L’agrigentino Gaetano Aronica è il generale romano Varo nella serie internazionale Netflix, “Barbari”, campione d’ascolti. Un successo inaspettato!
La storia
Sono passati venti secoli da quella memorabile sconfitta che l’invincibile impero romano dovette subire con la battaglia di Teutoburgo in Germania. Il colosso digitale Netflix ha così deciso di investire in una produzione che mette insieme un cast di attori internazionali e giganteschi mezzi tecnici per raccontare una delle più grandi catastrofi della storia militare romana; furono sconfitte tre legioni complete, con oltre 15.000 soldati.
Varo
Il governatore della Germania, Publio Quintilio Varo, cadde in una trappola che gli era stata tesa dal suo braccio destro Arminio, nato fra i barbari ma cresciuto nelle casa romana, che lo condusse nel bosco, un luogo dove le legioni romane non potevano schierarsi in formazione; per questa e altre strategie di guerra, fino a quel momento, erano stati invincibili. Poche settimane fa, esattamente a Kalkriese, il luogo dove avvenne la cruenta battaglia, un team di archeologi ha trovato alcuni frammenti di armatura di un legionario, caduto proprio in quella battaglia.
La notizia ha acceso gli occhi di colui che, nella serie “Barbari”, prodotta e distribuita dal network californiano, attualmente fra le più viste in streaming al mondo, Gaetano Aronica, è fra gli attori protagonisti. Lo contattiamo in video e ci appare come per “magia” Publio Quintilio Varo, il generale romano, sconfitto dai barbari.
Gaetano Aronica
Gli chiediamo subito come è finito dentro e con questo ruolo primario, in una produzione originale franco – tedesca, che sta riscuotendo un successo enorme? Dalla sua abitazione di Agrigento, lui ci risponde candidamente: “con un provino, lo strumento più corretto che utilizza qualsiasi attore per candidarsi a una parte”. Non se lo aspettava davvero, questo straordinario talento artistico siciliano, che i registi di Barbari, Steve Saint Ledger e Barbara Eder, lo contattassero dopo una settimana per comunicargli l’assegnazione del ruolo di coprotagonista, nei panni di Varo. Subito un biglietto aereo e partenza per le foreste a nord di Budapest, dove ad aspettarlo una troupe faraonica, pronta a girare le 6 puntate della prima serie, immessa da pochissimo in palinsesto.
Emozionato del ruolo
“Non ci credo ancora”, ci confessa emozionato, Gaetano; orgoglioso della Sicilia e di Agrigento, vuole dedicare questo successo a tutti i giovani della sua città per dimostrare come, quando si crede nei sogni, con costanza e caparbietà, affrontando un percorso lunghissimo e durissimo, alla fine si avverano. “Dall’estate del 2009, per 4 mesi sono stato impegnato, a fasi diverse, nelle riprese; ricordo che il primo dubbio da sciogliere da parte dei registi e degli sceneggiatori era se recitare in latino originale o nell’inglese classico, come avviene per la maggior parte delle produzioni; in un notte decisero di lasciare la lingua originale degli antichi romani”. Un privilegio per il cinquantasettenne agrigentino che non è stato doppiato da alcun interprete in nessuna lingua al mondo, la sua voce originale e la recitazione in latino, un particolare di non poco conto, che gli conferisce una forza straordinaria, tale da renderlo unico nel suo ruolo. “Forse, aggiunge Aronica ridendo, mi hanno scelto, dopo avere fatto un provino a circa 400 attori famosi e bravissimi da tutto il mondo, perchè assomiglio a Giulio Cesare in Asterix”. Scherzi a parte non era mai successo che un attore agrigentino avesse una notorietà così importante grazie a una serie per la televisione. “Mi sento un pò ambasciatore della mia città nel mondo”, ci dice orgoglioso. Fiero della sua riservatezza in termini di visibilità pubblica, Gaetano Aronica, è l’attuale presidente del teatro Pirandello di Agrigento, è qui che sta sperimentando, da diverso tempo, nuovi metodi di recitazione perché ama lavorare con i giovani.
