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Giornalismo

Come nasce e si sviluppa Oasi.tv (can.848 di Sky)

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Tutte le formazioni sociali crescono e prosperano solo se sono permeate da una spinta ideale e durano nel tempo solo se riescono a diventare delle comunità morali.La televisione come strumento per uno scopo più alto per realizzare una finalità più importante una missione, una vocazione un sogno una visione. Solo chi è mosso da una visione può fare ciò che gli altri non riescono nemmeno a pensare, nemmeno a immaginare e che giudicano una follia o una sciocchezza, o come si sente in giro un giocattolo. L’impulso a creare non appartiene alla dimensione del prendere ma del dare, non a quella dell’egoismo ma dell’altruismo. E anche il potere in questo caso è solo uno strumento per potere donare; parafrasando il fondatore dell’Oasi, padre Luigi Ferlauto: ”potere è servire”. Il reattore, il costruttore, chi ha un sogno, non comanda, non esige ubbidienza per il gusto di vedere la gente inchinarsi davanti alla sua potenza, ma per edificare insieme qualcosa che riguarda tutti. Egli perciò percepisce il comando come un appello e l’ubbidienza come un assenso. Molti pero non rispondono a questa chiamata e resistono o addirittura non la capiscono. Così i creatori sono costretti ad avanzare fra incomprensioni ed ostacoli. Finchè non hanno vinto, non hanno dimostrato che si poteva fare l’impossibile raggiungere l’irragiungibile. Ho ricevuto la fiducia e l’incarico di creare una tv dal nulla. Era la fine dell’anno 2001. Mi sono sentito in questi anni una guida con un sogno e dei compagni di viaggio che hanno condiviso il sogno. Teso in ogni momento a imprimere slancio e vita, superando gli ostacoli più difficili, cercando di convincere i più riottosi, attraendo persone motivate e creative; sicuro che questa impresa sarebbe cresciuta sempre di più, come un grande albero che domina su tutti. Il grande sociologo Alberoni, ha scirtto in uno dei suoi saggi che uno degli errori più gravi che può compiere un leader è pensare di avere fatto tutto da solo, chiudersi nella sua sicurezza e non ascoltare le voci che gli danno informazioni, suggerimenti oppure che lo avvertono degli errori e dei pericoli. Il leader è prima di tutto il custode della meta
colui che ricorda e indica a tutti dove si deve andare e controlla che la rotta venga tenuta. Ho cercato dunque di trasmettere ad ogni livello dell’organizzazione il senso della missione, del progetto, il significato del compito e il senso del dovere. L’ho fatto perché ci ho creduto profondamente. Nessuno convince gli altri se non è convinto lui stesso. Nessuno trasmette modelli se non li pratica personalmente, se non dà l’esempio. Simpatia fiducia entusiasmo nel gruppo dei collaboratori sono diventati un imperativo. Ognuno si è sentito spinto a mettere a frutto tutta la propria energia e intelligenza. Così ad ognuno è stato assegnata una responsabilità un compito; ognuno protagonista del proprio lavoro. Purtroppo spesso ci si dimentica che una impresa prospera quando tutti, dai più alti dirigenti ai più umili collaboratori, sono ragionevolmente sicuri che la loro attività venga capita, apprezzata premiata con equità e giustizia. Troppo spesso dimentichiamo che una impresa fiorisce quando la gente a tutti i livelli si stima, si rispetta, quando anziché odiarsi collabora, quando si aiuta, quando non mente. Qualcuno ha voluto immaginare la televisione come impresa, vista solo come entità economica, con i suoi bilanci in perdita, con profeti di sciagure che ogni giorno ti ricordano l’immediata chiusura. L’imprinting che ho voluto dare a questa Tv fin da subito è stato quello di non immaginare l’azienda fatta solo di muri, computer, telecamere e bilanci, ma di uomini, di progetti, di sogni. Pensare che la tv non era soltanto una entità economica ma prima di tutto una comunità morale. Quando si spezza la comunità morale e un piccolo gruppo resta unito solo dalla ricerca del potere, del guadagno, delle chiacchiere o peggio dalla ipocrisia e dalla paura, il suo destino è segnato: lentamente declina, sprofonda nella mediocrità e alla fine fallisce. E allora fin da subito mi sono buttato in questa avventura con impeto a lavorare e realizzare forse ciò che nessuno avrebbe osato fare, in un contesto così piccolo come Troina. Ho tenuto sempre in mente la distinzione tra il freddo finanziere che manovra azioni e denaro senza nemmeno vedere le imprese che gestisce, con l’imprenditore che invece le crea. Sforzarsi nell’intuire l’interiorità delle persone, leggere la loro anima. Non è mai mancato il coraggio a trasmetter al gruppo di lavoro a sentirsi più forte e migliore; questo probabilmente ci ha aiutato ogni giorno a realizzare gli obiettivi prefissati. La televisione, durante la mia direzione, ha funzionato grazie all’opera quotidiana e a volte oscura di persone che fin dal primo giorno di lavoro hanno mostrato spirito di abnegazione e senso del dovere. Impiegati efficienti e onesti che hanno cercato di superare ogni difficoltà legata spesso a carenze amministrative. L’unico modo per conoscere veramente cosa è stato realizzato in questi anni e quello di visionare l’archivio di Oasi.tv. Oltre 1500 ore di video partendo da zero minuti e senza mai comprare dall’esterno, un solo minuto di immagini, tutto in larga parte autoprodotto. E’ impossibile inventare format televisivi partendo solo dalla ricerche di mercato chiedendo direttamente al telespettatore che cosa ha bisogno. Fare la televisione sembra semplice. Si ha l’impressione che non ci sia molto lavoro. Una sigla, un redazionale, uno speciale, ore e ore spese a riflettere a inventarsi una idea originale creativa e sapere trasmettere il concetto che quella idea per la sua semplicità sarebbe potuta venire a tutti. La storia ci insegna che chi ha un grande progetto troverà sempre chi lo ostacola perché non lo capisce, perchè non ne intende l’importanza, la necessità. Per ostacolare basta poco; si avanzano obiezioni, (si, ma, però), si ritardano le pratiche, si rimandano le decisioni. Ecco perché a volte si cammina da soli, senza alcun appoggio, vivendo quasi da emarginati, con un senso di colpa profondo nel vedere i conti in rosso. In tre anni sono stati prodotti oltre 10 format televisivi: il Positive News, il tg quotidiano, il Positive news settimanale, approfondimento di notizie, Pensare positivo, con l’intervento quotidiano da Milano dell’editorialista Enzo Catania, Osinforma, con gli approfondimenti sulla salute, Handynews, dedicato al mondo delle disabilità, Terzo Settore, Cult(cultura e spettacoli), Euroinfo, informazioni dall’Europa, gli Speciali e numerosissimi eventi in diretta dai luoghi più importanti d’Italia. Una televisione che negli anni ha conquistato importanti fette d’ascolto posizionandosi nell’enorme mercato televisivo e dell’informazione. Spero che quest’albero possa durare in eterno producendo sempre buoni frutti. Buona fortuna!

