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Editoriali

Il desiderio di diventare adulti, le buone ragioni.

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Nei giorni scorsi ho letto un intervento dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini che mi ha molto colpito, parlando dei giovani ha detto che bisognerebbe offrire loro “buone ragioni per desiderare di diventare adulti. Non possiamo chiuderci in noi stessi, costruendo mura per la nostra sicurezza, perché siamo convinti che la sicurezza di un popolo, di una città, di una famiglia, di una persona non dipenda dal suo isolamento, ma dalle relazioni di buon vicinato e dalle alleanze da stabilire e da onorare”. Il presule ha parlato di gentilezza e fiducia, dicendo che “è possibile uscire da questi tempi travagliati a causa della pandemia e di tutti gli altri drammi”. Ce lo ricorda spesso anche Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” parlando della “rivoluzione della gentilezza” dove invita tutti a recuperarla con molta determinazione.

Parlando della società odierna Delpini ha usato parole forti: “c’è chi si approfitta dei deboli, che fa soldi sulla rovina degli altri, distruggendo famiglie e aziende con l’usura, che induce alla resa prima della lotta e alla rassegnazione invece che alla reazione onesta”. Il discorso del vescovo di Milano è facilmente estensibile a tutto il paese soprattutto quando tocca il tema dell’istruzione: “Il pericolo di una catastrofe educativa, come si esprime papa Francesco, in questo tempo tribolato mi fa pensare, ha affermato ancora Delpini; nelle scuole è necessario che le famiglie e le istituzioni siano alleate per contrastare le forze che insidiano e rovinano i giovani con le sostanze che creano dipendenza, con la pornografia, con la tolleranza per forme di bullismo, di abusi, di trasgressione del convivere. È quindi essenziale, ha concluso il presule, quella gentilezza della conversazione che trasmette la persuasione che la vita è una vocazione, non un enigma incomprensibile, che il futuro è promessa e responsabilità, non una minaccia, che ciascuno, così com’è, è adatto alla vita, è all’altezza delle sfide, è degno di essere amato e capace di amare. Bisogna offrire ai giovani buone ragioni per diventare adulti”.

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Editoriali

Giovani e futuro! Prospettive in ascolto

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Mi ha molto colpito nei giorni scorsi una intervista pubblicata dal quotidiano “Il mattino” di Napoli, al segretario dell’associazione dedicata all’economista radicale e liberale Piero Capone, Matteo Hallissey:  sui giovani, è un paese che da i numeri – ha detto ironicamente – nel 2050 avremo più pensionati che lavoratori, solo un under 25 su due ha deciso di andare a votare, il 16% del nostro Pil è investito in pensioni e ben un euro su due del nostro welfare è dato alla fascia più anziana della popolazione» ha spiegato, chiarendo come l’Italia sia un paese fondato su «vecchie generazioni». Abbiamo delle strutture di partito e di politiche che non riescono a coinvolgere abbastanza i giovani e che portano ad aumentare una disaffezione politica generale. Secondo il rappresentante di questo importante osservatorio “l’appiattimento della proposta politica degli ultimi 25 anni, la poca attenzione a temi di interesse (ambiente, scuola, diritti civili) hanno, naturalmente, confermato una considerevole diminuzione dell’affluenza giovanile alle elezioni politiche dello scorso settembre.

In un paese in cui sembra che i ragazzi non abbiano mai spazio per far sentire la propria voce e per proporre idee capaci di sfondare un modello politico vecchio decenni sembra che le nuove generazioni abbiano totalmente perso l’interesse e la forza per portare avanti le proprie lotte. Nonostante rimanga altissima la partecipazione ad iniziative su tematiche sensibili («Fridays for Future», Ddl Zan), il calo di presenze «giovani» alle urne è sempre più invasivo. In realtà la domanda da fare è un’altra, si chiede il ricercatore: i ragazzi, in Italia, vogliono fare politica? Spesso i giovani e la cittadinanza sono molto più avanti rispetto alla classe politica, spiega Hallissey, raccontando anche come iniziative locali e una nuova formazione giovanile possa aiutare i ragazzi ad avvicinarsi nuovamente alle strutture di partito. “Aiuterebbero i giovani, che spesso vogliono interessarsi al mondo politico ma non sanno da dove partire. Coinvolgerli in prima persona ma non ingabbiandoli nelle strutture giovanili di partito che, come sono oggi, somigliano più ad un parcheggio per farli aspettare”. Matteo Hallissey conclude la sua intervista dicendo: sarebbe fondamentale rimettere i giovani al centro

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Editoriali

Un preoccupante calo delle nascite

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, rispetto allo stesso periodo del 2021.  Per l’Associazione delle famiglie numerose (Anfn), per bocca del suo presidente Alfredo Caltabiano, “la fotografia sulla natalità in Italia che emerge dal report dell’Istat è la logica conseguenza dell’assenza di politiche per la famiglia e la natalità che ha caratterizzato l’Italia negli ultimi decenni”. Intervistato dal quotidiano Avvenire, Valerio Martinelli, ricercatore della Fondazione Bruno Visentini, ha dichiarato: “Occorrerebbe sviluppare una vera e propria valutazione dell’impatto generazionale delle politiche pubbliche. Penso in particolare alla fascia di persone di età compresa tra i 15 e i 34 anni» spiega Valerio Martinelli, ricercatore della Fondazione Bruno Visentini ed esperto di politiche pubbliche. «In altre parole, dobbiamo sapere quante e quali risorse sono destinate realmente a ridurre l’attuale divario generazionale.