Una carriera strepitosa
Nella sua lunga carriera artistica c’è tanto teatro, cinema e tv; ha interpretato il giudice Paolo Borsellino nella serie “Il capo dei capi”, e poi Malena e Baarìa con Tornatore; è stato l’avvocato Cifalà in Squadra antimafia. Nell’ultimo episodio del commissario Montalbano, con la regia del protagonista, l’attore romano Luca Zingaretti, costretto a prendere il posto del compianto Alberto Sironi, ha un ruolo importante. La sua prima volta nella serialità di Netflix con Luna nera, per la regia di Francesca Comencini, dove interpreta il ruolo di Tosco. Prima di essere preso per girare Barbari la produzione gli ha mandato un questionario da compilare in cui gli venivano poste delle domande insolite e bizzarre quali: se sapeva nuotare, se aveva paura dei lupi e degli insetti? “Da questo, ci dice, ho capito che le scene sarebbero state difficili”. Sul set non poteva mancare uno splendido cavallo bianco, per muovere il condottiero romano, in battaglia. “Il rapporto tra me è lui, ci racconta, è stato intenso, tanto che durante le pause dalle riprese, ne approfittavo per fare lunghe cavalcate dentro la foresta”. Tutto è andato bene anche per le scene più difficili dove si girava spesso nel fango; ma un piccolo incidente al piede, nella sua camera d’hotel, per fortuna non lo ha fermato. Tornatore era innamorato della sua andatura, quasi da cowboy, e probabilmente la frattura alle dita ha accentuato questa sua postura che lo rende unico, capace di esser un tutt’uno con il costume che indossa e in questo caso con i calzari romani.
Aronica non è l’unico attore italiano selezionato, c’è anche il romano Diego Riace che interpreta Quintus, il suo vice. Una esperienza unica lavorare anche con l’attore austriaco Laurence Rupp (Arminio), Geanne Goursaud (Thusnelda) e David Shutter (Folkwin Wolfspeer). Gli ultimi due ci ricordano i personaggi di Lagherta e Ragnar Lothbrock in Vikings, altra serie di successo.
La tradizione vuole che quando finiscono le riprese di un film tutta la troupe, attori e maestranze, fa festa; Gaetano ci racconta un piccolo particolare; per accedere all’evento la produzione ha messo come password, proprio il suo nome nella serie, “Varo”.
Famoso per la sua eccentricità in fatto di film, Charlie Kaufman non ha mai negato o confermato le miriadi di teorie di critici, giornalisti, addetti dello spettacolo che hanno analizzato le sue opere. Per questo motivo, è interessante analizzarlo nuovamente ora, a distanza di oltre vent’anni.
Con la regia di Spike Jonze e la sceneggiatura di Charlie Kaufman, duo che ci meraviglierà a distanza di tre anni con il capolavoro “Il Ladro di Orchidee” (2002), viene elaborata un’opera filmica totalmente differente da tutte le altre. Per entrambi infatti era la loro opera prima; nonostante ciò, il film è stato candidato agli Oscar per la regia, la sceneggiatura più originale e per la miglior attrice non protagonista (Catherine Keener).
Dall’unione di questi due rivoluzionari, nasce un capolavoro di una prospettiva mai vista prima.
L’opera tratta di un burattinaio fallito e ambulante, Craig Schwartz, che un giorno, dopo l’ennesima negazione al suo talento, decide di trovare lavoro come archivista. Il lavoro, però, è situato al settimo piano e mezzo di un edificio e nel proprio ufficio troverà una porta con una galleria che gli permetterà di entrare dentro la mente dell’attore John Malkovich.
Charlie Kaufman sembra sviluppare la novità prospettica di Quentin Tarantino in Pulp Fiction (1994) colorandolo con il suo estro: il taglio prospettico che utilizza è la struttura interna del viso da cui lo spettatore assiste alla scena solo attraverso due fori, ovvero gli occhi.
