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Cultura

“La vita è un sogno”, al Brancati di Catania

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Originale spettacolo al “Brancati” con la Regia di Giuseppe Dipasquale

La vida es suono, y los suenos son. È questo il messaggio del capolavoro di Pedro Calderon de la Barca, filosofo e scrittore del Seicento, adattato per il palcoscenico dal regista Giuseppe Di pasquale e rappresentato nei giorni scorsi al teatro Brancati di Catania.

Basilio, monarca di una Polonia immaginaria, uomo di vasta erudizione, legge negli astri che il suo erede, in quanto di indole violenta e tirannica, avrebbe arrecato danni irreparabili allo Stato. Per evitare che ciò accadesse ha ordinato che il figlio, Sigismondo, venisse chiuso in una torre e isolato dal resto del mondo. Unico contatto consentito, quello con il suo precettore, Clotaldo.

Il destino del principe arriva a una svolta allorché il vecchio padre decide di fornirgli un’ultima possibilità di diventare re. Basilio ordina dunque che venga narcotizzato e condotto nella reggia. Appena sveglio, il giovane si dimostra basito per le riverenze che gli vengono riservate e comincia a chiedersi se si trova a vivere un sogno, o se invece  si è  appena destato da un sogno antecedente.

L’esperimento di Basilio, peraltro, non sembra poter dare i risultati sperati. Sigismondo conferma infatti la sua indole malvagia e la conseguente inidoneità al potere. Egli trova però il sostegno del popolo che lo impone al vertice dello Stato e in maniera del tutto inattesa avviene un cambiamento radicale nella persona, che scopre doti di mitezza e saggia determinazione.

In perfetta armonia con la formazione dello scrittore spagnolo, il progetto nasce da “simpatie” filosofiche, oltre che da precise scelte letterarie. La condizione di Sigismondo, isolato dal mondo e imprigionato in una torre inaccessibile, suggerisce suggestioni platoniche, anche se l’epicentro della Vita è un sogno non è la contrapposizione fra luce e ombra, come nel filosofo greco, ma fra realtà e apparenza, tema dal sapore molto più moderno.

Le domande che si pone Sigismondo sono peraltro quelle dell’autore. Come discernere la realtà dal vagheggiamento onirico, il vero dal falso?

E soprattutto  l’intera vita dell’uomo è una realtà, oppure un sogno, contrapposto a una logica più ampia che conduce all’Eterno?

La trama, nel testo originale, così come nella riduzione teatrale di Dipasquale, che con una coraggiosa sforbiciata rinchiude tutto in  due atti, (erano tre nell’ opera di Calderon de la Barca), ingloba toni tragici ( si sfiora il parricidio) e di vago sapore epico, e si arricchisce di vicende  estranee al fil rouge dell’opera, (come il conflitto amore-odio di Rosaura e Astolfo), ma che creano una cornice guasconesca e di cortigianeria, che arricchisce il racconto con un po’ di suspense che non guasta.

Perfetti nei rispettivi ruoli Mariano (Basilio) e Ruben (Sigismondo) Rigillo (padre e figlio), Angelo Tosto (il precettore Clotaldo) e Alessandro D’Ambrosi (giullare) così come Filippo Brazzaventre, Federica Gurrieri, Valerio Santi e Silvia Siravo che completano il cast.

Meritorio l’impegno del regista, se non altro per avere ricreato sul palcoscenico il clima di una stagione rivoluzionaria del pensiero,  e della conseguente crisi del vecchio dogmatismo. Un pensiero trasversale e transnazionale, che su diversi piani, vedeva impegnati filosofi e scrittori del livello di Cartesio, Shakespeare, Cervantes. E ovviamente Calderon de la Barca.

Al regista Dipasquale va riconosciuto il merito e il coraggio di cimentarsi con un testo molto impegnativo, in quanto metafora di sintesi ardite fra umano e divino, realtà e sogno, assoluto e relativo, che si aggrovigliano e confondono, rendendo il testo più adatto a menti filosofiche che a spettatori di media cultura.

Né giova alla linearità dello spettacolo lo stile baroccheggiante del testo,  che, pur contribuendo a creare “atmosfera”, appesantisce  la comunicazione e rischia di confondere.

Per alleggerire la grevità della pièce ci saremmo aspettati una scenografia più intrigante che andasse oltre le pur apprezzabili proiezioni sulla scena. Azzeccata, invece, l’idea di dare risalto alla figura del giullare (il bravo e convincente Alessandro D’Ambrosi), che con le sue uscite cialtronesche, ha offerto spunti di comicità molto apprezzati.