Mettere ad esempio le giovani coppie nelle condizioni di immaginare un futuro a misura di famiglia può essere un segnale importante nella prospettiva di chi vuole avere figli. Rientrano in questa direzione le misure di incentivo all’autonomia abitativa, ancorché in affitto. Con la condizione attuale del mercato del lavoro, è difficile che un giovane under 36 voglia comprare una casa, contraendo un mutuo”. Rispetto a questi dati così sconfortanti bisogna aggiungere che la pandemia ha indotto molte persone a rinviare o a rinunciare alle nozze. Sui dati Istat ha preso posizione anche Gigi De Palo, presidente del Forum delle famiglie, dichiarando: “Sicuramente il governo ha fatto qualcosa in questa legge di bilancio, ma quello che noi diciamo è che occorre darsi un obiettivo chiaro, verificabile nel tempo. Arrivare a quota 500mila nuovi bambini nel 2033? Ecco, questo è un obiettivo sostenibile e raggiungibile”.  All’Angelus recitato da Matera, dove era andato a settembre  per chiudere il Congresso Eucaristico, papa Francesco, si fece  interprete dell’emergenza nazionale lanciando l’ennesimo appello per la natalità, nello stesso tempo incoraggiò gli italiani a considerare una società più inclusiva verso i migranti. “Vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati, disse il papa, aggiungendo che se scaviamo un abisso con questi fratelli e sorelle, ci scaviamo la fossa per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo”. Naturalmente la morte alla quale faceva  riferimento il santo padre era quella legata agli effetti dirompenti del fenomeno delle culle vuote.

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Editoriali

Scuola digitale, un evento a Bergamo

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Bergamo è stata per due giorni sede degli Stati Generali della Scuola Digitale. Dibattiti e tavole rotonde sono serviti a fare il punto sul sistema scuola – famiglia.

E’stato particolarmente apprezzato l’intervento dello psicologo e presidente della Fondazione Minotauro Matteo Lancini. In una intervista rilasciata alla testata Orizzonte Scuola ha ripreso parte del suo intervento:Negli ultimi anni la pandemia ha esacerbato dei disagi e dei malesseri già presenti. Rispetto alla scuola, bisogna lavorare come gestiremo questa epoca post-pandemica. Sento dire che la responsabilità del disagio giovanile è internet. In realtà esiste una fragilità adulta che negli ultimi anni abbiamo dovuto affrontare. Molto del benessere dei ragazzi – ha proseguito– dipenderà da come gestiremo queste fasi. Io penso che ci siano state delle bellissime lezioni in DaD e oggi ci siano delle lezioni in presenza che fanno schifo e faranno schifo in futuro. Uso termini forti ma è così. Alla scuola – osserva Lancini – manca quello che manca anche alla famiglia: non pensare alle proprie fragilità ma identificarsi coi bisogni attuali e futuri di adolescenti che sono alla disperata ricerca di un futuro. Se non lo faranno la scuola e la famiglia aumenterà il potere orientativo dei coetanei e di internet che sono due agenzie importanti, ma non hanno il mandato educativo e formativo di scuola e famiglia“. Questa una parte della dichiarazione forte di un espero che dal suo punto di  osservazione lancia seri allarmi sociali, rivolti principalmente a genitori e insegnanti. Il loro compito non può essere demandato alla rete e alle sue insidie.

I dati della ricerca Doxa Kids sono sconfortanti: il 30% dei genitori italiani ammette di non avere adeguate competenze sulle tematiche dell’online, in particolare su cyberbullismo, incitazione al suicidio, autolesionismo, hate speech e sextortion. Secondo il 39% dei genitori la scuola dovrebbe essere il punto di riferimento per la formazione digitale, eppure, quasi la metà (il 46%) degli insegnanti non si considera adeguatamente preparato per colmare le lacune informative. L’indagine, effettuata per conto di Telefono Azzurro e presentati come ogni anno al Safer Internet Day, la Giornata mondiale per la sicurezza in Rete istituita dalla Commissione Europea, fanno emergere che circa la metà dei genitori italiani (il 48%) ritiene che i propri figli siano in grado di utilizzare i social media in maniera consapevole a partire dai 16 anni. Una quota rilevante, il 26%, sostiene invece che questa consapevolezza venga raggiunta molto prima, a soli 13 anni. Il 16%, invece, crede che tale competenza maturi con la maggiore età. Nonostante i genitori abbiano le idee chiare sull’età della “maturità digitale” dei propri figli, il 45% non verifica i limiti di età per l’accesso alle app. Al lettore lascio ogni considerazione!

 

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