Spike Jonze, invece, arricchisce e fortifica la trama complessa e a tratti pesante con un ritmo incalzante fitto di tanta suspense che riesce a magnetizzare lo sguardo di chi lo guarda, permettendo di non perdere l’attenzione sulla trama altamente articolata di elementi, riuscendo con estrema tecnica a valorizzare tutti gli elementi senza far prevalere nessuno di essi.
La scarsità di dettagli della macchina da presa, e la scelta di crearli quasi esclusivamente all’inizio del racconto, sulla scena dei burattini in strada (scena chiave, in quanto motrice di tutta la trama) sembra a tutti gli effetti un chiaro intento di sottolineare il senso metaforico di tutto il film. La genialità più eclatante, però, è la rappresentazione iniziale dell’istinto umano come piacere fisico e carnale, che accompagnerà da quel momento in poi tutti i personaggi principali della storia, ma non apparirà più nell’arte del protagonista.
Questo film, come anche i successivi di Kaufman, deve la sua particolarità agli infiniti livelli e sottolivelli di comprensione che l’opera ci dà e soprattutto ci sprona a sviluppare autonomamente.
Scena madre che esplicita questa intenzione è il paradosso creato da Malkovich che entra dentro la porticina, dunque nella sua stessa mente. Quello che vediamo è un mondo distorto in cui esiste soltanto lui, ogni parola detta dai personaggi è solo “Malkovich” e ogni figura possiede il suo volto. Il primo livello di comprensione, quello logico, ci impone una scelta di senso: Malkovich non può rimanere dentro la sua mente, in quanto passare da quella porta, si scoprirà in seguito, permetterà a chiunque si trovi all’interno della sua coscienza di possederlo per sempre compiuti i suoi quarantaquattro anni. Dunque il tunnel deve per forza impedire a Malkovich di restarci; nonostante ciò, secondo un altro livello di comprensione, potrebbe rappresentare la zona più profonda e pura della nostra mente, quella in cui un essere umano non potrebbe mai arrivare da solo. L’essere umano esiste in quanto ha una coscienza, e se riuscissimo ad entrare nella nostra stessa anima,non significherebbe vedere soltanto “se stessi”?
Addirittura qualcuno ha voluto vederci la metafora dei social media ante litteram. Questa teoria, dovuta al fatto che la porticina rappresenterebbe una visione limitata della vita (in coerenza con il taglio prospettico) e filtrata dal fatto di essere un’altra persona davanti agli altri, è interessante quanto poco probabile, ciononostante , non toglie dubbio alla stupefacenza dovuta all’immaginazione di questo sceneggiatore visionario.
Altro elemento curioso tra quelli usati da Kaufman è la giustificazione psicologica delle azioni dei personaggi quasi totalmente assente ma mai incoerente, anche se a primo impatto potrebbe confondere lo spettatore.
Il duo evita di inserire frasi che facciano comprendere i veri pensieri dello spettatore ad eccezione dell’inizio, rendendo lo svolgimento molto realistico. È come se dessero allo spettatore gli ingredienti senza inserire nessuna indicazione sulla preparazione allo spettatore; esistono le installazioni inserite nelle prime scene e successivamente chi guarda può soltanto abbandonarsi al fluire degli eventi e situazioni in costante divenire.
A confezionare perfettamente è stata la scelta degli attori. John Cusack (“Il cacciatore di Donne”, 2013), attore e sceneggiatore statunitense, interpreta il protagonista mostrandoci una profonda depressione che si sviluppa in una coerente psicosi. John Gavin Malkovich (“Impero del Sole”, 1987), attore statunitense, qui in vesti di un personaggio che in comune con la propria persona soltanto il nome. Inizialmente non voleva interpretare il ruolo, poiché anche lui inizialmente convinto di dover interpretare se stesso, bensì l’intenzione di Kaufman è quella di mostrare un fantoccio, un personaggio convenzionalmente famoso, dove proprio la caratterizzazione del personaggio è quella più superficiale, in quanto Malkovich nel film è solo un manifesto di quello che tutti guardano negli altri, ci viene mostrata solo la facciata del personaggio. Questo perché Kaufman vuole rappresentare come noi vediamo gli altri. L’interpretazione dell’ “altro” di John Malkovich è infatti ponderata quanto ricercata.
