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Il passaporto vaccinale e la ripartenza del turismo

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UN ANNO SENZA TURISMO : ONORIAMO LA SCOMPARSA, ATTENDIAMO LA RINASCITA.

Un anno. Un lunghissimo anno. Qualche mese in più di una gravidanza. Ma che, al contrario di una nascita, ha generato una fine. La fine di molte nostre certezze. O di parte di esse.

Nuove parole sono entrate nel nostro lessico quotidiano (lockdown, pandemia, distanziamento sociale, smartwork, Dad, infodemia, droplets, contact tracing, zone colorate, webinar, zoom, negazionisti, virologi, tuttologi, saturimetro, vaccino). Era l’11 Marzo, quando l’OMS dichiarò la Pandemia globale. E da quel giorno, quella parola che avevamo conosciuto solo sulle catastrofiche e distopiche serie TV, ha iniziato a far parte delle nostre vite.

Sono bastati pochi mesi per mettere in ginocchio l’economia mondiale e affossare le nostre certezze. E il turismo, malato più di ogni altro settore produttivo, è crollato. L’anno peggiore della storia del turismo, lo ha definito l’Organizzazione Mondiale del Turismo che in uno dei suoi ultimi report  ha quantificato in -74% gli arrivi internazionali e 1.300 miliardi di dollari la perdita nel 2020. Oltre 1 miliardo di arrivi in meno, rispetto al 2019, causati dalla crollo della domanda e dalle restrizioni mondiali. E, cosa che non fa dormire sonni tranquilli a chi di turismo vive, oltre 100 milioni di posti di lavoro a rischio.

I numeri in Italia

Solo in Italia, la perdita sarebbe di 57 milioni di turisti, 71 miliardi di euro e qualche punto di Pil nazionale. Non è passato giorno senza che il Governo nazionale e regionale sottolineassero quanto l’industria turistica fosse la più colpita, quanto il turismo contribuisse alla ricchezza del paese e come andasse supportato il settore con ogni sorta di aiuto. Utilizzando la potenza di fuoco e ogni mezzo consentito.

 

Un anno di parole. Parole che hanno tenuto con il fiato sospeso milioni di persone, in attesa di una scialuppa di salvataggio che non è mai arrivata o che si è rivelata troppo piccola per contenere tutti gli occupanti.

Un annus horribilis, che ha generato una dolorosa perdita e che avuto 4 stagioni: una primavera di sorpresa, un’estate di speranza, un autunno di attesa e un inverno di abbandono.

Ma in tutte le fasi, i protagonisti (nel bene e nel male) sono stati i resilienti addetti ai lavori. Dapprima gestendo la difficile fase di rientro dei connazionali, poi quello dei rimborsi e dei voucher. Il tutto, non curandosi della consapevolezza – che si è fatta sempre più certezza – che sarebbero serviti almeno due anni, prima di potere rivedere uno spiraglio di luce. La resilienza, caratteristica necessaria di chi ha la responsabilità di gestire il tempo libero delle persone.

Le previsioni sanitarie poco chiare e il blocco negli spostamenti hanno causato il blocco totale delle prenotazioni. Ed il crollo del traffico aereo, con la conseguente tempistica necessaria per la ripartenza, unita alle restrizioni in vigore, ne hanno allungato i tempi.

Oggi, la speranza per la ripartenza turistica risiede nel vaccino, nella ripresa dei voli e nella forza di reazione del genere umano. I lunghi mesi di limbo hanno causato un crollo emotivo, oltre che economico. E probabilmente, la voglia di ripartire – quando le condizioni lo permetteranno e quando sarà possibile garantire la massima sicurezza– sarà tanta.

Una stagione da archiviare (e provare a dimenticare), in vista di un futuro che la possa cancellare come fosse solo un brutto ricordo.

Per il turismo, il futuro è ancora a tinte fosche. Ma rimanere fermi non è una opzione. Si ripartirà, facendo tesoro di quanto accaduto e provando a disegnare il turismo del domani. Un turismo che abbia a cuore temi come la sostenibilità, il benessere delle popolazioni locali, l’impatto per il pianeta, l’accessibilità e la capacità di trasformazione.

E ci piacerebbe pensare che la rinascita del nostro paese, ancora duramente colpito dalla Pandemia, passi dal turismo e dall’industria dei viaggi.