Uno dei formati di Oasi.tv

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Giornalismo

Il discorso del Santo Padre ai giornalisti

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Parole a braccio

Care sorelle e cari fratelli, buongiorno! E grazie tante di essere venuti!

Nelle mani ho un discorso di nove pagine. A quest’ora, con lo stomaco che incomincia a muoversi, leggere nove pagine sarebbe una tortura. Io darò questo al Prefetto. Che sia lui a comunicarlo a voi.

Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione. Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza!

Sono contento di questo Giubileo dei comunicatori. Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce: costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero. “Padre, io sempre dico le cose vere…” – “Ma tu, sei vero? Non solo le cose che tu dici, ma tu, nel tuo interiore, nella tua vita, sei vero?”. È una prova tanto grande. Comunicare quello che fa Dio con il Figlio, e la comunicazione di Dio con il Figlio e lo Spirito Santo. Comunicare una cosa divina. Grazie di quello che voi fate, grazie tante! Sono contento.

E adesso vorrei salutarvi, e prima di tutto dare la benedizione.

 

Discorso consegnato

Care sorelle e cari fratelli, buongiorno!

Ringrazio tutti voi di essere venuti in tanti e da tanti Paesi diversi, da lontano e da vicino. È davvero bello vedervi tutti qui. Ringrazio gli ospiti che hanno parlato prima di me – Maria Ressa, Colum McCann e Mario Calabresi – e ringrazio il maestro Uto Ughi per il dono della musica, che è una via di comunicazione e di speranza.

Questo nostro incontro è il primo grande appuntamento dell’Anno Santo dedicato a un “mondo vitale”, il mondo della comunicazione. Il Giubileo si celebra in un momento difficile della storia dell’umanità, con il mondo ancora ferito da guerre e violenze, dallo spargimento di tanto sangue innocente. Per questo voglio prima di tutto dire grazie a tutti gli operatori della comunicazione che mettono a rischio la propria vita per cercare la verità e raccontare gli orrori della guerra. Desidero ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno sacrificato la vita in quest’ultimo anno, uno dei più letali per i giornalisti [1]. Preghiamo in silenzio per i vostri colleghi che hanno firmato il loro servizio con il proprio sangue.

Voglio poi ricordare insieme a voi anche tutti coloro che sono imprigionati soltanto per essere stati fedeli alla professione di giornalista, fotografo, video operatore, per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto. Sono tanti! [2] Ma in questo Anno Santo, in questo giubileo del mondo della comunicazione, chiedo a chi ha potere di farlo che vengano liberati tutti i giornalisti ingiustamente incarcerati. Sia aperta anche per loro una “porta” attraverso la quale possano tornare in libertà, perché la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi. La loro libertà è libertà per ognuno di noi.

