

Editoriali
Nella precarietà, la speranza!
Il titolo è preso in prestito da un convegno organizzato nei giorni scorsi dalla conferenza episcopale italiana a Salerno. In quella occasione il Santo padre ha fatto giungere un messaggio carico di grandi speranze per le migliaia di giovani senza lavoro: “Siate testimoni di speranza anche nella precarietà”. Ovviamente questo messaggio non può restringersi solo sui giovani partenopei ma anche e soprattutto a tutti. C’è un “bubbone” in Sicilia che si chiama “Formazione”. Nel lessico medico il termine, seppur corretto è ormai desueto. Fu ampiamente utilizzato per tutto il XIX secolo e per gran parte del XX secolo nella letteratura medica indicando alcune malattie infettive come la peste bubbonica. Ed effettivamente ciò che è successo negli ultimi due anni è paragonabile a una pestilenza che ha mietuto centinaia di lavoratori, con inevitabili ripercussioni sulle famiglie. Il bubbone, era l’anima malata, ossia i datori di lavoro che hanno rubato milioni di euro privandoli ai lavoratori, la peste invece migliaia di licenziamenti: 8.093 secondo un dossier della CGIL siciliana che ha fatto le pulci a un settore ormai collassato. L’indagine descrive operatori iscritti all’albo (3.745 uomini e 4.348 donne) per 212 enti, di cui 4.248 impegnati nella cosiddetta “Area funzionale dell’erogazione”. Soltanto un terzo dei dipendenti di questo settore (2.339) vanta una laurea nel suo curriculum, mentre il gruppo più grande è quello dei diplomati: 5.081, pari al 63 per cento. La restante parte ha in tasca una licenza media, o addirittura elementare. La fascia di età più presente è quella che va dai 45 ai 54 anni (complessivamente 2.785). La fascia tra i 55 e i 64 anni vede 2.223 lavoratori, quasi quanto i dipendenti con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni (2.165). Gli over 64 sono appena 130, ma il dato che salta più all’occhio sono gli appena 790 addetti con un’età pari o inferiore ai 34 anni. Capitolo a parte per la vicenda degli ex sportelli multifunzionali e dei 1.753 operatori. I numeri possono rappresentare una sterile elencazione di dati, ma dietro ogni numero c’è un uomo e una donna che ogni giorno si chiede “io chi sono?”. E perché questi genitori devono apparire agli occhi dei figli come dei falliti? Persone che non hanno avuto un posto di lavoro sicuro, pur essendo stati assunti prima del 2008 a tempo indeterminato. Adesso il lavoro lo hanno perduto e con esso l’identità e la dignità! C’è una frase che ha colpito molto tutti questi lavoratori, l’ha pronunciata il presidente della regione: “non faremo macelleria sociale”. La macelleria è stata fatta invece e i “cadaveri sono ormai in putrefazione”. Da due anni i dipendenti della formazione non prendono stipendio, molti sono nelle mani degli usurai, qualcuno si è suicidato e la loro protesta, davanti i palazzi del potere, è sorda. Il Papa lo ha anche scritto detto: “ho potuto toccare con mano la situazione di tanti giovani disoccupati, in cassa-integrazione o precari. E ha ribadito che questo non è solo un problema economico, ma di dignità, quella di portare a casa il pane! Sono tantissimi i giovani senza lavoro, si ha la sensazione che il momento che stiamo vivendo rappresenti “la passione” dei giovani. È forte la cultura dello scarto: tutto ciò che non serve al profitto viene scartato”. Il papa ammonisce dicendo: “scartando i giovani si scarta “il futuro di un popolo”.
Editoriali
Giovani e futuro! Prospettive in ascolto

Mi ha molto colpito nei giorni scorsi una intervista pubblicata dal quotidiano “Il mattino” di Napoli, al segretario dell’associazione dedicata all’economista radicale e liberale Piero Capone, Matteo Hallissey: sui giovani, è un paese che da i numeri – ha detto ironicamente – nel 2050 avremo più pensionati che lavoratori, solo un under 25 su due ha deciso di andare a votare, il 16% del nostro Pil è investito in pensioni e ben un euro su due del nostro welfare è dato alla fascia più anziana della popolazione» ha spiegato, chiarendo come l’Italia sia un paese fondato su «vecchie generazioni». Abbiamo delle strutture di partito e di politiche che non riescono a coinvolgere abbastanza i giovani e che portano ad aumentare una disaffezione politica generale. Secondo il rappresentante di questo importante osservatorio “l’appiattimento della proposta politica degli ultimi 25 anni, la poca attenzione a temi di interesse (ambiente, scuola, diritti civili) hanno, naturalmente, confermato una considerevole diminuzione dell’affluenza giovanile alle elezioni politiche dello scorso settembre.
In un paese in cui sembra che i ragazzi non abbiano mai spazio per far sentire la propria voce e per proporre idee capaci di sfondare un modello politico vecchio decenni sembra che le nuove generazioni abbiano totalmente perso l’interesse e la forza per portare avanti le proprie lotte. Nonostante rimanga altissima la partecipazione ad iniziative su tematiche sensibili («Fridays for Future», Ddl Zan), il calo di presenze «giovani» alle urne è sempre più invasivo. In realtà la domanda da fare è un’altra, si chiede il ricercatore: i ragazzi, in Italia, vogliono fare politica? Spesso i giovani e la cittadinanza sono molto più avanti rispetto alla classe politica, spiega Hallissey, raccontando anche come iniziative locali e una nuova formazione giovanile possa aiutare i ragazzi ad avvicinarsi nuovamente alle strutture di partito. “Aiuterebbero i giovani, che spesso vogliono interessarsi al mondo politico ma non sanno da dove partire. Coinvolgerli in prima persona ma non ingabbiandoli nelle strutture giovanili di partito che, come sono oggi, somigliano più ad un parcheggio per farli aspettare”. Matteo Hallissey conclude la sua intervista dicendo: sarebbe fondamentale rimettere i giovani al centro
Editoriali
Un preoccupante calo delle nascite