E’ un testo ancora attuale, quello di Calderon de la Barca? La risposta è univoca, ed è sì. Il messaggio dell’opera è politico, etico ed esistenziale a un tempo ed è universale. Esso si dipana lungo tutta l’opera, ma nell’adattamento di Dipasquale, con grande impatto scenico, esaltato dalla bellezza dei costumi, viene concentrato nelle ultime battute, quasi un testamento spirituale con cui, dopo avere sperimentato la metamorfosi che la politica produce nei confronti dell’individuo e avere folgorato con precisione chirurgica quel tanto di machiavellico che soggiace all’etica del potere, perviene a un’illuminante  riflessione sull’importanza del sogno nella sua contrapposizione alla realtà, un’intuizione che anticipa di quasi duecento anni uno dei presupposti fondanti del pensiero romantico e che soprattutto si presta a richiamare  a una dimensione più umana le scelte di vita dell’uomo moderno.

 Alfio Chiarello

 

Cultura

I ponti della memoria

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Entrare nella Fondazione ”Marco Besso ” a Roma che ospita la mostra ” I ponti della memoria : l’ Arte che travalica i confini ” è un privilegio sia perché offre l’ occasione per visitare la prestigiosa Fondazione Fondazione ”Marco Besso ” sia perché si beneficia della visione degli arazzi , delle sculture , delle opere e delle tessiture di carta , tutte opere di Marussia e Tania Kalimerova.

La mostra

La mostra in esposizione nei saloni della Fondazione consente ai visitatori di vivere una straordinaria esperienza,densa di emozioni che si fondono e si insinuano ,a poco a poco, nell’ animo di sensazioni e sentimenti profondi . Osservare e ammirare le creazioni delle due artiste sorelle è un trasferirsi con la mente in uno spazio dove la magia della bellezza, il calore umano ,la fantasia, la sincerità e l’ entusiasmo per la propria arte , elaborati con tecniche varie e originali , affascinano e commuovono con sensazioni di gioiosa serenità.

Le opere

Nelle opere delle due sorelle emerge sempre un senso costruttivo originato dalla loro stessa formazione nella patria bulgara. In ambedue è presente una forte creatività ,che ,in Marussia prematuramente scomparsa, esprime un’ anima ardente intessuta da punte drammatiche. In Tania invece si coglie una serena visione della realtà , pur sempre disincantata, ma capace di trascinare in una dimensione fiabesca. Il pensiero delle due artiste è analogo indubbiamente frutto della matrice bulgara, ma si dipana in modi
diversi e personali. In Marussia traspare una sofferta costruzione delle forme che gravano incombenti e provocano forte impatto nel cuore del visitatore.

Tania, la musicista

In Tania, musicista e cantante lirica, affiora la dolcezza della melodia. Le sue composizioni appaiono delicate , intrecciate ,ma pur sempre aree e leggere e capaci di trascinare in una realtà ,densa di armoniosa serenità ,che tocca in profondità e al tempo stesso rasserena l’ animo del visitatore.

La mostra delle due artiste evidenzia un percorso artistico segnato ancora una volta da un ulteriore successo delle creazioni e ammirato da gran parte del mondo culturale e della società del nostro tempo. Un sentito ringraziamento va quindi alle due artiste.

Laura Bisso

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Cultura

Educare all’affettività, una sfida per la scuola

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Educare l’affettività è quell’arte specialissima che dà senso a ciò che accade nel cuore dei ragazzi e impegna ad aiutarli nell’orientare il cuore verso il bene e la felicità e a indicargli la giusta direzione.
La data, annunciata da tempo dall’Ufficio diocesano di Pastorale scolastica, ha consentito la partecipazione di numerosi docenti, i quali hanno avuto modo di riflettere e approfondire il tema dell’educazione all’affettività, che va ben oltre quello dell’educazione sessuale,  spesso proposto come attività integrativa al curricolo scolastico

Educarsi per educare”, è il costrutto verbale che pone al centro lo studente come fine, ma sollecita una diligente preparazione all’arte educativa ed impegna a “saper guardare tutti e saper osservare ciascuno”, per favorire il processo di formazione integrale dello studente, come persona e come cittadino.

L’educazione all’affettività necessita un animo pronto ed una esplicita intenzionalità di ricercare il miglior bene per i propri studenti attraverso la proposta culturale di una scuola di qualità e di una palestra formativa nella sfera cognitiva ed affettiva.

Dopo il saluto introduttivo del prof. Marco Pappalardo, direttore dell’ufficio di Pastorale scolastica, l’Arcivescovo di Catania, Mons Luigi Renna, ha tracciato le linee guida del percorso formativo, orientato a colmare i deficit di paternità e di maternità, intrecciando i temi relativi alla  persona, ai sentimenti, alla relazione e quindi promuovere l’arte del “generare”,  “prendersi cura”, “accompagnare,”  “guidare”, “lasciare andare”, rendendo ciascuno protagonista attivo e responsabile nel processo di crescita.

