Cultura
Il mio nome è Brian, storia di un autismo
Penetrando nella galassia dell’autismo, ci si perde per la complessità e la varietà di manifestazioni dell’ampio e articolato spettro che lo riguarda.
“Il mio nome è Brian-storia di un autismo” è il racconto dell’esperienza viva che Valentina BriBre Esposito, mamma di un bambino autistico, ha vissuto.
Il volume, pubblicato dalla Carthago edizioni, cattura l’attenzione dei lettori, suscitando sensazioni profonde e stimolando una particolare sensibilità nei confronti del dramma che vivono le famiglie con figli autistici.
Nella prefazione di Alessandra Borghese si legge “amare verità che ci sono dietro la parola autismo” che, “da sindrome che condanna, diviene un’opportunità per migliorare la vita e portarla verso nuove consapevolezze e nuovi orizzonti”.
Nel raccontare la ”sua avventura”, l’Autrice, che ha incorporato nella sua identità artistica il nome BriBre, iniziali del nome dei due figli Brian e Brenda, si rivolge ai genitori e ai docenti di sostegno, che, condividendo ansie e preoccupazioni percorrono in sintonia il tunnel buio dell’assenza di terapie e condividono le lotte con le istituzioni perché siano riconosciuti i diritti di questi “ragazzi speciali, bisognosi di particolari attenzioni”.
L’autismo di Brian, dai riccioli biondi, viene raccontato sin dal sorgere delle prime manifestazioni di disagio, perché “non parlava, non guardava, non capiva”, e solo dopo un lungo iter di prove, visite mediche, terapie varie, si raggiunge il traguardo della prima parola: “mamma”.
Come si legge nel titolo e nell’immagine di copertina, la mamma sogna il giorno in cui il suo piccolo possa dire e gridare al mondo intero “il mio nome è Brian”.
Nel volume si parla anche dei nonni e del loro ruolo, attenti osservatori sì, ma non sempre del tutto consapevoli del dramma che coinvolge la famiglia dopo aver ricevuto una diagnosi che pone ripetutamente l’interrogativo: “perché a me?, perché a noi?”
Il percorso ad ostacoli tra i meandri della burocrazia e le difficoltà strutturali dei servizi sanitari e scolastici che rallentano i percorsi terapeutici e costituiscono il segno evidente di una ancora improduttiva “inclusione sociale”, scritta nelle norme, sancita dalle leggi, non ancora adottata nella prassi ordinaria di un servizio pubblico, che dovrebbe essere attento ai “bisogni di tutti e di ciascuno”.
Il ricorrere ai servizi privati con prestazioni a pagamento come soluzione del problema diventa discriminante, poiché non tutte le famiglie possono beneficiarne.
Con attento realismo viene descritto l’inserimento del piccolo Brian a scuola, mettendo in luce le problematiche relazionali che investono l’intera Comunità scolastica, dai compagni al Dirigente, al Personale docente e non docente della scuola, agli operati sanitari e agli altri genitori, tra cui emerge l’atteggiamento per nulla “inclusivo” di una coppia che decide di far cambiare scuola al proprio figlio.
L’organizzazione di una classe in presenza di un alunno autistico richiede un’azione osmotica tra i vari membri, mettendo in atto attenzioni e diligente cura, al fine di rendere efficaci e stimolanti gli esercizi di capacità operativa e relazionale, senza mai dimenticare che il bambino è prima di tutto una persona, un individuo, portatore di un progetto di vita, unico e originale, che è n può “educere” attraverso una collaborazione attiva della famiglia.
Ogni giorno diventa una battaglia per ottenere il riconoscimento dei diritti ed in questo appare di grande aiuto e sostegno l’Associazione dei genitori e delle mamme che generosamente mettono a servizio degli altri le esperienze fatte e i traguardi conseguiti. Michelle, Sveva, Angela, Laura, Antonella, Paoletta, fanno parte di quest’universo di mamme che sono “sole di giorno e stelle di notte”, “forza e vita” dei loro bambini, un vero e protettivo “manto celeste del cielo”.
L’autoisolamento dei genitori è “un vuoto che amplifica il vuoto” ed è l’esperienza più brutta che un genitore possa provare, un continuo scontro con quella “normalità” di vita che sembra non poter più appartenere alla loro famiglia; ogni gesto inconsueto fa piangere il cuore, ogni piccola conquista viene celebrata come “vittoria”.
Se è vero che “genitori non si nasce, ma lo si diventa ogni giorno”, è ancor più vero e drammatico essere genitore di un bambino autistico. Ogni bambino, infatti, è diverso ed ogni esperienza è unica e differente dalle altre.
Quando poi viene a mancare la figura collaborativa del padre e l’armonia della coppia vacilla, il dramma della madre diventa ancora più pesante, dovendo indossare da sola la corazza di una sofferta accettazione.
