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Editoriali

A lezione di creatività

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Ho lavorato per quasi 8 anni con un contratto di collaborazione giornalistica alla cronaca di Enna del Giornale di Sicilia. Avevo 25 anni e potere scrivere sulle pagine del quotidiano più letto in Sicilia, appresentava forse l’occasione più importante della mia breve ma intensa carriera di cronista di provincia. Mi occupavo di cronaca nera e, devo dire con assoluta sincerità, era un compito veramente rognoso, raccontare di omicidi, stupri, violenze ed altro.Il 2 luglio del 1996 il capo servizio mi mandò presso il comune di Corleone per partecipare ad un incontro organizzato dal sindaco Giuseppe Cipriani con alcuni giovani del paese e il noto fotografo Oliviero Toscani. Corleone è il paese di Riina e Provenzano, il Padrino di Francis Ford Coppola era Don Vito di Corleone. Ma a Corleone vivono anche dei giovani, come il sindaco Giuseppe Cipriani istigatore dell’iniziativa di Toscani, che desiderano far piazza pulita di questa miserrima immagine. <br>”Nessuno ha ricordato che Corleone è la patria delle lotte contadine contro la mafia e di martiri come Bernardino Verro e Placido Rizzotto ? esordisce il sindaco- e che bisognerebbe far conoscere questo grande patrimonio storico, totalmente dimenticato. Toscani, che dimostra di non sapere nulla di tali lotte, dichiara: Vorrei Maria Concetta Riina (la figlia di Totò Riina) come testimonial della mia pubblicità antimafia. Questo slancio di assoluta originalità mi ha fatto molto riflettere sul concetto di creatività.<br>Forse Oliviero Toscani è solo un bravo fotografo. O forse è davvero quel guru della comunicazione, il rivoluzionario guerriero dell’immagine che è quotidianamente osannato e criticato, censurato e adulato da giornali, televisioni, imprese e uomini d’affari. Il binomio amore-odio lo definisce solo in parte, lo descrive per quell’aspetto di superficie, di “rappresentazione” come lui stesso ama dire, che serve a comunicare agli altri la sua diversità, il suo non-allineamento culturale prima che politico, sociale o artistico. Raccontarlo non è cosa facile, anche se al contrario incontarlo ed intervistarlo è stato semplice, perchè è persona disponibile ed affabile, che ama parlare di sé e delle cose che lo circondano. Le idee, le sue idee, sono un’esposizione di paradigmi a cui corrisponde un’applicazione quotidiana nelle scelte di lavoro che fa, nelle operazioni di comunicazione che porta avanti.<br>Oliviero Toscani ha studiato fotografia e grafica alla Kunstgewerbeschule di Zurigo; da quest’anno si ritrova in Svizzera come professore universitario nell’Accademia d’Architettura di Mendrisio. Qui insegna Comunicazione visiva, perché come dice lui, non tutti quelli che studiano architettura faranno gli architetti. Obbiettivo dei corsi, tornare ad essere analfabeti per vedere in un’immagine le verità che le sovrastrutture della cultura, anziché rilevare, hanno nascosto.<br>Le sue campagne ci sconvolgono perché ritroviamo delle verità che la pubblicità non ci ha insegnato a vedere. A questo proposito Toscani dice: “Io non so che cosa non sia la realtà. Non credo che si possa filmare o fotografare qualche cosa che non esiste nella realtà. Quindi alla fine è proprio l’immagine a diventare la realtà, anzi sempre di più è l’immagine ad essere la realtà. Non è più vero ciò che è vero, ma è vero ciò che è documentato da una macchina televisiva, un apparecchio fotografico o una cinepresa. <br>Se per Leopardi il passato era una cara rimembranza, probabilmente l’unica stagione felice, per il creativo “globale”, così ama definirsi Oliviero Toscani, è un guardare indietro con rabbia o, per dirla in, inglese “look back in anger”. Un mestiere non scelto il suo, perché acquisito in casa dal padre, primo fotoreporter del “Corriere della Sera”. <br>In realtà, sostiene Oliviero, la creatività nasce nel momento di massima insicurezza, quando ci si fa prendere dalla sensibilità e si mettono da parte le certezze, che producono solo una mediocrità prevedibile, e si cerca qualcosa di personale, che, in quanto tale, è comunque interessante. <br>E allora anche i seni un po’ cadenti sono più interessanti dei seni siliconati e un naso aquilino più bello di un nasino rifatto. <br>Il dettaglio, la ricerca, il rifiuto del già visto sono i suoi tratti distintivi che lo rendono un grande creativo. <br>Toscani lavora per le persone, non per le aziende. Nella sua attività ne ha fotografate migliaia, perché ognuna esprime qualcosa di diverso.