Cameron Diaz (“Charlie’s Angels, 2000; “The Mask – da zera a mito”, 1994), iconica attrice di San Diego con 4 candidature ai Golden Globe, una ai Premi BAFTA e 3 agli Screen Actors Guild (tra cui la candidatura come miglior attrice non protagonista ai Golden Globe e al premio Bafta e agli Screen Actors Guild proprio per il film in questione), interpreta la moglie del protagonista che tocca tutte le sfaccettature dell’animo femminile dalla moglie amorevole alla donna indipendente che sa che cosa vuole, un personaggio in un’evoluzione costante che non perde mai di interesse proprio per l’interpretazione di alta qualità dell’attrice. Infine abbiamo Catherine Ann Keener (“Truman Capote – A sangue freddo”, 2005), anch’ella attrice statunitense, che interpreta il vero personaggio motore di tutta l’opera. Maxine, colei che aggira, manipola, manovra, seduce e conquista gli altri personaggi, una burattinaia nella vita reale. L’interpretazione raffinata ed elegante avvalora ancora di più il personaggio.
Il ruolo delle donne in questo film ha una particolare attenzione, solo loro avranno un lieto fine. Un’ipotesi interessante tratterebbe della concezione sull’approccio della vita, diverso tra uomo e donna secondo Kaufman. Le donne svilupperebbero la propria intelligenza sul piano teorico mentre gli uomini su quello pratico. Dunque, nel momento in cui ci si vede da un’altra prospettiva, le donne svilupperebbero un desiderio materiale all’interno della mente ospite, e Lotte è un esempio, mentre gli uomini si ritroverebbero nel piano concettuale con un desiderio di conquista, da qui la facilità di Craig nel possedere Malkovich. Una delle pochissime affermazioni di Kaufman è stata proprio la centralità del ruolo delle donne, che infatti sono le uniche che non hanno mai varcato la porta (Maxine) oppure hanno deciso di abbandonare l’esperienza metafisica (Lotte).
Una cosa è certa, questo film a distanza di vent’anni continua a non lasciare indifferenti chi lo guarda.
Cinema, la Regione presenta la guida alle location nell’Isola. Amata: «Investire in questo segmento produttivo»
È stata presentata questa mattina, nella sede Sicilia del Centro sperimentale di cinematografia ai Cantieri culturali della Zisa (Sala Bianca), a Palermo, la nuova “Location Guide” dell’assessorato regionale del Turismo, dello sport e dello spettacolo – Sicilia Film Commission, una mappa multimediale altamente professionale al servizio di tutte le produzioni cinematografiche che intendono investire nell’Isola.
A illustrare il nuovo strumento di promozione del territorio l’assessore regionale al Turismo, allo sport e allo spettacolo, Elvira Amata, e la presidente della Fondazione Centro sperimentale di cinematografia, Marta Donzelli, che hanno firmato anche il rinnovo della convenzione tra la Regione Siciliana e il Csc per il mantenimento della sede Sicilia della Scuola nazionale di Cinema per gli anni 2024-2025, cui fanno capo le attività didattiche legate ai bandi in corso di definizione.