La creazione di un gruppo WhatsApp e poi ancora quella della rubrica video mensile su Facebook e Instagram dal titolo “Vox aut. Voci per l’autismo” costituisce una “rete di supporto differenziale” e le pagine social diventano così strumenti di terapia, legami di speranza che come i chiodini colorati per la coordinazione oculo-manuale su una tavoletta magnetica, realizzano una condizione di serena accettazione fatta di tanti piccoli pezzi, anche se …. “spesso ne manca qualcuno”.
Sfogliando le pagine del libro, intercalate da brani poetici, sfoghi dell’anima, intense preghiere, il lettore percorre insieme all’Autrice il viaggio doloroso dell’autismo, lungo strade lastricate di silenzi, di pianti, di attese, di sogni, ma dove ogni piccola tappa è una grande conquista rischiarata da un raggio di speranza, una nuova opportunità per cambiare, per crescere e per migliorare.
Giuseppe Adernò
Cultura
I ponti della memoria
Entrare nella Fondazione ”Marco Besso ” a Roma che ospita la mostra ” I ponti della memoria : l’ Arte che travalica i confini ” è un privilegio sia perché offre l’ occasione per visitare la prestigiosa Fondazione Fondazione ”Marco Besso ” sia perché si beneficia della visione degli arazzi , delle sculture , delle opere e delle tessiture di carta , tutte opere di Marussia e Tania Kalimerova.
La mostra
La mostra in esposizione nei saloni della Fondazione consente ai visitatori di vivere una straordinaria esperienza,densa di emozioni che si fondono e si insinuano ,a poco a poco, nell’ animo di sensazioni e sentimenti profondi . Osservare e ammirare le creazioni delle due artiste sorelle è un trasferirsi con la mente in uno spazio dove la magia della bellezza, il calore umano ,la fantasia, la sincerità e l’ entusiasmo per la propria arte , elaborati con tecniche varie e originali , affascinano e commuovono con sensazioni di gioiosa serenità.
Le opere
Nelle opere delle due sorelle emerge sempre un senso costruttivo originato dalla loro stessa formazione nella patria bulgara. In ambedue è presente una forte creatività ,che ,in Marussia prematuramente scomparsa, esprime un’ anima ardente intessuta da punte drammatiche. In Tania invece si coglie una serena visione della realtà , pur sempre disincantata, ma capace di trascinare in una dimensione fiabesca. Il pensiero delle due artiste è analogo indubbiamente frutto della matrice bulgara, ma si dipana in modi
diversi e personali. In Marussia traspare una sofferta costruzione delle forme che gravano incombenti e provocano forte impatto nel cuore del visitatore.
Tania, la musicista
In Tania, musicista e cantante lirica, affiora la dolcezza della melodia. Le sue composizioni appaiono delicate , intrecciate ,ma pur sempre aree e leggere e capaci di trascinare in una realtà ,densa di armoniosa serenità ,che tocca in profondità e al tempo stesso rasserena l’ animo del visitatore.
La mostra delle due artiste evidenzia un percorso artistico segnato ancora una volta da un ulteriore successo delle creazioni e ammirato da gran parte del mondo culturale e della società del nostro tempo. Un sentito ringraziamento va quindi alle due artiste.
Laura Bisso
Cultura
Educare all’affettività, una sfida per la scuola
Educare l’affettività è quell’arte specialissima che dà senso a ciò che accade nel cuore dei ragazzi e impegna ad aiutarli nell’orientare il cuore verso il bene e la felicità e a indicargli la giusta direzione.
La data, annunciata da tempo dall’Ufficio diocesano di Pastorale scolastica, ha consentito la partecipazione di numerosi docenti, i quali hanno avuto modo di riflettere e approfondire il tema dell’educazione all’affettività, che va ben oltre quello dell’educazione sessuale, spesso proposto come attività integrativa al curricolo scolastico
“Educarsi per educare”, è il costrutto verbale che pone al centro lo studente come fine, ma sollecita una diligente preparazione all’arte educativa ed impegna a “saper guardare tutti e saper osservare ciascuno”, per favorire il processo di formazione integrale dello studente, come persona e come cittadino.
L’educazione all’affettività necessita un animo pronto ed una esplicita intenzionalità di ricercare il miglior bene per i propri studenti attraverso la proposta culturale di una scuola di qualità e di una palestra formativa nella sfera cognitiva ed affettiva.
Dopo il saluto introduttivo del prof. Marco Pappalardo, direttore dell’ufficio di Pastorale scolastica, l’Arcivescovo di Catania, Mons Luigi Renna, ha tracciato le linee guida del percorso formativo, orientato a colmare i deficit di paternità e di maternità, intrecciando i temi relativi alla persona, ai sentimenti, alla relazione e quindi promuovere l’arte del “generare”, “prendersi cura”, “accompagnare,” “guidare”, “lasciare andare”, rendendo ciascuno protagonista attivo e responsabile nel processo di crescita.