<br>Ognuno ha un proprio modo di vedere una fotografia; per una stessa foto una volta si è trovato incriminato in Inghilterra e premiato in Olanda, e un’altra accusato in Germania e premiato in Giappone. Ogni paese ha un alone di ombra attorno alla propria cultura. Nel 1983 l’incontro con Luciano, Benetton naturalmente, non l’azienda Benetton. L’azienda ha già attività in tutto il mondo e quando le vendite vanno bene l’artista può creare come il buffone di corte può deridere il re. <br>”L’impresa è costituita da merce, profitto e creatività, ma la merce è l’immagine che se ne dà, afferma laconico il,grande artista. Mentre i manager delle aziende considerano gli artisti dei narcisi isterici, che magari ricordano loro i desideri artistici sconfitti della gioventù, Luciano lascia Oliviero libero di creare. All’inizio nelle fotografie ci sono gli abiti Benetton, poi, pian piano, passano in secondo piano, fino a scomparire del tutto per lasciare spazio al racconto condensato in una immagine forte, la mano bianca dentro alla mano nera, il cormorano ricoperto di greggio che nuota in un mare di petrolio, il bambino appena nato con il cordone ombelicale ancora da recidere. E poi la foto degli abiti intrisi di sangue di un morto in Bosnia, il malato morente di Aids.<br>Ha creato Colors, rivista globale, che con il concorso di giovani creativi di tutto il mondo intreccia immagini e racconto, affrontando luoghi e problemi, dal valore della vita umana alla guerra, al cibo. Oggi Toscani si interroga su come vengano lette le immagini, per esempio quelle che compaiono sulla pagina di giornale, dove accanto alla mamma di Cogne c’è la pubblicità della Chicco. Ora, che in mancanza di fede ed ideologie ci nutriamo di immagini, ci è sempre più difficile comprendere questo nuovo mondo che ci sta venendo addosso con la velocità di un meteorite. <br>Bisogna fare comunicazione, così vive la televisione, vivono i giornali … è tutto un sistema di autofinanziamento”.<br>”Le imprese potrebbero produrre controinformazione ma non hanno alcun interesse a farlo. Perchè non hanno il livello culturale. Chi decide la comunicazione delle aziende normalmente è l’amministratore delegato che quando va bene ha studiato alla Bocconi di Milano. Quindi non ha alcun senso estetico, ha solamente la volgarità di chi si interessa esclusivamente all’economia. Per questa ragione la comunicazione delle aziende è mediocre, volgare e inutile. Nei media comunque sia ci vuole un minimo di ricerca. I prodotti in verità creano imbarazzo. Siamo sotterrati, ci sono troppi prodotti, tutti uguali. Non c’è nessuna differenza. Produrre qualsiasi cosa ormai è talmente facile che quasi lo si può fare per telefono” <br>”Perché l’esigenza di attribuire un’anima? Io penso che già oggi nei fatti le aziende siano un’entità sociale molto importante. Credo che debbano avere una responsabilità sociopolitica. E’ strano che al capitale venga perdonato tutto, che a fini di lucro e di profitto si permettano le ”cazzate” che vengono realizzate a livello di comunicazione. Io non lo accetto. Quando vedo certe pubblicità ho vergogna di appartenere alla razza umana”. Il creativo Toscani insomma, non cerca di perpetrare il mito del prodotto che una volta posseduto rende felice il cliente. La sua pubblicità è pura comunicazione ed é così che é riuscita ad attirare l’attenzione del pubblico distinguendosi anche nell’attuale, eccessivo, universo di immagini. <br>D- Ma c’è ancora spazio per i creativi ? R- Chi pensa può essere creativo e chi è creativo è sovversivo. Eppure dobbiamo avere il coraggio di rischiare di essere diversi perché la diversità è bellezza, anche se la razza umana è una sola. E allora forse il suo guardare indietro con rabbia è la consapevolezza dei limiti oggettivi, anche della più feconda creatività di fronte a un mondo diventato sempre più diseguale. Ivan Scinardo

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Editoriali

Il lavoro che c’è! I dati Istat

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L’Istat ha diffuso in questi giorni le stime mensili su occupati e disoccupati. Il calo dell’occupazione registrato nel confronto trimestrale si associa alla diminuzione delle persone in cerca di lavoro e alla crescita degli inattivi. Politici e opinionisti in tv sembrano avere la ricetta “magica” per fronteggiare l’alto tasso di disoccupazione giovanile.

