Cinema
Due telefonate, il racconto di Amelio su de Seta
Se penso a Vittorio De Seta mi vengono subito in mente due telefonate che ci siamo fatti a distanza di quarant’anni. La prima gliel’ho fatta io nel mese di aprile del 1965, proponendomi come assistente volontario. La seconda, la sua, è del 2001, quando stava preparando Lettere dal Sahara. Vittorio si era già da tempo trasferito a Sellia Marina, io venivo da San Pietro Magisano, due paesini in provincia di Catanzaro che distano l’uno dall’altro non più di cinque, sei chilometri. Un giorno mi chiama per dirmi che vuole incontrarmi: «Sono a Roma, avrei bisogno di parlarti, se hai un po’ di tempo.» Ci vediamo in un bar di Prati, il quartiere dove abito. Non lo vedevo da una decina d’anni, dal tempo del suo documentario In Calabria.
Allora ci eravamo incontrati a Cosenza – dopo 32 anni – per una proiezione con dibattito, e l’emozione era stata fortissima. Non era più il De Seta che ricordavo. Aveva l’aria di un ragazzo che comincia a fare il cinema, non di un regista consacrato che può permettersi di dare lezioni. Vittorio, le lezioni le cercava. Uscendo dal cinema mi chiese: «Adesso che non ci sente nessuno, mi puoi dire se davvero ho sbagliato? Mi criticano tutti…» E io: «Invece ti somiglia, è sincero, è vicino alle cose più belle che hai fatto…» «No, non è vero. C’è un errore grave, il commento fuori campo… Me l’hanno imposto… Ma ho spiegato troppo, ho detto bruscamente come la penso sulla Calabria di oggi. E qua adesso mi vedono come un estraneo, un usurpatore.»
Alla fine è stato lui a convincermi che forse aveva ragione. Non era necessario che lui spiegasse, perché le immagini parlavano da sole, secondo quello che era stato il suo insegnamento dagli Anni Cinquanta in poi, all’epoca dei suoi grandi cortometraggi. Ma questa volta Vittorio sentiva di aver ceduto per la prima volta in vita sua alle richieste di una committenza, e di aver chinato la testa di fronte al falso problema dell’immagine nuda, che al pubblico della televisione (dicono) non arriva, e quindi ha bisogno di tanta musica e di tante parole sopra…
Siamo al 2001 e arriva le sua telefonata. Quando lo vedo, Vittorio ha quell’espressione tra l’innocente e il guardingo che gli era solita davanti a un impegno nuovo. E mi dice subito una cosa toccante: «Ho dimenticato com’è fare il cinema, non conosco più nessuno, non sono in grado di scegliere una troupe, non so da dove cominciare se devo pensare a un operatore, a un fonico, a un produttore che non mi imbrogli…» Vittorio mi parlava con un tono tipico suo, di bambino che si lamenta di qualcosa, che ha paura dei grandi e si difende mostrandosi disarmato… Ho rivisto subito il Vittorio De Seta che tante volte mi ero trovato di fronte durante la lavorazione di Un uomo a metà, quando era un regista di grande reputazione, e anche di buon affidamento commerciale, dato che Banditi a Orgosolo era andato bene e ora c’era l’accordo con Dino De Laurentiis… Eppure, anche all’epoca, vedevo Vittorio in una situazione personale che non era quella dell’insicurezza ma del disagio… Gli leggevo in faccia il timore di essere inadeguato, il dolore di non saper spiegare agli altri quello che sentiva di dover fare, di quando sai che anche l’ingegno ti può tradire se non lo tieni a bada. Come in Due settimane in un’altra città di Minnelli, dove un regista che perde il lavoro dice: «Non riesco a ricordarmi quand’è che il talento mi ha lasciato…» Vittorio aveva questa sensazione durante le riprese del film della sua maturità – era allora sui quarant’anni – temeva che la materia del film gli sfuggisse di mano e tendesse ad abbandonarlo, e ne soffriva come si soffre per la perdita di ciò che ami.
Questo secondo incontro dopo tanto tempo mi risultò difficile, perché non potevo dargli che risposte confuse. Sapevo solo che il cinema italiano non era più quello di una volta, e del resto, nemmeno negli Anni Sessanta somigliava a De Seta e al suo modo di concepire la regia.