Chiedo – come ho fatto più volte e come hanno fatto prima di me anche i miei predecessori – che sia difesa e salvaguardata la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero insieme al diritto fondamentale a essere informati. Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso. Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna; senza questo, ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile e impediscono di ricostruire la fraternità.

Quella del giornalista è più che una professione. È una vocazione e una missione. Voi comunicatori avete un ruolo fondamentale per la società oggi, nel raccontare i fatti e nel modo in cui li raccontate. Lo sappiamo: il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà.

La vostra è una responsabilità peculiare. Il vostro è un compito prezioso. I vostri strumenti di lavoro sono le parole e le immagini. Ma prima di esse lo studio e la riflessione, la capacità di vedere e di ascoltare; di mettervi dalla parte di chi è emarginato, di chi non è visto né ascoltato e anche di far rinascere – nel cuore di chi vi legge, vi ascolta, vi guarda – il senso del bene e del male e una nostalgia per il bene che raccontate e che, raccontando, testimoniate.

Vorrei, in questo incontro speciale, approfondire il dialogo con voi. E sono grato di poterlo fare a partire dai pensieri e dalle domande che hanno condiviso poco fa due vostri colleghi.

Maria, tu hai parlato dell’importanza del coraggio per avviare il cambiamento che la storia ci chiede, il cambiamento necessario per superare la menzogna e l’odio. È vero, per avviare i cambiamenti ci vuole coraggio. La parola coraggio deriva dal latino cor, cor habeo, che vuol dire “avere cuore”. Si tratta di quella spinta interiore, di quella forza che nasce dal cuore che ci abilita ad affrontare le difficoltà e le sfide senza farci sopraffare dalla paura.

Con la parola coraggio possiamo ricapitolare tutte le riflessioni delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali degli ultimi anni, fino al Messaggio che porta la data di ieri: ascoltare con il cuore, parlare con il cuore, custodire la sapienza del cuore, condividere la speranza del cuore. In questi ultimi anni è stato dunque proprio il cuore a dettarmi la linea guida per la nostra riflessione sulla comunicazione. Vorrei per questo aggiungere al mio appello per la liberazione dei giornalisti un altro “appello” che ci riguarda tutti: quello per la “liberazione” della forza interiore del cuore. Di ogni cuore! Raccogliere l’appello non spetta ad altri che a noi.

La libertà è il coraggio di scegliere. Cogliamo l’occasione del Giubileo per rinnovare, per ritrovare questo coraggio. Il coraggio di liberare il cuore da ciò che lo corrompe. Rimettiamo il rispetto per la parte più alta e nobile della nostra umanità al centro del cuore, evitiamo di riempirlo di ciò che marcisce e lo fa marcire. Le scelte di ognuno di noi contano ad esempio per espellere quella “putrefazione cerebrale” causata dalla dipendenza dal continuo scrolling, “scorrimento”, sui social media, definita dal Dizionario di Oxford come parola dell’anno. Dove trovare la cura per questa malattia se non nel lavorare, tutti insieme, alla formazione, soprattutto dei giovani?

Abbiamo bisogno di un’alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità. Abbiamo bisogno di imprenditori coraggiosi, di ingegneri informatici coraggiosi, perché non sia corrotta la bellezza della comunicazione. I grandi cambiamenti non possono essere il risultato di una moltitudine di menti addormentate, ma prendono inizio piuttosto dalla comunione dei cuori illuminati.

Un cuore così è stato quello di San Paolo. La Chiesa celebra proprio oggi la sua conversione. Il cambiamento avvenuto in quest’uomo è stato così decisivo da segnare non solo la sua storia personale ma quella di tutta la Chiesa. E la metamorfosi di Paolo è stata causata dall’incontro a tu per tu con Gesù risorto e vivo. La forza per incamminarsi su una strada di cambiamento trasformativo è generata sempre dalla comunicazione diretta tra le persone. Pensate a quanta forza di cambiamento si nasconde potenzialmente nel vostro lavoro ogni volta che mettete in contatto realtà che – per ignoranza o per pregiudizio – si contrappongono! La conversione, in Paolo, è derivata dalla luce che lo avvolse e dalla spiegazione che poi gli diede Anania, a Damasco. Anche il vostro lavoro può e deve rendere questo servizio: trovare le parole giuste per quei raggi di luce che riescono a colpire il cuore e ci fanno vedere le cose diversamente.