Sembra prevalere la tesi che il problema sarebbe quasi esclusivamente riconducibile alla crisi economica che ha messo in ginocchio il sistema produttivo dello stato e di conseguenza abbassato il livello occupazionale.

C’è uno studio che fa da contraltare; lo ha condotto l’agenzia McKinsey & Company indagando sul rapporto “sistema scolastico-mondo produttivo” al fine di cercare le ragioni che stanno al base del costante aumento di disoccupazione. Secondo la ricerca, negli ultimi vent’anni, la probabilità per un giovane sotto i 30 anni di essere disoccupato è risultata essere stabilmente 3,5 volte superiore alla popolazione adulta (la media europea di attesta intorno al 2). Secondo lo studio, il problema lavorativo italiano nascerebbe dal difficile rapporto tra il sistema scolastico e i reali bisogni del sistema produttivo italiano. Molte aziende faticano a trovare giovani lavoratori adatti alle mansioni da svolgere, in primis per carenza di ragazzi formati in determinati ambiti e con le adeguate competenze.

Nel prendere la decisione, solo il 38% degli studenti intervistati conosce le opportunità occupazionali offerte dai vari percorsi scolastici. Il risultato è un disallineamento tra domanda e offerta, evidente in particolare per i diplomati tecnici e professionali. Ma anche per gli studenti universitari lo sbocco professionale resta in secondo piano: “meno del 30% degli universitari sceglie l’indirizzo di studi sulla base degli sbocchi occupazionali, mentre il 66% è motivato dall’interesse e dalle attitudini personali. Da evidenziare anche che solo il 42% delle imprese italiane ritiene che i giovani che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro abbiano una preparazione adeguata.

Nel 47% dei casi, rispetto alla media europea del 33%, le aziende italiane reputano i giovani appena entrati nel mondo del lavoro, inadatti a svolgere le mansioni richieste loro. Secondo il rapporto inoltre stage e tirocini hanno una durata inferiore a un mese in quasi il 50% dei casi nella scuola superiore e in circa il 30% dei casi all’università, e coinvolgono solo la metà degli studenti d’istruzione secondaria e terziaria. Il rapporto fa emergere anche un aspetto grave e cioè che la fonte primaria per conoscere le opportunità di lavoro per i giovani italiani tra i 15 e i 29 anni sono gli amici e i parenti. I canali istituzionali come i centri per l’impiego si rendono utili solo all’1% dei giovani del nostro paese. Soltanto per fare un esempio, in Germania, per esempio, gli uffici di collocamento sono il mezzo principale di ricerca di occupazione nell’80% dei casi.

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Editoriali

Bonus psicologo, le nuove regole

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La Commissione Europea ha diffuso nei giorni scorsi dati preoccupanti; lo riporta Famiglia Crstiana: su 300.000 domande, oltre il 60%, pari a 180.000, proviene da cittadini sotto i 35 anni: il 43,55% riguarda giovani tra i 18 e i 35 anni, mentre il 16,62% è a favore di minori (0-18 anni. Pandemia, guerra, inflazione, caro-bollette sono tutti fattori che sicuramente incidono, ma anche lo stress lavorativo, il timore di perdere il lavoro in un periodo di incertezze, i cambiamenti subentrati nei luoghi e negli orari adibiti all’ambito lavorativo hanno avuto conseguenza, soprattutto sui più giovani, su quello che è il benessere psicologo.