IL PASSAPORTO SANITARIO

L’unica speranza, oggi, risiederebbe quindi nel vaccino che potrebbe porre fine alle sofferenze. La libertà di scelta individuale, le questioni etiche e la tempistica di somministrazione potrebbe però pregiudicare (o ritardare) la fine dell’epidemia. Ragione per la quale, molte compagnie aeree e catene alberghiere – per cercare di fare ripartire i viaggi – vorrebbero richiedere la garanzia del vaccino ai viaggiatori. Questo, tramite l’istituzione di un passaporto sanitario.

I passaporti sanitari rappresenterebbero lo strumento essenziale per ripristinare la fiducia tra i viaggiatori e fare ripartire l’industria dei viaggi. Uno strumento che, con tutta probabilità, farebbe  parte delle nostre vite ben oltre la fine della pandemia COVID-19. In pratica, un documento digitale – contenente lo stato sanitario di un soggetto, con particolare attenzione al tampone anti-Covid e alla vaccinazione contro il Coronavirus- che attesterebbe l’avvenuta immunizzazione e permetterebbe di spostarsi in altri Paesi senza obbligo di test o quarantena.

Un requisito medico che è stato accolto come necessario dal Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen , ma che ancora pochissimi paesi al mondo hanno riconosciuto. Tra questi, l’Islanda (a cui seguirà a breve la Svezia e la Norvegia), primo paese Europeo che ha fornito certificati di vaccinazione ai propri cittadini e che riconoscerà eventuali certificati simili emessi da qualsiasi altro paese dell’UE o dell’area Schengen. Un’idea, quello di permettere l’accesso ai vaccinati, che non è nuova nel turismo e che non riguarda solo il Covid. Basti pensare a tutti quei paesi che obbligano al vaccino contro la febbre gialla coloro i quali provengono da alcuni paesi africani o sudamericani, dove la malattia è endemica.

Sono tanti i progetti e le compagnie aeree che stanno spingendo per la sua sperimentazione e realizzazione. Dal passaporto Verifly  di British Airways ed American Airlines, allo IATA Travel Pass (che interessa circa 40 compagnie aeree) e ancora dal Common Pass (appoggiato dalla Lufthasa, Swiss, United e Cathay Pacific) al Digital Health Pass  di IBM. Alcuni progetti sono già partiti e sono in piena sperimentazione, altri procedono a ritmo più lento. Meccanismi diversi, ma un obiettivo comune: ripristinare la fiducia e la sicurezza nel mondo dei viaggi.

Poiché la privacy dei passeggeri e la protezione dei dati condivisi è uno dei terreni di scontro, sembra che i passeggeri potranno scegliere di condividere, o meno, i propri dati con i governi o limitarsi a consentire di farlo solo con le compagnie aeree, che ne verificheranno i requisiti e consentiranno l’imbarco.

Per le compagnie aeree e gli operatori del turismo – che spingono per la sua applicabilità- potrebbe essere la svolta. Sia perché favorirebbe la possibile ripartenza, sia perché velocizzerebbe i controlli e gli imbarchi. Il passaporto sanitario si scaricherebbe gratuitamente sul proprio smartphone  ed attiverebbe inserendo i propri dati. Una APP aggiornata costantemente, con le comunicazioni in tempo reale provenienti dalle cliniche o centri convenzionati in cui si effettueranno i tamponi. E quindi, un’alternativa ai test effettuati negli aeroporti.

Alcune destinazioni turistiche, grazie al certificato vaccinale digitale, hanno già eliminato la quarantena obbligatoria ed ogni tipo di restrizione a quei turisti in grado di provare l’avvenuta vaccinazione. Ma sono tanti i paesi, soprattutto quelli a vocazione turistica, che spingono nella stessa direzione.

La prova dell’avvenuta vaccinazione potrebbe essere quindi il Golden Ticket per la ripartenza del turismo e del mondo dei viaggi. Ma il turismo non può attendere la vaccinazione, che – come ricordato dal segretario generale della UNWTO,  Zurab Pololikashvili  “deve rientrare in una strategia generale di misure essenziali alla ripartenza del mondo dei viaggi, armonizzando e coordinando i test, il tracciamento e i certificati di vaccinazione. Uno sforzo necessario per preparare la ripartenza del turismo”.  