L’intervento dello psicologo, sessuologo ed educatore, Saverio Sgroi, ricco delle espressioni dirette dei ragazzi, raccolte dai questionari proposti agli studenti durante gli incontri formativi nelle vare scuole, ha delineato il percorso che un bravo educatore ha il compito di svolgere per essere guida, modello esemplare e maestro di vita.
Ascoltando le espressioni dei ragazzi “sto con te perché mi fai star bene” si coglie un aspetto ancora incompleto dell’amore inteso come dono, capacità di donare e di donarsi all’altro e quindi “amare per tutta la vita”.
Il percorso formativo accompagna il passaggio dalle emozioni che sono brevi, immediate, legate al presente, verso il sentimento che va coltivato e richiede riflessione e diligenza, per poi conseguire il traguardo finale che si esprime nella passione di amore, termine che richiama anche il sacrificio e la rinuncia.
La regola pedagogica di Michel Quoist: insegnare ai ragazzi a “pensare col cuore e amare col cervello”, attiva un chiasmo intrecciando i verbi e le azioni, assicurando una garanzia di successo e di crescita armonica. Educare gli adolescenti all’amore vuol dire, infatti, aiutarli ad avere un rapporto equilibrato col proprio corpo e con la propria sessualità, che li condurrà ad un’idea di un amore umano, capace di contenere in sé, in maniera completamente integrata, la sessualità e la diversità di genere.: L’identità, l’intimità, il pudore, la fragilità delle relazioni e poi ancora il tempo,
l’autostima, l’amore, la difesa dell’amicizia, la gelosia, la fiducia e la ricerca di interessi comuni, costituiscono i campi di azione e di interventi educativi da espletare nell’esercizio della professione di docente, educatore, adulto.
Per educare l’affettività e la sessualità ci vogliono docenti e genitori che sappiano dedicare a questo lavoro le loro migliori energie, trasmettendo ai ragazzi l’idea che il sesso non è un giocattolo. Buona parte della felicità di una persona dipende da come viene vissuta la sessualità nel rapporto con sé stessi e con gli altri.
Il secondo intervento è stato svolto dal prof. Fredy Petralia, docente di informatica presso l’Istituto San Francesco di Sales di Catania, il quale con passione ha trasmesso ai docenti la ricca esperienza di guida nel saper insegnare come utilizzare il telefonino, e i social media, presentando gli abusi , i rischi e le conseguenze di un uso scorretto e improprio di tali strumenti nella costruzione di relazioni e di comunicazione tra i compagni e gli amici. La diffusa pornografia sui social trasmette l’idea di una sessualità povera, aggressiva, spesso violenta, e provoca traumi che segnano fortemente la propria esistenza. I ripetuti episodi di stupro che riempiono le pagine di cronaca, hanno come genesi la mancanza di educazione in famiglia e la carente azione formativa della scuola.
Rispondendo agli interventi i relatori hanno ulteriormente sviluppato le molteplici emergenze educative che rendono la società fluida, priva di regole e di controlli nella costruzione delle tre fasi della vita che declinano nell’infanzia “io sono amato”; nell’adolescenza “ imparare a conoscere e ad amare se stessi” e nella giovinezza e nella maturità insegna a “saper amare gli altri”.
Giuseppe Adernò
Cultura
Il tricolore della Foncanesa
io e la cura delle malattie neoplastiche del sangue FON. CA. N E. SA.
La delegazione ANCRI è stata accolta dalla presidente Agata Rosalba Zappalà Massimino , la quale ha presentato le origini e le finalità di “Casa Santella”, centro di accoglienza presso il policlinico di Catania,
Il prof. Francesco Di Raimondo, direttore della Divisione clinicizzata di ematologia del Policlinico ha evidenziato i positivi benefici dei pazienti che sono sereni nel sapere i loro familiari ben accolti a “Casa Santella” e la testimonianza di alcuni ospiti ha confermato lo stile di cooperazione e di familiarità che si instaura tra i pazienti.
l presidente della sezione catanese, Gr. Uff. Giuseppe Adernò, insieme ai Cavalieri Antonio Benfatti e Antonina Panebianco delegati nazionale e sezionale alla “Solidarietà sociale “, hanno donato alla Fondazione la bandiera d’Italia come segno di riconoscimento per il generoso e lodevole servizio socio assistenziale offerto dal 1999 ai familiari dei pazienti ricoverati nel reparti delle malattie del sangue, anche in memoria della giovane Santella Massimino, prematuramente scomparsa.
Sono intervenuti alla manifestazione i Cavalieri: Mariella Gennarino, Annamaria Polimeni, Salvatore Vicari, Antonio Alecci, Fabio Raciti e Giuseppe Gennarino.
Molto apprezzato il messaggio augurale inviato dal Presidente Nazionale ANCRI, Cav. Antonello De Oto dell’Università di Bologna.
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