura è anche narrativo, in La notte è tutto chiuso nella tensione del non-racconto, nell’espressività assoluta dell’immagine nuda. Le parole, come nell’ultima sequenza, si rovesciano su loro stesse”.
“Lidia e Valentina, le protagoniste del magnifico La notte, si stagliano tra architetture urbane e paesaggi reali a dimostrare già visivamente la loro potente presenza”, scrive nel dossier Angela Prudenzi. “Tra due donne lontane e un uomo assente il film indaga i sentimenti di una coppia al capolinea e svela la tentazione di un tradimento che, all’alba, in uno squarcio di lucidità, confermerà la verità di quel matrimonio finito”, secondo Laura Delli Colli.
Antonioni è stato il regista che più di altri, nella cultura italiana del dopoguerra, è diventato la stella polare del cinema d’autore internazionale: non a caso da Wenders a Wong Kar Wai, spesso i registi capaci di inventare e possedere uno stile, lo hanno considerato un punto di riferimento cruciale. La sua passione per la forma delle immagini, il suo occhio pieno di stupore, curiosità e attenzione nei confronti delle donne, la sua capacità di ritagliare angoli del nostro mondo contemporaneo e mostrarcelo sul grande schermo come se fosse un pianeta enigmatico, inesauribile, minaccioso e affascinante, hanno dato vita ad una avventura unica fatta di film come esperienze mentali e sensoriali.
Il restauro, curato da Sergio Bruno, lungo e impegnativo, consente di riscoprire il cinema di un maestro ma anche l’arte del direttore della fotografia, Gianni Di Venanzo, tra i più importanti del cinema italiano contemporaneo, che in La notte dota le inquadrature di un bianco e nero grafico e spettrale, di carbone e metallo, come nella celebre “alba livida” del finale, dove al cielo abbacinante si oppone la luminescenza irreale dei prati.
Il Centro Sperimentale ha realizzato per il restauro del film un dossier con le testimonianze, tra le altre, di Enrica Fico Antonioni, Andrea Guerra, Beppe Lanci, Maria Pia Luzi, e un’ ampia provvista di materiali critici e di documentazione con la collaborazione di Gianni Amelio, Franco Bernini, Sergio Bruno, Laura Delli Colli, Luca Pallanch, Fabio Melelli, Angela Prudenzi, Silvia Tarquini.
Cinema
Cinema, a Sciacca la Rassegna su Germi
Con la proiezione nell’Arena Giardino della Multisala Badia Grande de “Il cammino della speranza” film girato a Favara nel 1950 e che tratta il tema drammatico dell’emigrazione, si è conclusa ieri sera la rassegna organizzata da Sino Caracappa e patrocinata dal comune di Sciacca dedicata alla figura di Pietro Germi, nel cinquantesimo anniversario dalla sua morte. La serata è stata introdotta dalla interessante presentazione del libro dal titolo “Pietro Germi il Siciliano”, del 2014, scritto dal catanese Sebastiano Gesù, critico cinematografico e storico del cinema italiano morto nel 2018. Un libro che oltre alla presentazione del regista Pasquale Scimeca contiene anche una prefazione firmata da Sino Caracappa. A parlarne sono stati Ivan Scinardo, direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, e il cineasta Carmelo Franco, di professione avvocato. Ad intervistare i due ospiti è stato Raimondo Moncada. La serata ha poi visto anche la proiezione dei fuori scena di Sedotta e abbandonata di Vincenzo Raso. Alla Rassegna Pietro Germi ci sarà un’appendice programmata per il 28 settembre, con un convegno dal titolo “Il cinema di Pietro Germi e la Sicilia”, su cui abbiamo chiesto un’anticipazione a Sino Cacarappa.
Cinema
Luce Cinecittà a Locarno 77 con due titoli
Luce Cinecittà è alla 77ma edizione del Locarno Film Festival (7-17 agosto) con due titoli di giovani registe italiane. Nel Concorso Internazionale Sulla terra leggeri, esordio al lungometraggio di Sara Fgaier, già autrice del corto Gli anni , presentato al Festival di Venezia 2018 (Orizzonti) e vincitore sia dell’EFA come miglior cortometraggio europeo che il Nastro d’argento. Come montatrice e produttrice Sara Fgaier ha realizzato diversi film, tra cui La bocca del lupo (2009) e Bella e Perduta (2015) di Pietro Marcello.