“Anche se molto è stato fatto per rendere possibili viaggi internazionali sicuri, siamo consapevoli che la crisi è lungi dall’essere finita” (Zurab Pololikashvili UNWTO)

Una situazione drammatica che è “far from over” (lungi dall’essere finita) ma che grazie ai vaccini e all’allentamento delle restrizioni, potrebbe mutare e contribuire alla ripartenza del turismo, riportandolo ai numeri del passato. Cosa che, nella migliore delle ipotesi, non potrà però avvenire prima del 2023-2024.

 

Cultura

“Reaching for the Stars”, la mostra a Firenze

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Arturo Galanino

A Firenze, città d’arte  per antonomasia, la Fondazione Palazzo Strozzi presenta, dal 4 marzo al 18 giugno, la mostra “Reaching for the stars’, a cura  di Arturo Galanino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi.

Sono state selezionate più di 70 opere dei  più importanti artisti contemporanei internazionali: Maurizio Cattelan, Sarah Lucas, Damien Hirst, Lara Favaretto, Cindy Sherman, William Kentridge, Berlinde De Bruyckere, Josh Kline, Lynette Yiadom-Boakye, Rudolf Stingel.

Una collezione  d’arte consente di  condividere  bellezza e di goderne.

E questo e’ ciò che traspare dalla  collezione  di  Patrizia Sandretto Re Rebaudengo,che,  trent’anni orsono, ha iniziato tale attività.

Collezionare opere d’ arte  e’  soprattutto mettersi in gioco,mostrare i propri gusti culturali, il proprio senso estetico, dal cinema al teatro, in un   percorso di vita costellato  da sfide, conquiste,dolori e gioie.

E i fruitori della mostra, che comprende  opere,  installazioni e dipinti, vivono profonde emozioni che vivificano lo spirito e l’intelligenza di chi li osserva.

La Signora  Sandretto Re Rebaudengo, come la grande collezionista e mecenate d’arte americana, Peggy Guggenhaim,  è sempre stata libera nelle scelte e pronta a dare forza a nuovi artisti all’inizio della loro carriera,infatti  ha definito la sua collezione “ collezione generazionale”.

Collezione con cui si sono visti crescere   gli stessi artisti  oggi  divenuti delle stars,  collezione  che non ha tempo, rimane   immortale nella mente dei visitatori della mostra, attori di una rinascita culturale e umana.

Laura Bisso 

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Cinema

La Location Guide del cinema in Sicilia

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Cinema, la Regione presenta la guida alle location nell’Isola. Amata: «Investire in questo segmento produttivo»
 
È stata presentata questa mattina, nella sede Sicilia del Centro sperimentale di cinematografia ai Cantieri culturali della Zisa (Sala Bianca), a Palermo, la nuova “Location Guide” dell’assessorato regionale del Turismo, dello sport e dello spettacolo – Sicilia Film Commission, una mappa multimediale altamente professionale al servizio di tutte le produzioni cinematografiche che intendono investire nell’Isola.
 
A illustrare il nuovo strumento di promozione del territorio l’assessore regionale al Turismo, allo sport e allo spettacolo, Elvira Amata, e la presidente della Fondazione Centro sperimentale di cinematografia, Marta Donzelli, che hanno firmato anche il rinnovo della convenzione tra la Regione Siciliana e il Csc per il mantenimento della sede Sicilia della Scuola nazionale di Cinema per gli anni 2024-2025, cui fanno capo le attività didattiche legate ai bandi in corso di definizione.
 
«Abbiamo fatto un lavoro di squadra per ottenere due risultati – dichiara l’assessore Amata – fornire una guida multimediale delle location da offrire ai produttori cinematografici, realizzandola con il lavoro degli ex allievi. Programmazione, investimenti, formazione sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi, in particolare quello di offrire opportunità di crescita e di lavoro ai nostri giovani. Il cinema si interessa alla Sicilia perché la Sicilia è cinema, come diceva Leonardo Sciascia, è già un set all’aperto. La Regione ha interesse a implementare questo segmento produttivo, perché è naturale farlo e crediamo sia un’opportunità importante per creare sviluppo economico: abbiamo un ritorno immediato quando le produzioni arrivano in Sicilia, ma anche dopo, con l’indotto turistico, quando da tutto il mondo decidono di scegliere questi luoghi visti sullo schermo. Inoltre, è importante che le istituzioni collaborino per fornire sempre maggiori servizi alle produzioni».