L’intervento dello psicologo, sessuologo ed educatore, Saverio Sgroi, ricco delle espressioni dirette dei ragazzi,  raccolte dai questionari  proposti agli studenti durante gli incontri formativi nelle vare scuole, ha delineato il percorso che un bravo educatore ha il compito di svolgere per essere guida, modello esemplare e maestro di vita.

Ascoltando le espressioni dei ragazzi “sto con te perché mi fai star bene” si coglie un aspetto ancora incompleto dell’amore inteso come dono, capacità di donare e di  donarsi all’altro e quindi “amare per tutta la vita”.

Il percorso formativo accompagna il passaggio dalle emozioni che sono brevi, immediate, legate al presente, verso il sentimento che va coltivato e richiede riflessione e diligenza, per poi conseguire il traguardo finale che  si esprime nella passione di amore,  termine che richiama anche il sacrificio e la rinuncia.

La regola pedagogica di Michel Quoist: insegnare ai ragazzi a “pensare col cuore e amare col cervello”, attiva un chiasmo intrecciando i verbi e le azioni, assicurando una garanzia di successo e di crescita armonica. Educare gli adolescenti all’amore vuol dire, infatti, aiutarli ad avere un rapporto equilibrato col proprio corpo e con la propria sessualità, che li condurrà ad un’idea di un amore umano, capace di contenere in sé, in maniera completamente integrata, la sessualità e la diversità di genere.: L’identità, l’intimità, il pudore, la fragilità delle relazioni  e poi ancora il tempo,

l’autostima, l’amore, la difesa dell’amicizia, la gelosia, la fiducia  e la ricerca di  interessi comuni, costituiscono i campi di azione e di interventi educativi da espletare nell’esercizio della professione di docente, educatore, adulto.

Per educare l’affettività e la sessualità ci vogliono  docenti e genitori che sappiano dedicare a questo lavoro le loro migliori energie, trasmettendo ai ragazzi l’idea che il sesso non è un giocattolo. Buona parte della felicità di una persona dipende da come viene vissuta la sessualità nel rapporto con sé stessi e con gli altri.

Il secondo intervento è stato svolto dal prof. Fredy Petralia, docente di informatica presso l’Istituto San Francesco di Sales di Catania, il quale con passione ha trasmesso ai docenti la ricca esperienza di guida nel saper  insegnare come utilizzare il telefonino, e i social media, presentando gli abusi , i rischi e le conseguenze di un uso scorretto e improprio di tali strumenti nella costruzione di relazioni e di comunicazione tra i compagni e gli amici. La diffusa pornografia sui social trasmette l’idea di una sessualità povera, aggressiva, spesso violenta, e provoca traumi che segnano fortemente la propria esistenza. I ripetuti episodi di stupro che riempiono le pagine di cronaca,  hanno come genesi la mancanza di educazione in famiglia e la carente azione formativa della scuola.

Rispondendo agli interventi i relatori hanno ulteriormente sviluppato le molteplici emergenze educative che rendono la società fluida, priva di regole e di controlli nella costruzione delle tre fasi della vita che declinano nell’infanzia “io sono amato”; nell’adolescenza “ imparare a conoscere e ad amare se stessi” e nella giovinezza e nella  maturità  insegna a “saper amare gli altri”.

Giuseppe Adernò

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Cultura

Il tricolore della Foncanesa

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io e la cura delle malattie neoplastiche del sangue FON. CA. N E. SA.

La delegazione ANCRI è stata accolta dalla presidente Agata Rosalba  Zappalà Massimino , la quale ha presentato le origini e le finalità di  “Casa Santella”, centro di accoglienza presso il policlinico di Catania,

Il prof. Francesco Di Raimondo, direttore della Divisione clinicizzata di ematologia del Policlinico ha evidenziato i positivi benefici dei pazienti che sono sereni nel sapere i loro familiari ben accolti a “Casa Santella” e la testimonianza di alcuni ospiti ha confermato lo stile di cooperazione e di familiarità che si instaura tra i pazienti.

 

l presidente della sezione catanese, Gr. Uff. Giuseppe Adernò, insieme ai Cavalieri Antonio Benfatti e Antonina Panebianco delegati nazionale e sezionale alla “Solidarietà sociale “, hanno donato alla Fondazione la bandiera d’Italia come segno di riconoscimento per il generoso e lodevole servizio  socio assistenziale offerto dal 1999 ai familiari dei pazienti ricoverati nel reparti delle malattie del sangue, anche in memoria della giovane Santella Massimino, prematuramente scomparsa.

Sono intervenuti alla manifestazione i Cavalieri: Mariella Gennarino, Annamaria Polimeni, Salvatore Vicari, Antonio Alecci, Fabio Raciti e Giuseppe Gennarino.

Molto apprezzato il messaggio augurale inviato dal Presidente Nazionale ANCRI, Cav. Antonello De Oto dell’Università di Bologna.

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