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Editoriali

Le difficoltà e le speranze

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“Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente così”. Sono le parole asciutte pronunciate da Sergio Mattarella dopo la sua elezione a Capo dello Stato. Da bravi comunicatori proviamo, ad analizzare la frase “È sufficiente così”; c’è tutto il “Mattarella pensiero” e la storia di un uomo che non ama stare sotto i riflettori  e che già fa capire che darà alla stampa poche ma essenziali comunicazioni. Questo un primo aspetto; è emblematico che il suo pensiero vada alle persone e, noi diremmo, alle famiglie in difficoltà. In questi giorni sono stati diffusi a Palermo gli ultimi dati emersi dal Rapporto dell’Osservatorio sui fondi europei del Centro Pio La Torre. Oltre metà delle famiglie siciliane è povera: sono 1 milione e 71 mila (sono il 53,2%, contro il 24,9% della media nazionale) vivono in stato di deprivazione e cioè non riescono ad alimentarsi e curarsi adeguatamente, sostenere spese impreviste e pagare le bollette. 320 mila nuclei familiari, invece, si trovano in condizione di povertà assoluta: sono 15,8%, in Italia 7,9%. Leggendo questi dati il pensiero si sposta immediatamente sull’economia dell’isola e fa rabbia sapere che molti fondi europei non vengono spesi e che ritornano indietro o peggio spostati in altre nazioni europee più virtuose e molto più capaci della Sicilia. Ma allora perché non metter persone capaci, con i titoli giusti, a scrivere e realizzare progetti che possano utilizzare appieno i fondi comunitari?   “Troppe dispersioni ed inefficienze hanno minato l’efficacia della spesa europea. Vanno affrontate nel nuovo ciclo – ha dichiarato il presidente del Centro Pio La Torre Vito Lo Monaco – le questioni relative alla trasparenza, alla velocità dei controlli e al decentramento territoriale della spesa. Inoltre va istituito un Comitato di monitoraggio sui fondi europei fondato dalle rappresentanze del mondo associativo che, fermo restando i controlli amministrativi interni, quelli parlamentari e della magistratura, abbia accesso agli atti e serva da supporto democratico alle autorità istituzionali, amministrative e giudiziarie”. Sembra davvero una proposta interessante che ci sentiamo di rilanciare dalle colonne di questo giornale. E’ stato lo stesso assessore regionale all’economia Alessandro Baccei, ad accogliere l’invito commentando: “Accolgo la proposta della costituzione di un comitato che verifichi la corretta spesa e la giusta direzione degli investimenti. Bisogna sfruttare i fondi e non essere schiavi della burocrazia. Senza sprecare riscorse”. Ecco gli assi portanti della Sicilia: turismo e beni culturali; sanità e scienza della vita; agroalimentare ed economia siciliana; energia e vivibilità della Città. Anche se negli impegni del governo regionale risulta sempre e comunque il potenziamento dei trasporti e dei collegamenti, la realtà e ben diversa. Recentemente una trasmissione nazionale de La 7 ha raccontato la vergognosa odissea di un turista che deve raggiungere Aidone per ammirare la Dea di Morgantina. E quando arriva non trova nessuno; il museo è vuoto di visitatori, guide e depliant. Le luci sono pure spente per risparmiare. E dire che questa maestosa scultura, quando era in America, veniva ammirata da milioni di persone. Per l’economista Franco Garufi i fondi europei non rappresentano la soluzione di tutti i problemi, ma al momento sono l’unica quota di risorse disponibile per aiutare la Sicilia a uscire dalla crisi in cui giace.

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Editoriali

Giovani e futuro! Prospettive in ascolto

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Mi ha molto colpito nei giorni scorsi una intervista pubblicata dal quotidiano “Il mattino” di Napoli, al segretario dell’associazione dedicata all’economista radicale e liberale Piero Capone, Matteo Hallissey:  sui giovani, è un paese che da i numeri – ha detto ironicamente – nel 2050 avremo più pensionati che lavoratori, solo un under 25 su due ha deciso di andare a votare, il 16% del nostro Pil è investito in pensioni e ben un euro su due del nostro welfare è dato alla fascia più anziana della popolazione» ha spiegato, chiarendo come l’Italia sia un paese fondato su «vecchie generazioni». Abbiamo delle strutture di partito e di politiche che non riescono a coinvolgere abbastanza i giovani e che portano ad aumentare una disaffezione politica generale. Secondo il rappresentante di questo importante osservatorio “l’appiattimento della proposta politica degli ultimi 25 anni, la poca attenzione a temi di interesse (ambiente, scuola, diritti civili) hanno, naturalmente, confermato una considerevole diminuzione dell’affluenza giovanile alle elezioni politiche dello scorso settembre.

In un paese in cui sembra che i ragazzi non abbiano mai spazio per far sentire la propria voce e per proporre idee capaci di sfondare un modello politico vecchio decenni sembra che le nuove generazioni abbiano totalmente perso l’interesse e la forza per portare avanti le proprie lotte. Nonostante rimanga altissima la partecipazione ad iniziative su tematiche sensibili («Fridays for Future», Ddl Zan), il calo di presenze «giovani» alle urne è sempre più invasivo. In realtà la domanda da fare è un’altra, si chiede il ricercatore: i ragazzi, in Italia, vogliono fare politica? Spesso i giovani e la cittadinanza sono molto più avanti rispetto alla classe politica, spiega Hallissey, raccontando anche come iniziative locali e una nuova formazione giovanile possa aiutare i ragazzi ad avvicinarsi nuovamente alle strutture di partito. “Aiuterebbero i giovani, che spesso vogliono interessarsi al mondo politico ma non sanno da dove partire. Coinvolgerli in prima persona ma non ingabbiandoli nelle strutture giovanili di partito che, come sono oggi, somigliano più ad un parcheggio per farli aspettare”. Matteo Hallissey conclude la sua intervista dicendo: sarebbe fondamentale rimettere i giovani al centro