Cosa accade se non ricordiamo più l’amore della nostra vita? È la domanda al centro del racconto della regista spezzina. Il protagonista, Gian, lotta contro l’oscurità di un’improvvisa amnesia. Miriam, la figlia che non riconosce, gli consegna un diario, scritto a vent’anni, che ruota tutto intorno a Leila, la ragazza con cui ha scoperto l’amore nell’arco di una notte. Solo cercandola potrà ritrovare se stesso. Nel cast Andrea Renzi, Sara Serraiocco, Emilio Scarpa, Lise Lomi, Maria Fernanda Cândido, Stefano Rossi Giordani, Amira Chebli ed Elyas Turki.
Sulla terra leggeri è prodotto da Limen, Avventurosa e Dugong films con Rai Cinema. La Vendita Internazionale è curata da Rai Cinema International Distribution, mentre la Distribuzione Italiana è di Luce Cinecittà. Il progetto è stato sviluppato dal TorinoFilmLab e finanziato con il TFL Production Award per € 40.000.
In Concorso nella sezione Cineasti del Presente Real, il nuovo lungometraggio di Adele Tulli che torna alla regia dopo la rivelazione della sua opera prima Normal, anche questa coprodotta e distribuita da Luce Cinecittà, presentata in anteprima alla Berlinale e vincitrice della Menzione opera prima ai Nastri d’Argento.
Un nuovo viaggio poetico e inatteso dentro un mondo in cui siamo quotidianamente immersi, divenuto talmente abituale da non farci rendere conto quanto sia sconosciuto ed estraniante: il mondo digitale. Una realtà che ha rivoluzionato le vite di noi tutti, e che il documentario indaga con le stesse lenti tecnologiche, creative e relazionali con cui è strutturata. Una mappa documentata e senza preconcetti che ci mostra con sguardo inedito e curioso un territorio ineffabile, alieno e insieme familiare.
Real è un viaggio filmico, visionario e coinvolgente, dentro al mondo disincarnato della rete, un multiverso digitale parallelo dove ogni cosa esistente è trasformata dalla fisica dell’ossigeno e del carbonio alla logica dei bit. Un documentario creativo che esplora la trasformazione dell’esperienza umana nell’era digitale, facendo luce sui molti aspetti, a tratti perturbanti, del vivere digitalizzato e iperconnesso: i protagonisti – umani, robotici, virtuali – sono alle prese con relazioni virtuali, lavori digitali, cybersessualità, case e città del futuro, automatizzate e sorvegliate. Raccontano di cultura dell’autorappresentazione, di nuove dipendenze e patologie, di alienazione e isolamento ma anche di identità libere dai confini fisici del corpo.
Real ha uno sguardo inedito e sperimentale, utilizzando poeticamente le stesse lenti di accesso ai nuovi territori digitali: visori, webcam, smartphone, camere di sorveglianza, sguardi meccanici e virtuali che raccontano di un nuovo modo di fare esperienza del reale. Senza risposte o giudizi, ma con la curiosità e la freschezza di un occhio atterrato su un nuovo pianeta, R E A L ci porta su una soglia, al di là e al di qua di un confine incerto. Con un approccio algoritmico e visivamente inedito, un documentario che è un viaggio immersivo nella nostra fantascientifica realtà di tutti i giorni: come ci si sente a essere umani nell’era digitale.
Prodotto da Pepito Produzioni e FilmAffair con Rai Cinema e Luce Cinecittà, in collaborazione con Les Films d’Ici il film sarà distribuito nei cinema da Luce Cinecittà. La distribuzione internazionale è curata da Intramovies. Scritto e diretto da Adele Tulli, Real vede la fotografia di Clarissa Cappellani e Francesca Zonars, il montaggio di Ilaria Fraioli, Adele Tulli, le musiche originali di Andrea Koch, la produzione creativa di Laura Romano. È prodotto da Agostino Saccà per Pepito Produzioni, Valeria Adilardi, Luca Ricciardi, Laura Romano, Mauro Vicentini per FilmAffair in collaborazione con Charlotte Uzu di Les Films d’Ici.
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