

Editoriali
I giovani come “vino buono”
“I frutti di questo lavoro stanno già “fermentando”, come fa il succo dell’uva nelle botti dopo la vendemmia. Il Sinodo dei giovani è stato una buona vendemmia, e promette del buon vino”. Sono le parole del papa a margine di questo importante evento che ha coinvolto migliaia di giovani. E se da un lato Francesco ha fatto riferimento al pentimento e alle scuse degli adulti per avere ascoltato poco i giovani, anzi per averli scandalizzati, dall’altro ha messo in evidenza un modo nuovo di pensare e vedere la Chiesa, liberata dal paternalismo clericale e impegnata, come un corpo unitario di tutti i battezzati, a un annuncio del Vangelo testimoniato dalla vita. Fatti e non parole dunque. “I giovani, si legge nel paragrafo 166 del documento conclusivo, hanno chiesto a gran voce una chiesa autentica, luminosa, trasparente, gioiosa: solo una Chiesa di santi può essere all’altezza di tali richieste. Molti di loro l’hanno lasciata perché non vi hanno trovato santità, ma mediocrità, presunzione, divisione e corruzione. Purtroppo il mondo è indignato dagli abusi di alcune persone della Chiesa piuttosto che ravvivato dalla santità dei suoi membri: per questo la Chiesa nel suo insieme deve compiere un deciso, immediato e radicale cambio di prospettiva. E’ davanti a questo panorama di desideri e realtà che Francesco inserisce il bisturi delle riforme tese a pervadere la Chiesa tutta, clero compreso, di una mentalità nuova già suggerita e proposta dal concilio ma avversata da attrezzate minoranze clericali”. Passare in sostanza dal pensare e fare qualcosa “per” i giovani, a dare “con” i giovani testimonianza unitaria della fede cristiana. Il documento finale del sinodo prevede la partecipazione attiva e ordinaria dei giovani nelle chiese “particolari”, negli organismi delle conferenze episcopali e della Chiesa universale. Se davvero è iniziata questa rivoluzione certamente si può immaginare in un prossimo futuro, rappresentanze giovanili perfino nella Curia vaticana per facilitare la capacità di dialogo verso le periferie del mondo. Si è evocato un organismo di rappresentanza dei giovani a livello internazionale. Sarà dunque inevitabile ascoltare la voce delle nuove generazioni, adottare linguaggi nuovi che possa consentire alla chiesa di fare un vero e proprio svecchiamento. Le conseguenze saranno importanti e positive come l’aumento delle vocazioni; i seminari così potranno tornare a a crescere nel numero di iscritti e aumenterebbero inevitabilmente i laici in seno agli organismi pastorali e soprattutto nelle messe domenicali. Le conseguenze del sinodo dovranno essere metabolizzate a lungo e soprattutto essere messe in pratica ma certamente questo è l’inizio di un lungo cammino che darà buoni frutti.
Editoriali
Giovani e futuro! Prospettive in ascolto

Mi ha molto colpito nei giorni scorsi una intervista pubblicata dal quotidiano “Il mattino” di Napoli, al segretario dell’associazione dedicata all’economista radicale e liberale Piero Capone, Matteo Hallissey: sui giovani, è un paese che da i numeri – ha detto ironicamente – nel 2050 avremo più pensionati che lavoratori, solo un under 25 su due ha deciso di andare a votare, il 16% del nostro Pil è investito in pensioni e ben un euro su due del nostro welfare è dato alla fascia più anziana della popolazione» ha spiegato, chiarendo come l’Italia sia un paese fondato su «vecchie generazioni». Abbiamo delle strutture di partito e di politiche che non riescono a coinvolgere abbastanza i giovani e che portano ad aumentare una disaffezione politica generale. Secondo il rappresentante di questo importante osservatorio “l’appiattimento della proposta politica degli ultimi 25 anni, la poca attenzione a temi di interesse (ambiente, scuola, diritti civili) hanno, naturalmente, confermato una considerevole diminuzione dell’affluenza giovanile alle elezioni politiche dello scorso settembre.
In un paese in cui sembra che i ragazzi non abbiano mai spazio per far sentire la propria voce e per proporre idee capaci di sfondare un modello politico vecchio decenni sembra che le nuove generazioni abbiano totalmente perso l’interesse e la forza per portare avanti le proprie lotte. Nonostante rimanga altissima la partecipazione ad iniziative su tematiche sensibili («Fridays for Future», Ddl Zan), il calo di presenze «giovani» alle urne è sempre più invasivo. In realtà la domanda da fare è un’altra, si chiede il ricercatore: i ragazzi, in Italia, vogliono fare politica? Spesso i giovani e la cittadinanza sono molto più avanti rispetto alla classe politica, spiega Hallissey, raccontando anche come iniziative locali e una nuova formazione giovanile possa aiutare i ragazzi ad avvicinarsi nuovamente alle strutture di partito. “Aiuterebbero i giovani, che spesso vogliono interessarsi al mondo politico ma non sanno da dove partire. Coinvolgerli in prima persona ma non ingabbiandoli nelle strutture giovanili di partito che, come sono oggi, somigliano più ad un parcheggio per farli aspettare”. Matteo Hallissey conclude la sua intervista dicendo: sarebbe fondamentale rimettere i giovani al centro
Editoriali
Un preoccupante calo delle nascite