«Abbiamo fatto un lavoro di squadra per ottenere due risultati – dichiara l’assessore Amata – fornire una guida multimediale delle location da offrire ai produttori cinematografici, realizzandola con il lavoro degli ex allievi. Programmazione, investimenti, formazione sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi, in particolare quello di offrire opportunità di crescita e di lavoro ai nostri giovani. Il cinema si interessa alla Sicilia perché la Sicilia è cinema, come diceva Leonardo Sciascia, è già un set all’aperto. La Regione ha interesse a implementare questo segmento produttivo, perché è naturale farlo e crediamo sia un’opportunità importante per creare sviluppo economico: abbiamo un ritorno immediato quando le produzioni arrivano in Sicilia, ma anche dopo, con l’indotto turistico, quando da tutto il mondo decidono di scegliere questi luoghi visti sullo schermo. Inoltre, è importante che le istituzioni collaborino per fornire sempre maggiori servizi alle produzioni».
Il progetto “Location Guide”, interamente realizzato dalla sede Sicilia del Centro sperimentale di cinematografia, ha visto il pieno coinvolgimento degli ex allievi e ha richiesto quasi un anno di riprese. La copia cartacea della mappa, pubblicata nel 2009, è adesso affiancata da una versione più evoluta, composta da foto e video ad altissima risoluzione. Un archivio multimediale imponente, che la Sicilia Film Commission potrà mettere a disposizione delle produzioni e più in generale di tutti gli operatori del settore audiovisivo interessati a scoprire le opportunità che l’Isola offre in termini di location cinematografiche, dai luoghi più noti e frequentati alle ambientazioni più insolite e fuori dall’ordinario.
In fase di programmazione delle riprese, un tavolo tecnico si è occupato del censimento delle aree, tenendo in massima considerazione quelle meno conosciute. La realizzazione della guida ha coinvolto tre troupe, composte da ex allievi, oggi tutti filmmaker professionisti, che hanno realizzato le riprese, anche avvalendosi di droni per la mappatura dall’alto, delle 350 location nelle 9 province.
«Questa terra è vocata al cinema – aggiunge Marta Donzelli – , proprio per questo è particolarmente interessante che la sede siciliana del Centro sperimentale abbia il genere del documentario al centro della sua attività, permettendo di osservare il mondo con occhi diversi. Grazie al supporto economico della Regione, abbiamo la possibilità di realizzare una programmazione a lungo termine. Come Centro sperimentale investiremo risorse e potenzieremo l’offerta formativa della scuola di Palermo, che è uno dei nostri fiori all’occhiello, perché c’è grandissima richiesta di giovani professionisti in questo settore da parte del mondo del lavoro».
All’incontro erano presenti anche il direttore della Sicilia Film Commission Nicola Tarantino, il direttore generale del Csc Monica Cipriani, la Head of studies del Csc per gli investimenti del Pnrr relativi alle sedi regionali Savina Neirotti, la direttrice artistica del Csc Sicilia Costanza Quatriglio e il direttore della sede regionale Ivan Scinardo.
FOTO di alcuni luoghi censiti a questo link. VIDEO Clicca qui per scaricare il promo della Location Guide.
Riprese della presentazione e interviste ad Amata e Donzelli sono disponibili a questo indirizzo.
In un mondo in guerra sappiate creare meraviglie e armonia. È l’ invito di Papa Francesco ai membri della Fondazione Ente dello spettacolo, incontrati nel 75° di attività. Don Davide Milani: “Dobbiamo tornare ad essere artigiani del buon cinema”.
Mons. Davide Milani (Presidente Fondazione Ente dello spettacolo)
«Soltanto le opere che sono riuscite a esprimere l’armonia umana, sia nella gioia, sia nel dolore, sono quelle che passano alla storia. Il vostro è un lavoro evangelico. E anche poetico, perché il cinema è poesia: dare vita è poetica» ha detto il Santo Padre
Lunedì 20 febbraio, la Fondazione Ente dello Spettacolo è stata ricevuta in udienza privata da Papa Francesco. Un appuntamento storico per la Fondazione, che corona un anno di celebrazioni per il 75° anniversario della sua istituzione volendo però guardare anche al futuro.