Il progetto “Location Guide”, interamente realizzato dalla sede Sicilia del Centro sperimentale di cinematografia, ha visto il pieno coinvolgimento degli ex allievi e ha richiesto quasi un anno di riprese. La copia cartacea della mappa, pubblicata nel 2009, è adesso affiancata da una versione più evoluta, composta da foto e video ad altissima risoluzione. Un archivio multimediale imponente, che la Sicilia Film Commission potrà mettere a disposizione delle produzioni e più in generale di tutti gli operatori del settore audiovisivo interessati a scoprire le opportunità che l’Isola offre in termini di location cinematografiche, dai luoghi più noti e frequentati alle ambientazioni più insolite e fuori dall’ordinario.
In fase di programmazione delle riprese, un tavolo tecnico si è occupato del censimento delle aree, tenendo in massima considerazione quelle meno conosciute. La realizzazione della guida ha coinvolto tre troupe, composte da ex allievi, oggi tutti filmmaker professionisti, che hanno realizzato le riprese, anche avvalendosi di droni per la mappatura dall’alto, delle 350 location nelle 9 province.


«Questa terra è vocata al cinema – aggiunge Marta Donzelli – , proprio per questo è particolarmente interessante che la sede siciliana del Centro sperimentale abbia il genere del documentario al centro della sua attività, permettendo di osservare il mondo con occhi diversi. Grazie al supporto economico della Regione, abbiamo la possibilità di realizzare una programmazione a lungo termine. Come Centro sperimentale investiremo risorse e potenzieremo l’offerta formativa della scuola di Palermo, che è uno dei nostri fiori all’occhiello, perché c’è grandissima richiesta di giovani professionisti in questo settore da parte del mondo del lavoro».
 
All’incontro erano presenti anche il direttore della Sicilia Film Commission Nicola Tarantino, il direttore generale del Csc Monica Cipriani, la Head of studies del Csc per gli investimenti del Pnrr relativi alle sedi regionali Savina Neirotti, la direttrice artistica del Csc Sicilia Costanza Quatriglio e il direttore della sede regionale Ivan Scinardo.

FOTO di alcuni luoghi censiti a questo link.
 
VIDEO
Clicca qui per scaricare il promo della Location Guide.
Riprese della presentazione e interviste ad Amata e Donzelli sono disponibili 
a questo indirizzo.
 
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Ufficio Stampa e Documentazione
Regione Siciliana

 

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Cultura

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Ora è il momento di una riflessione

Dopo la giusta reazione emotiva suscitata nell’opinione pubblica dalla tragedia di Crotone, è forse il momento di una riflessione critica che ci consenta di andare oltre la commozione e l’indignazione immediate e ci permetta di cogliere il senso politico di quanto è accaduto la notte tra sabato 24 e domenica 25 febbraio.

Non sappiamo ancora, ovviamente, quali saranno le conclusioni della magistratura. Ma una lunga esperienza, nel corso di questa Seconda Repubblica, ci ha insegnato che la verità e la giustizia processuali, pur pienamente legittime, non coincidono spesso con quelle reali. Perciò non ci si deve attendere – neanche in questo caso – che siano le sentenze dei giudici a sciogliere i nodi della politica, che invece vanno affrontati guardando alla realtà.

I fatti

E, nel caso del naufragio di Crotone, la realtà dei fatti è ormai abbastanza chiaramente accertata. Ricostruiamone brevemente lo svolgimento. Sono le 22.30 quando un aereo Frontex (l’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera), segnala la presenza di un barcone a 40 miglia dalle coste crotonesi e indica le coordinate. Fa anche sapere che, dal monitoraggio satellitare, è possibile rilevare la presenza di una «significativa risposta termica». Insomma, che quella barca è stracolma di persone. Viene inoltre rilevato che a bordo c’è un telefono cellulare turco. Dunque, si tratta di una imbarcazione di migranti. Viene informata, per conoscenza, anche la Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma.