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Editoriali

Un preoccupante calo delle nascite

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, rispetto allo stesso periodo del 2021.  Per l’Associazione delle famiglie numerose (Anfn), per bocca del suo presidente Alfredo Caltabiano, “la fotografia sulla natalità in Italia che emerge dal report dell’Istat è la logica conseguenza dell’assenza di politiche per la famiglia e la natalità che ha caratterizzato l’Italia negli ultimi decenni”. Intervistato dal quotidiano Avvenire, Valerio Martinelli, ricercatore della Fondazione Bruno Visentini, ha dichiarato: “Occorrerebbe sviluppare una vera e propria valutazione dell’impatto generazionale delle politiche pubbliche. Penso in particolare alla fascia di persone di età compresa tra i 15 e i 34 anni» spiega Valerio Martinelli, ricercatore della Fondazione Bruno Visentini ed esperto di politiche pubbliche. «In altre parole, dobbiamo sapere quante e quali risorse sono destinate realmente a ridurre l’attuale divario generazionale.

Mettere ad esempio le giovani coppie nelle condizioni di immaginare un futuro a misura di famiglia può essere un segnale importante nella prospettiva di chi vuole avere figli. Rientrano in questa direzione le misure di incentivo all’autonomia abitativa, ancorché in affitto. Con la condizione attuale del mercato del lavoro, è difficile che un giovane under 36 voglia comprare una casa, contraendo un mutuo”. Rispetto a questi dati così sconfortanti bisogna aggiungere che la pandemia ha indotto molte persone a rinviare o a rinunciare alle nozze. Sui dati Istat ha preso posizione anche Gigi De Palo, presidente del Forum delle famiglie, dichiarando: “Sicuramente il governo ha fatto qualcosa in questa legge di bilancio, ma quello che noi diciamo è che occorre darsi un obiettivo chiaro, verificabile nel tempo. Arrivare a quota 500mila nuovi bambini nel 2033? Ecco, questo è un obiettivo sostenibile e raggiungibile”.  All’Angelus recitato da Matera, dove era andato a settembre  per chiudere il Congresso Eucaristico, papa Francesco, si fece  interprete dell’emergenza nazionale lanciando l’ennesimo appello per la natalità, nello stesso tempo incoraggiò gli italiani a considerare una società più inclusiva verso i migranti. “Vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati, disse il papa, aggiungendo che se scaviamo un abisso con questi fratelli e sorelle, ci scaviamo la fossa per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo”. Naturalmente la morte alla quale faceva  riferimento il santo padre era quella legata agli effetti dirompenti del fenomeno delle culle vuote.

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Editoriali

Scuola digitale, un evento a Bergamo

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Bergamo è stata per due giorni sede degli Stati Generali della Scuola Digitale. Dibattiti e tavole rotonde sono serviti a fare il punto sul sistema scuola – famiglia.

E’stato particolarmente apprezzato l’intervento dello psicologo e presidente della Fondazione Minotauro Matteo Lancini. In una intervista rilasciata alla testata Orizzonte Scuola ha ripreso parte del suo intervento:Negli ultimi anni la pandemia ha esacerbato dei disagi e dei malesseri già presenti. Rispetto alla scuola, bisogna lavorare come gestiremo questa epoca post-pandemica. Sento dire che la responsabilità del disagio giovanile è internet. In realtà esiste una fragilità adulta che negli ultimi anni abbiamo dovuto affrontare. Molto del benessere dei ragazzi – ha proseguito– dipenderà da come gestiremo queste fasi. Io penso che ci siano state delle bellissime lezioni in DaD e oggi ci siano delle lezioni in presenza che fanno schifo e faranno schifo in futuro. Uso termini forti ma è così. Alla scuola – osserva Lancini – manca quello che manca anche alla famiglia: non pensare alle proprie fragilità ma identificarsi coi bisogni attuali e futuri di adolescenti che sono alla disperata ricerca di un futuro. Se non lo faranno la scuola e la famiglia aumenterà il potere orientativo dei coetanei e di internet che sono due agenzie importanti, ma non hanno il mandato educativo e formativo di scuola e famiglia“. Questa una parte della dichiarazione forte di un espero che dal suo punto di  osservazione lancia seri allarmi sociali, rivolti principalmente a genitori e insegnanti. Il loro compito non può essere demandato alla rete e alle sue insidie.

I dati della ricerca Doxa Kids sono sconfortanti: il 30% dei genitori italiani ammette di non avere adeguate competenze sulle tematiche dell’online, in particolare su cyberbullismo, incitazione al suicidio, autolesionismo, hate speech e sextortion. Secondo il 39% dei genitori la scuola dovrebbe essere il punto di riferimento per la formazione digitale, eppure, quasi la metà (il 46%) degli insegnanti non si considera adeguatamente preparato per colmare le lacune informative. L’indagine, effettuata per conto di Telefono Azzurro e presentati come ogni anno al Safer Internet Day, la Giornata mondiale per la sicurezza in Rete istituita dalla Commissione Europea, fanno emergere che circa la metà dei genitori italiani (il 48%) ritiene che i propri figli siano in grado di utilizzare i social media in maniera consapevole a partire dai 16 anni. Una quota rilevante, il 26%, sostiene invece che questa consapevolezza venga raggiunta molto prima, a soli 13 anni. Il 16%, invece, crede che tale competenza maturi con la maggiore età. Nonostante i genitori abbiano le idee chiare sull’età della “maturità digitale” dei propri figli, il 45% non verifica i limiti di età per l’accesso alle app. Al lettore lascio ogni considerazione!

 

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