Servizio di: Paolo Fucili (TV 2000)
Fonte: Avvenire
Subito diretto: «Mi piace il lavoro che fate». Il discorso che aveva preparato lo porge a monsignor Davide Milani e va a braccio: «Il lavoro del cinema, dell’arte, della bellezza come grande espressione di Dio, ch e è sempre stata lasciata da parte, o almeno nell’angolo». Il Papa si rivolge ad attori e registi nella sala Clementina in Vaticano, ai membri della “Fondazione Ente dello spettacolo” (“Feds”, istituita nel 1947 e presieduta da monsignor Milani), che festeggia il 75° anniversario di fondazione. «Il cinema è poesia», dice loro. Poi tocca a bellezza e armonia. E agli applausi.
«I libri di teologia – spiega Francesco – parlano tanto del verum, della verità» e «parlano del bonum». Invece «del bello, della bellezza, non tanto». Come pure «la bellezza sembrava non c’entrasse nella riflessione teologico-pastorale». Ma proprio «quella bellezza ci salverà, come ha detto qualcuno. Quella bellezza che è l’armonia, opera dello Spirito Santo».
La sala è piena, più o meno duecento artisti il cui lavoro è dietro o davanti la macchina da presa. «L’opera dello Spirito è fare l’armonia nelle differenze, non annientare le differenze, non uniformarle, ma armonizzarle», allora «capiamo cosa sia la bellezza», continua il Papa. Bellezza che è «quell’opera dello Spirito Santo che fa armonia dei contrari, degli opposti, di tutto…». Cita la Pentecoste, Francesco: «Pensiamo a tutti che parlano, nessuno capisce cosa succeda, un disordine grande», ecco è «lo Spirito a fare un’armonia: tutto è differente, tutto sembra contraddittorio, ma l’armonia è superiore a tutto. E il vostro lavoro va sulla strada dell’armonia».
Così, «se vogliamo qualificare le grandi opere del cinema, possiamo dire che un buon motivo sono gli attori, sì – annota il Papa –, ma soltanto le opere che sono riuscite a esprimere l’armonia, umana, sia nella gioia, sia nel dolore, sono quelle che passano alla storia». Perciò Francesco li ringrazia, per il loro lavoro: «È un lavoro evangelico. Anche poetico, perché il cinema è poesia: dare vita è poetica». E vi «ringrazio tanto per il vostro cammino: andate avanti, dietro ai grandi. Voi, come italiani, avete una storia gloriosa su questo. Continuate».
Al Papa era venuto in mente il racconto della creazione e lo aveva citato nel suo discorso scritto: «Lo vediamo scorrere quasi come un film, dove Dio appare autore e al tempo stesso spettatore». Prima «inizia a comporre la sua opera allestendo ogni cosa: il cielo, la terra, gli astri, gli esseri viventi e infine l’uomo, una storia di coinvolgimento, di bellezza e di passione: di amore» Ma al termine «Dio compie un gesto sorprendente: diventa spettatore della sua opera, contempla quanto ha realizzato ed esprime il suo giudizio, “vide che era cosa buona”» e per «l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, la “recensione” è ancora più appassionata: “Era cosa molto buona”». Dunque «in questa pagina sacra, cari amici, registi, attori, donne e uomini che lavorate nel cinema, possiamo trovare anche il senso del vostro lavoro culturale», spiega Francesco. Cioè da una parte c’è l’azione creativa, dall’altra contemplare e valutare, quindi «mi pare che potete rispecchiarvi in questo meraviglioso affresco biblico, che ha affascinato tanti artisti».
E prima del discorso papale a braccio, monsignor Davide Milani aveva rivolto il saluto della Fondazione a Francesco: «La nostra missione è scorgere e diffondere gli echi e i riflessi della Parola e del Volto di Cristo, di cui è sempre più ricca la cinematografia contemporanea», aveva detto. E per riuscirci, bisogna saper «parlare un linguaggio nuovo», per questo la Fondazione ha da poco varato anche un nuovo hub editoriale digitale, che diventerà una vera e propria media company del racconto del cinema.