Poco dopo la mezzanotte partono due mezzi della Guardia di Finanza. Ma il mare è troppo agitato – forza 5, a tratti forza 6 – e le motovedette delle Fiamme Gialle sono costrette a rientrare. Non essendo destinate ai salvataggi, ma alla “intercettazione”, non sono equipaggiate per il mare grosso. Verso le due un nuovo tentativo, anche questo vano.

Alle 4,10 di domenica 26 una telefonata al 112, partita da un cellulare internazionale – in cui si sentono le voci concitate delle persone che invocano aiuto – mette in moto i soccorsi, ormai tardivi: il barcone si è spezzato e in mare e sulla spiaggia ci sono quasi soltanto cadaveri.

Tra le 22,30 e le 4,10 c’era tutto il tempo per soccorrere l’imbarcazione dei migranti. Bastava che, invece delle motovedette della Guardia di Finanza uscissero quelle della Guardia costiera, attrezzate anche per affrontare il mare più agitato e dunque in grado di portare soccorso al barcone. Perché non lo hanno fatto?

La risposta che è stata data – secondo cui la comunicazione dell’aereo di Frontex non parlava di una situazione di pericolo – è evidentemente inadeguata. Il fatto stesso che per due volte le motovedette delle Fiamme Gialle abbiano dovuto tornare in porto per la violenza del mare forza 6 dimostrava con chiarezza che il pericolo per l’imbarcazione dei profughi in arrivo c’era ed era grave.

E neppure è plausibile la giustificazione basata sul fatto che dal barcone non è arrivato nessun SOS. In un regolamento per i soccorsi in mare redatto nel 2020 dalla Capitaneria di Porto-Guardia Costiera, entrato in vigore dal 2021 – voluto dall’allora ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli proprio per cancellare le ambiguità su questo punto – , dice chiaramente che le operazioni di salvataggio devono scattare alla minima segnalazione: «Quando si presume che sussista una reale situazione di pericolo per le persone, si deve adottare un criterio non restrittivo, nel senso che una notizia con un minimo di attendibilità deve essere considerata veritiera a tutti gli effetti».

Una scelta politica

La sola spiegazione del mancato invio delle motovedette della Guardia costiera può essere che si è scelto di fronteggiare l’arrivo dei migranti con una operazione di polizia di frontiera – spettante appunto alla Guardia di Finanza – e non come una operazione SAR (dall’ inglese Search And Rescue: “ricerca e soccorso”). Non siamo in grado di dire chi ha preso concretamente questa decisione – sarà l’indagine giudiziaria a stabilirlo – , ma possiamo senza alcun dubbio individuarne la responsabilità politica nella linea della maggioranza al governo.

Già nel suo programma elettorale si leggeva, al punto 6, un preciso impegno: «Difesa dei confini nazionali ed europei come richiesto dall’UE con il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, con controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del nord Africa, la tratta degli esseri umani». Dove l’espressione «difesa dei confini nazionali ed europei» implicava, già di per sé, l’assimilazione dei migranti a invasori da respingere.

E come tali sono stati trattati i profughi poi annegati sulla spiaggia di Crotone. Questo spiega anche perché, mentre il presidente della Repubblica e la segretaria del maggior partito di opposizione si sono recati a rendere omaggio alle loro salme, nessun esponente del governo ha ritenuto di doverlo fare. Per il nostro esecutivo erano solo clandestini, fuori-legge che venivano a violare i nostri confini.

Naturalmente ciò non significa che se ne volesse direttamente la morte. L’importante è che i migranti non vengano a “invaderci”. E questo in concreto si traduce in una drastica alternativa: annegamento nel Mediterraneo o blocco delle partenze. La seconda ipotesi è quella preferita: già nel programma sopra citato, il riferimento all’«accordo con le autorità del nord Africa» allude alla soluzione più volte indicata dalla Meloni, che prevede di fermare i migranti prima che partano.

Il blocco delle partenze

È una strada già inaugurata dal ministro dell’Interno del governo di centrosinistra guidato da Paolo Gentiloni, Marco Minniti, che nel febbraio del 2017, con l’accordo della UE, ha firmato un “Memorandum d’intesa” col governo libico in cui si concedevano aiuti economici e supporto tecnico, in cambio dell’impegno di quel governo di controllare più strettamente le partenze dei migranti dalle sue coste, facendone bloccare i barconi dalla sua Guardia costiera e trattenendo le persone in appositi “centri d’accoglienza”.