, rispetto allo stesso periodo del 2021. Per l’Associazione delle famiglie numerose (Anfn), per bocca del suo presidente Alfredo Caltabiano, “la fotografia sulla natalità in Italia che emerge dal report dell’Istat è la logica conseguenza dell’assenza di politiche per la famiglia e la natalità che ha caratterizzato l’Italia negli ultimi decenni”. Intervistato dal quotidiano Avvenire, Valerio Martinelli, ricercatore della Fondazione Bruno Visentini, ha dichiarato: “Occorrerebbe sviluppare una vera e propria valutazione dell’impatto generazionale delle politiche pubbliche. Penso in particolare alla fascia di persone di età compresa tra i 15 e i 34 anni» spiega Valerio Martinelli, ricercatore della Fondazione Bruno Visentini ed esperto di politiche pubbliche. «In altre parole, dobbiamo sapere quante e quali risorse sono destinate realmente a ridurre l’attuale divario generazionale.
Mettere ad esempio le giovani coppie nelle condizioni di immaginare un futuro a misura di famiglia può essere un segnale importante nella prospettiva di chi vuole avere figli. Rientrano in questa direzione le misure di incentivo all’autonomia abitativa, ancorché in affitto. Con la condizione attuale del mercato del lavoro, è difficile che un giovane under 36 voglia comprare una casa, contraendo un mutuo”. Rispetto a questi dati così sconfortanti bisogna aggiungere che la pandemia ha indotto molte persone a rinviare o a rinunciare alle nozze. Sui dati Istat ha preso posizione anche Gigi De Palo, presidente del Forum delle famiglie, dichiarando: “Sicuramente il governo ha fatto qualcosa in questa legge di bilancio, ma quello che noi diciamo è che occorre darsi un obiettivo chiaro, verificabile nel tempo. Arrivare a quota 500mila nuovi bambini nel 2033? Ecco, questo è un obiettivo sostenibile e raggiungibile”. All’Angelus recitato da Matera, dove era andato a settembre per chiudere il Congresso Eucaristico, papa Francesco, si fece interprete dell’emergenza nazionale lanciando l’ennesimo appello per la natalità, nello stesso tempo incoraggiò gli italiani a considerare una società più inclusiva verso i migranti. “Vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati, disse il papa, aggiungendo che se scaviamo un abisso con questi fratelli e sorelle, ci scaviamo la fossa per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo”. Naturalmente la morte alla quale faceva riferimento il santo padre era quella legata agli effetti dirompenti del fenomeno delle culle vuote.
Editoriali
Scuola digitale, un evento a Bergamo

Bergamo è stata per due giorni sede degli Stati Generali della Scuola Digitale. Dibattiti e tavole rotonde sono serviti a fare il punto sul sistema scuola – famiglia.
E’stato particolarmente apprezzato l’intervento dello psicologo e presidente della Fondazione Minotauro Matteo Lancini. In una intervista rilasciata alla testata Orizzonte Scuola ha ripreso parte del suo intervento: “Negli ultimi anni la pandemia ha esacerbato dei disagi e dei malesseri già presenti. Rispetto alla scuola, bisogna lavorare come gestiremo questa epoca post-pandemica. Sento dire che la responsabilità del disagio giovanile è internet. In realtà esiste una fragilità adulta che negli ultimi anni abbiamo dovuto affrontare. Molto del benessere dei ragazzi – ha proseguito– dipenderà da come gestiremo queste fasi. Io penso che ci siano state delle bellissime lezioni in DaD e oggi ci siano delle lezioni in presenza che fanno schifo e faranno schifo in futuro. Uso termini forti ma è così. Alla scuola – osserva Lancini – manca quello che manca anche alla famiglia: non pensare alle proprie fragilità ma identificarsi coi bisogni attuali e futuri di adolescenti che sono alla disperata ricerca di un futuro. Se non lo faranno la scuola e la famiglia aumenterà il potere orientativo dei coetanei e di internet che sono due agenzie importanti, ma non hanno il mandato educativo e formativo di scuola e famiglia“. Questa una parte della dichiarazione forte di un espero che dal suo punto di osservazione lancia seri allarmi sociali, rivolti principalmente a genitori e insegnanti. Il loro compito non può essere demandato alla rete e alle sue insidie.
I dati della ricerca Doxa Kids sono sconfortanti: il 30% dei genitori italiani ammette di non avere adeguate competenze sulle tematiche dell’online, in particolare su cyberbullismo, incitazione al suicidio, autolesionismo, hate speech e sextortion. Secondo il 39% dei genitori la scuola dovrebbe essere il punto di riferimento per la formazione digitale, eppure, quasi la metà (il 46%) degli insegnanti non si considera adeguatamente preparato per colmare le lacune informative. L’indagine, effettuata per conto di Telefono Azzurro e presentati come ogni anno al Safer Internet Day, la Giornata mondiale per la sicurezza in Rete istituita dalla Commissione Europea, fanno emergere che circa la metà dei genitori italiani (il 48%) ritiene che i propri figli siano in grado di utilizzare i social media in maniera consapevole a partire dai 16 anni. Una quota rilevante, il 26%, sostiene invece che questa consapevolezza venga raggiunta molto prima, a soli 13 anni. Il 16%, invece, crede che tale competenza maturi con la maggiore età. Nonostante i genitori abbiano le idee chiare sull’età della “maturità digitale” dei propri figli, il 45% non verifica i limiti di età per l’accesso alle app. Al lettore lascio ogni considerazione!
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