E qui vorrei agganciarmi al tema del potere trasformativo della narrazione, del racconto e dell’ascolto delle storie, che ha evidenziato Colum. Torniamo ancora un attimo alla conversione di Paolo. L’evento è narrato negli Atti degli Apostoli per ben tre volte (9,1-19; 22,1-21; 26,2-23), ma il nucleo rimane sempre l’incontro personale di Saulo con Cristo; il modo di raccontare cambia, ma l’esperienza fondante e trasformativa rimane invariata.

Raccontare una storia corrisponde all’invito a fare un’esperienza. Quando i primi discepoli si erano avvicinati a Gesù chiedendogli «Maestro, dove dimori?» (Gv 1,38), Egli non rispose dando loro l’indirizzo di casa, ma disse: «Venite e vedrete» (v. 39).

Le storie rivelano il nostro essere parte di un tessuto vivo; l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri. [3] Non tutte le storie sono buone e tuttavia anche queste vanno raccontate. Il male va visto per essere redento; ma occorre raccontarlo bene per non logorare i fili fragili della convivenza.

In questo Giubileo faccio quindi un altro appello a voi qui riuniti e ai comunicatori di tutto il mondo: raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Il vostro storytelling sia anche hopetelling. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto. Seminate interrogativi. Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza. [4] Significa accorgersi dei germogli che spuntano quando la terra è ancora coperta dalle ceneri. Raccontare la speranza significa avere uno sguardo che trasforma le cose, le fa diventare ciò che potrebbero, che dovrebbero essere. Vuol dire far camminare le cose verso il loro destino.

È questo il potere delle storie. Ed è questo che vi incoraggio a fare: raccontare la speranza, condividerla. Questa è – come direbbe San Paolo – la vostra “buona battaglia”.

Grazie, cari amici! Benedico di cuore tutti voi e il vostro lavoro. E per favore, non dimenticatevi pregare per me.

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Cinema

Cinema e Giornalismo

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File:La Repubblica logo.png - Wikipedia

I Love Sicilia - L'Under al Top - Dr. Giuseppe Cicero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leggi l’articolo dell’Ansa

https://www.ansa.it/sicilia/notizie/2025/01/25/e-la-stampa-bellezza-cinema-e-giornalismo-nellultimo-secolo_a71a46ff-147e-4a71-b398-223ca7dc5b11.html

Foto e articolo di: Giovanni Franco

 

Giancarlo Giannini – Ivan Scinardo

Ivan Scinardo – Steve Della Casa

Ivan Scinardo – Alberto Crespi

 

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Cultura

Giuseppe Lavenia racconta la guerra

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struire soltanto nella vicendevole fiducia”

Queste espressioni del messaggio di Papa Francesco per la 57.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, hanno motivato l’ultimo incontro culturale del 18° Festival della Comunicazione, che ha avuto luogo, sabato 20 maggio nel Salone dei Vescovi.

Giuseppe Lavenia ,  giovane giornalista RAI, originario di Adrano,  ha raccontato i 95 giorni trascorsi a Codogno,   il 21 febbraio 2020 con il “paziente 1” e la successiva esplosione del Covid 19. L’esperienza dei primi giorni della pandemia hanno segnato fortemente l’opinione pubblica ed ha  contribuito ad una presa di coscienza  in relazione al benessere sociale.

Il racconto ha coinvolto l’attento pubblico ed è stato evidenziato lo stile di comunicazione e di relazione che il giornalista mette in atto nel preparare i servizi di informazione per il grande pubblico della televisione.

La paura e la tensione provata nei campi di guerra, al suono delle sirene di allarme; il contatto con i profughi che lasciano la loro terra per sfuggire ai bombardamenti; l’incontro con i bambini oncologici e l’improvvista e originale partita di calcio, sono alcune delle immagini del racconto che Giuseppe Lavenia ha fatto “parlando col cuore” e testimoniando come  nella  trasmissione di una notizia ci sono modi diversi di comunicare e quando si trasmettono valori si entra in sintonia con il pubblico/lettore/spettatore e parte un messaggio che aiuta a vivere bene.

L’incontro, moderato da  Marco Carrara, di Bergamo  in presenza e Dorella Cianci  di Cerignola in videocollegamento  sul tema  “Comunicazione , guerra, disarmo” è stato promosso anche con la collaborazione del diacono Alessandro Rapisarda, dell’Ufficio  diocesano delle Comunicazioni sociali.

L’Arcivescovo Mons Luigi Renna, a conclusione dell’incontro, apprezzando il prezioso lavoro dei  giovani giornalisti  ha fatto luce sulla vocazione/missione del comunicatore che nel dare notizie che possono “costruire o distruggere, orientare o disorientare, rendere felici o infelici”, facendo partire il messaggio dal cuore, ricco di attenzione e sensibilità umana, trasmette  certamente un raggio di speranza e di futuro.  Come affermava Giorgio La Pira: “C’è una primavera che si prepara in questo inverno apparente ”

Giuseppe Adernò

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In Tendenza