Un accordo bollato con parole durissime dall’Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad al Hussein: «La politica Ue di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia è disumana. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità».

Coerentemente con il suo programma – peraltro approvato dagli elettori -, il nuovo governo di destra ha rinnovato l’accordo. Anzi, a suggellarne la continuità, il nostro premier, Giorgia Meloni, lo scorso 28 gennaio, in occasione della sua visita in Libia, ha concordato la consegna di cinque motovedette alla Guardia costiera. È significativo che questa ultima intesa sia stata firmata dal nostro presidente del Consiglio il giorno dopo la “Giornata della memoria” celebrata, in ricordo dell’Olocausto, all’insegna del grido unanime: «Mai più!».

Pochi giorni prima, la Meloni si era visibilmente commossa parlando delle vittime delle persecuzioni razziali durante la cerimonia per la festa ebraica Hannukkah al museo ebraico. Il suo intervento è iniziato asciugandosi le lacrime: «Noi femmine ogni tanto facciamo questa cosa un po’ così… Di essere troppo sensibili… Noi mamme in particolare…».

I migranti morti a Crotone non venivano dalla Libia, ma da terre non meno devastate dalla violenza e dalla miseria: Afghanistan, Siria, Iraq e Pakistan. C’erano a bordo molte donne con i loro bambini. Chi sa se Giorgia Meloni ha versato anche per loro qualche lacrima di mamma…

L’ alternativa è la morte

Quel che è certo è che, al di là delle emozioni, la sola alternativa prevista dal governo da lei presieduto rimane quella sopra detta: se non si riesce a bloccarne la partenza, la sola soluzione non è che i migranti – uomini, donne, bambini – vengano salvati, ma che anneghino. Se ciò accade, dunque, è colpa loro.

È quello che, ingenuamente, ha detto, senza i giri di parole dei diplomatici, il ministro Piantedosi. La sua colpa è di essere stato chiaro – da buon “questurino”, come lui stesso si è vantato di essere – , nell’esprimere il punto di vista del governo: «L’unica vera cosa che va detta e affermata è: “Non devono partire”. [Non si può] immaginare che ci siano alternative da mettere sullo stesso piano – salvare, non salvare…». La sola vera alternativa è la morte.

Lo ha ripetuto in un tweet anche Vittorio Feltri, giornalista storico della destra e ora anche rappresentante di FdI in Lombardia: «Agli extracomunitari ricordo un vecchio detto italiano: partire è un po’ morire. State a casa vostra».

Per questo il governo ha varato un “Decreto sicurezza” che cerca di eliminare la falsa “terza alternativa” costituita dal «salvare», cercando di limitare e ostacolare il più possibile l’attività di soccorso delle ONG. O non si parte, o bisogna sapere che se si parte si muore.

Piantedosi non ha capito che era meglio non dire queste cose nel bel mezzo di una commozione collettiva. Anzi, è stato così sprovveduto da esplicitare un punto che nemmeno Giorgia Meloni finora aveva avuto il coraggio di dire, continuando a trincerarsi dietro il solito «Aiutiamoli a casa loro». E cioè che gli stranieri che hanno problemi devono cercare di aiutarsi da sé – come hanno insegnato al ministro fin da bambino – , perché noi italiani, più in generale noi europei, non abbiamo nessuna intenzione di farlo.

E quando i nostri politici continuano a ripetere che è l’Europa a dover intervenire per risolvere il problema dei flussi migratori, non pensano certo che debba farlo per sanare le piaghe economiche e politiche di paesi come la Libia o la Siria o l’Afghanistan (qui non ci sono riusciti neppure gli Stati Uniti in vent’anni di occupazione…), ma per rendere sempre più efficiente il servizio di pattugliamento poliziesco di Frontex e impedire che questi migranti vengano a naufragare sulle nostre coste, disturbando la tranquillità delle nostre coscienze.

(Fonte:Tuttavia.eu)

Giusepe Savagnone (Responsabile del sito della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo, www.tuttavia.eu.
Scrittore ed Editorialista)

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