, rispetto allo stesso periodo del 2021. Per l’Associazione delle famiglie numerose (Anfn), per bocca del suo presidente Alfredo Caltabiano, “la fotografia sulla natalità in Italia che emerge dal report dell’Istat è la logica conseguenza dell’assenza di politiche per la famiglia e la natalità che ha caratterizzato l’Italia negli ultimi decenni”. Intervistato dal quotidiano Avvenire, Valerio Martinelli, ricercatore della Fondazione Bruno Visentini, ha dichiarato: “Occorrerebbe sviluppare una vera e propria valutazione dell’impatto generazionale delle politiche pubbliche. Penso in particolare alla fascia di persone di età compresa tra i 15 e i 34 anni» spiega Valerio Martinelli, ricercatore della Fondazione Bruno Visentini ed esperto di politiche pubbliche. «In altre parole, dobbiamo sapere quante e quali risorse sono destinate realmente a ridurre l’attuale divario generazionale.
Mettere ad esempio le giovani coppie nelle condizioni di immaginare un futuro a misura di famiglia può essere un segnale importante nella prospettiva di chi vuole avere figli. Rientrano in questa direzione le misure di incentivo all’autonomia abitativa, ancorché in affitto. Con la condizione attuale del mercato del lavoro, è difficile che un giovane under 36 voglia comprare una casa, contraendo un mutuo”. Rispetto a questi dati così sconfortanti bisogna aggiungere che la pandemia ha indotto molte persone a rinviare o a rinunciare alle nozze. Sui dati Istat ha preso posizione anche Gigi De Palo, presidente del Forum delle famiglie, dichiarando: “Sicuramente il governo ha fatto qualcosa in questa legge di bilancio, ma quello che noi diciamo è che occorre darsi un obiettivo chiaro, verificabile nel tempo. Arrivare a quota 500mila nuovi bambini nel 2033? Ecco, questo è un obiettivo sostenibile e raggiungibile”. All’Angelus recitato da Matera, dove era andato a settembre per chiudere il Congresso Eucaristico, papa Francesco, si fece interprete dell’emergenza nazionale lanciando l’ennesimo appello per la natalità, nello stesso tempo incoraggiò gli italiani a considerare una società più inclusiva verso i migranti. “Vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati, disse il papa, aggiungendo che se scaviamo un abisso con questi fratelli e sorelle, ci scaviamo la fossa per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo”. Naturalmente la morte alla quale faceva riferimento il santo padre era quella legata agli effetti dirompenti del fenomeno delle culle vuote.
Editoriali
Scuola digitale, un evento a Bergamo

Bergamo è stata per due giorni sede degli Stati Generali della Scuola Digitale. Dibattiti e tavole rotonde sono serviti a fare il punto sul sistema scuola – famiglia.
E’stato particolarmente apprezzato l’intervento dello psicologo e presidente della Fondazione Minotauro Matteo Lancini. In una intervista rilasciata alla testata Orizzonte Scuola ha ripreso parte del suo intervento: “Negli ultimi anni la pandemia ha esacerbato dei disagi e dei malesseri già presenti. Rispetto alla scuola, bisogna lavorare come gestiremo questa epoca post-pandemica. Sento dire che la responsabilità del disagio giovanile è internet. In realtà esiste una fragilità adulta che negli ultimi anni abbiamo dovuto affrontare. Molto del benessere dei ragazzi – ha proseguito– dipenderà da come gestiremo queste fasi. Io penso che ci siano state delle bellissime lezioni in DaD e oggi ci siano delle lezioni in presenza che fanno schifo e faranno schifo in futuro. Uso termini forti ma è così. Alla scuola – osserva Lancini – manca quello che manca anche alla famiglia: non pensare alle proprie fragilità ma identificarsi coi bisogni attuali e futuri di adolescenti che sono alla disperata ricerca di un futuro. Se non lo faranno la scuola e la famiglia aumenterà il potere orientativo dei coetanei e di internet che sono due agenzie importanti, ma non hanno il mandato educativo e formativo di scuola e famiglia“. Questa una parte della dichiarazione forte di un espero che dal suo punto di osservazione lancia seri allarmi sociali, rivolti principalmente a genitori e insegnanti. Il loro compito non può essere demandato alla rete e alle sue insidie.
I dati della ricerca Doxa Kids sono sconfortanti: il 30% dei genitori italiani ammette di non avere adeguate competenze sulle tematiche dell’online, in particolare su cyberbullismo, incitazione al suicidio, autolesionismo, hate speech e sextortion. Secondo il 39% dei genitori la scuola dovrebbe essere il punto di riferimento per la formazione digitale, eppure, quasi la metà (il 46%) degli insegnanti non si considera adeguatamente preparato per colmare le lacune informative. L’indagine, effettuata per conto di Telefono Azzurro e presentati come ogni anno al Safer Internet Day, la Giornata mondiale per la sicurezza in Rete istituita dalla Commissione Europea, fanno emergere che circa la metà dei genitori italiani (il 48%) ritiene che i propri figli siano in grado di utilizzare i social media in maniera consapevole a partire dai 16 anni. Una quota rilevante, il 26%, sostiene invece che questa consapevolezza venga raggiunta molto prima, a soli 13 anni. Il 16%, invece, crede che tale competenza maturi con la maggiore età. Nonostante i genitori abbiano le idee chiare sull’età della “maturità digitale” dei propri figli, il 45% non verifica i limiti di età per l’accesso alle app. Al lettore lascio ogni considerazione!
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