Mi ricordo che durante Un uomo a metà il capo macchinista mi diceva: questo non è il cinema normale… Perché un macchinista, un elettricista, un truccatore ti dicono questo? Perché sentono che non c’è il “mestiere”, perché per il lavoratore del cinema quello che conta è soprattutto l’attitudine a governare il lavoro possibilmente senza scosse e ritardi; non conta l’estro, la creatività, la capacità di invenzione… A De Seta, che aveva tutto questo, mancava il benedetto mestiere. Ed era questa la ragione per cui mi aveva voluto incontrare. Perché nel corso degli anni, dopo aver visto qualche mio film, mi aveva scritto lettere molto brevi e molto affettuose, girando attorno a un pensiero: «Come riesci tu a fare un cinema così, da dove prendi l’esperienza, come fai a guidare tutte quelle comparse ne Lamerica, e a raccontare gli anni Trenta, tu che non li hai vissuti, in Porte aperte… Io non sarei capace. E Il ladro di bambini? Come hai fatto a dirigere Valentina e Giuseppe?…» Questo rende l’idea del candore, del lato infantile di Vittorio, che ha un rovescio, come in tutti i bambini: la grande innocenza e la grande perfidia. Vittorio era un uomo eccezionalmente buono ed eccezionalmente cattivo, se voleva, non solo in senso minuto, ma in senso forte, importante, con se stesso in primo luogo. Aveva spesso in sé il suo peggiore nemico. Ho cercato per tanto tempo di spiegarmi la sua mancanza di gioia in un lavoro bello e privilegiato come il nostro. Non sono riuscito a darmi una risposta, se non nel senso che la sua personalità era aristocratica in tutti i sensi: in senso buono, perché l’aristocrazia in un artista ne fa una personalità non comune, ma anche lo isola quando ha bisogno degli altri.
Vittorio difficilmente aveva un dialogo con i collaboratori, difficilmente dirigeva gli attori come complici, o come colori della sua tela. Mostrava piuttosto una sorta di fastidio perché tentavano di prendere il posto del colore perfetto, della figura perfetta che lui aveva in mente. In questo senso i rapporti con gli altri erano complicati: noi lo adoravamo e lui ci scansava il più possibile. Lo faceva senza rendersi conto di ferirci. Con me lo ha fatto alla fine del film, quando si è accorto che gli ero quasi diventato indispensabile, anche perché ero uno dei pochi sopravvissuti a una decimazione continua, perché Vittorio diffidava di tutti. E verso la fine della sua attività, nel documentario In Calabria e in Lettere dal Sahara, ha diffidato anche di se stesso. Ha chiuso un circolo inquietante ma tutto scritto nel suo carattere, non solo come cineasta e artista. Vittorio è un uomo che nella vita ha dovuto lottare contro la propria origine di “nobile” siciliano, in un periodo in cui esserlo significava un distacco netto dai comuni mortali. Non è un caso che poi sia messo dalla parte dei pescatori, dei pastori, dei contadini… La cosa toccante in un film come In Calabria è che lui capisce – e perciò viene preso di mira dai conformisti – che la Calabria ha perso il meglio di sé da quando è diventata da terra di braccianti a terra di affarismo truccato da industria. E Vittorio non si fa mai prendere dall’ambiguità di uno sguardo nostalgico sul passato, perché quella che sembra nostalgia è l’altra faccia del disprezzo che ormai prova nei confronti di quello che il Sud ha subìto, con la coscienza di non poter più fare niente nemmeno come poeta, perché la poesia non incide sulla politica. In Calabria è uno dei suoi film più dolorosi, perché la terra di Calabria era diventata il suo rifugio dopo l’abbandono di Roma: ci era andato per guarire da quello che il cinema gli aveva negato.
In Un uomo a metà il protagonista solo alla fine riesce ad accettare di non essere come gli altri, di non essere fatto a immagine e somiglianza degli altri, ma solo di se stesso. E questo lo rende non disponibile, sfuggente e solitario. Così, prima di farsi isolare, Vittorio ha voluto isolarsi; prima di farsi sbattere la porta in faccia, le porte le ha sbattute lui. È l’opposto di come ci si deve comportare in questo lavoro: il cinema ha tante di quelle trappole, che devi capirle prima ancora di averle davanti. E se uno ti chiude una porta, devi sapere subito dov’è la finestra. Vittorio è stato vittima orgogliosa del modo in cui si fa il cinema “normale”, non solo in Italia, ma dovunque. Ha fatto il regista come un bambino che fa un gioco serio, senza preoccuparsi delle regole. Aveva le possibilità economiche per poterlo fare, e ha acquisito anche il vizio di giocare un po’ troppo, oltre il tempo concesso a un bambino. Ecco, il suo bello e il suo limite è che nei confronti del cinema non ha mai sentito dei doveri convenzionali. Vittorio meritava molto più di quanto ha avuto se partiamo dalla considerazione del suo talento, ma è lui che ha voluto così. Lo si vede in modo eloquente ne L’invitata, dove gli stessi sbagli diventano qualità d’autore. Ma il suo film assoluto, perfetto, resta Diario di un maestro. Ha la forza del documentario nella finzione (e viceversa), mostra un De Seta libero da ogni etichetta. In tutti i suoi mirabili cortometraggi fatti tra le Eolie e il Gennargentu c’è sempre in agguato – ma non arriva mai a essere un difetto – la voglia di cercare comunque l’immagine bella. Questo nel Diario di un maestro non c’è più. C’è la volontà di essere un bambino che deve imparare, e nello stesso tempo di essere un maestro che deve insegnare a un bambino come si impara. È lo stesso rapporto che lui ha instaurato con me in quell’ultimo incontro. Vittorio è stato l’allievo e contemporaneamente il maestro di se stesso. Come Bruno Cirino, che acquista il sapere dai mocciosi della sua scuola. È una cosa mirabile. E la sua più grande lezione.