A condurre l’indagine ADP Research Institute, su un vasto campione di 33.000 lavoratori in 17 paesi, di cui circa 2000 in Italia. Dalla ricerca emerge che uno su cinque (il 21%) dichiara di non essere attualmente soddisfatto del proprio lavoro. Il primo motivo (44%) è dato dalla mancanza di possibilità di crescita professionale e quindi mancanza di prospettive, il 32% pensa di avere un ruolo poco impegnativo, poco motivante, mentre il 25% è scontento perché l’aumento delle responsabilità corrisponde raramente a un aumento in busta paga. Solo il 6% dichiara come la pandemia gli abbia fatto pensare di abbandonare il mondo del lavoro.

Un particolare disagio lo subiscono i giovani genitori: il 47% pensa che essere genitore sia ancora un ostacolo alla carriera. Oggi non è solo lo stipendio a muovere il giovane lavoratore, non basta la promessa di una paga alta. Il 18% dei lavoratori della fascia 18-34 afferma inoltre di sentirsi giornalmente sotto pressione. Si sente stressato più volte a settimana il 34% degli intervistati, mentre l’11% solo due o tre volte al mese. Causa principale di questa pressione, per un lavoratore su quattro, è l’aumento delle responsabilità subentrato con la pandemia (ma appunto non seguito da un aumento di stipendio o da un salto di carriera), le spesso infinite ore di lavoro giornaliero (22%) ma anche la paura di perdere il lavoro: il 21% non si sente sicuro, è preoccupato.

ro risenta negativamente dei propri problemi psicologici e umore. Il 22% ha inoltre dichiarato come la propria azienda non stia facendo nulla in proposito, non dimostrando interesse nell’incentivare azioni per aiutare i lavoratori psicologicamente più fragili. La scadenza per ottenere il bonus è stata a fine ottobre, le graduatorie sono attese entro il 7 dicembre, poi dall’8 si potranno prenotare le sedute. La misura è stata introdotta nel luglio scorso. Le domande sono state oltre 300mila, per il 60% provenivano da persone con meno di 35 anni. I fondi, aumentati da 10 milioni a 25, sono comunque considerati pochi: potranno soddisfare il 12% circa delle esigenze

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Scuola, giovani e lavoro

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E’ stato molto apprezzato il discorso che il nuovo premier Giorgia meloni ha fatto per l’insediamento alla Camera dei Deputati. Al centro dell’agenda politica 3 temi fondamentali: la scuola, i giovani, il lavoro. Ecco uno stralcio:

“Serve colmare il grande divario esistente tra formazione e competenze richieste dal mercato del lavoro, con percorsi formativi specifici, certamente, ma ancora prima grazie a una formazione scolastica e universitaria più attente alle dinamiche del mercato del lavoro. L’istruzione è il più formidabile strumento per aumentare la ricchezza di una nazione, sotto tutti i punti di vista. Il capitale materiale non è nulla senza capitale umano. Per questo la scuola e l’università torneranno centrali nell’azione di governo, perché rappresentano una risorsa strategica fondamentale per l’Italia, per il suo futuro e i suoi giovani”.

Al di là dei discorsi più o meno costruiti e che attendono sempre la piena realizzazione la speranza è che il nuovo ministro dell’istruzione possa concentrare la massima attenzione sulle fasce più deboli della popolazione in particolare nei confronti di tutte quelle famiglie che hanno molte difficoltà a mantenere i figli a scuola. Quest’anno si celebra il centenario della nascita del Maestro Mario Lodi, celebre la sua frase: “La scuola promuove, punto!” chiaro il riferimento alla scuola di tutti e per tutti.

Tornando al discorso di Giorgia Meloni, il governo non può non tenere conto degli ultimi dati delle ricerche sui Neet (Not in Education, Employment or Training), cittadini di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non lavorano (disoccupati o “inattivi” e  non frequentano corsi formali d’istruzione o di formazione), uno su due è alla ricerca di lavoro da almeno un anno (il 51,6%, una quota più alta di quella del 2020, 44,9%). Lo rileva l’Istat nel report ‘Livelli di istruzione e ritorni occupazionali’. Nel 2021, con la ripresa del mercato del lavoro diminuiscono i NEET disoccupati e quelli appartenenti alle forze di lavoro potenziali: aumenta dunque tra i NEET la quota degli inattivi che non cercano un impiego e non sarebbero disponibili a lavorare (35,9%, +2,7 punti), più frequentemente di genere femminile, con responsabilità familiari di cura e assistenza a bambini o adulti non autosufficienti.

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