Gianni Amelio
(Per il Quaderno del Cinemareale, versione cartacea)
Arianna
Giornate professionali di cinema
Alle Giornate Professionali di Cinema – Next Generation si è tenuto il panel “FRANCIA E ITALIA: l’esercizio cinematografico dei due mercati a confronto”. L’incontro ha approfondito ulteriormente i punti toccati nel dialogo avviato durante la prima giornata della manifestazione, al fine di evidenziare come la collaborazione strategica tra esercizio e distribuzione possa generare innovazione e competitività e, soprattutto, come lo scambio virtuoso tra i due Paesi possa stimolare il raggiungimento di nuovi importanti traguardi.
Moderata da Simone Gialdini, Direttore generale ANEC, la discussione è stata nuovamente arricchita dagli interventi di protagonisti francesi e italiani, su tematiche rilevanti tra cui l’introduzione di un calendario unificato per le uscite. Infatti, in Italia manca uno strumento accessibile a tutta la filiera strutturato come quello francese, che offra il quadro completo delle uscite settimanali e mensili, con ampio anticipo.
Sull’importanza di questo strumento si è espresso Xavier Albert, Managing Director, Universal Pictures International, Italy and France, ricordando che, oltretutto, la Francia dispone di strumenti predittivi, come Cineforecast, grazie a cui è possibile compiere una serie di azioni: stimare il mercato, studiare la concorrenza o il target degli spettatori, in base ai film visti in sala.
Un panorama, quello francese, dunque, assai diverso da quello italiano, come sottolineato da Antonio Medici, Vice Presidente Unione Editori e Distributori ANICA, Amministratore delegato BIM, che ha ribadito che una delle differenze tra i mercati dei due Paesi europei consiste nel fatto che la Francia ha pensato, prima e più dell’Italia, al cinema come un sistema industriale. Sebbene la strada per gli italiani sia ancora lunga, tuttavia, l’adozione di strumenti condivisi potrebbe certamente migliorare e facilitare il lavoro delle distribuzioni.
Su strumenti e previsioni si è espresso, poi, Mario Lorini, Presidente ANEC, ricordando il ruolo di Cinetel, e riaffermando che Anec sta lavorando a un database utile a effettuare la valutazione del sistema di sale nazionale.
Anche nel corso di questo secondo panel, infine, sono state approfondite alcune buone pratiche adottate dalla Francia, possibili fonti di ispirazione e miglioramento per l’Italia, grazie a Marc-Olivier Sebbag, Délégué général · Fédération nationale des cinémas français, e a Richard Patry, Presidente Fédération nationale des cinémas français. In particolare, il primo ha discusso dell’importanza delle attività culturali per promuovere la partecipazione del pubblico francese al cinema, citando iniziative come la Primavera del Cinema e la Festa del Cinema, occasioni durante le quali ogni spettatore ha la possibilità di assistere ai film al costo ridotto di 5 euro. L’obiettivo chiaramente è quello di promuovere la partecipazione delle persone di ogni età, soprattutto dei più giovani, destinatari in Francia di un’attenta politica educativa voluta dal Governo. Come sottolineato da Patry, incoraggiare gli spettatori a recarsi nelle sale cinematografiche, raggiungendole facilmente (in Francia, per esempio, ogni spettatore ha a disposizione sale raggiungibili in un tempo massimo di 20 minuti), è una volontà che, peraltro, rende omaggio all’amore dei francesi per il grande schermo, da sempre legato ai loro ricordi più profondi e sentiti.
Le Giornate Professionali di Cinema, principale appuntamento dell’industria cinematografica, sono organizzate dall’ANEC in collaborazione con l’ANICA e si avvalgono del sostegno della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, del Comune di Sorrento, della Regione Campania, di SIAE con il patrocinio del MASE, dell’Ambasciata di Francia in Italia, del David di Donatello-Accademia del Cinema Italiano, di Cinema e Immagini per la Scuola; il partner tecnico ufficiale è Cinemeccanica ed il Main Media partner è Cinecittà News.
Sul sito ufficiale della manifestazione www.giornatedicinema.com è possibile consultare il calendario e programma delle convention.
Arianna
L’abbaglio, il nuovo film di Roberto Andò
Pubblicato il trailer de “L’Abbaglio“, il nuovo film di Roberto Andò con Toni Servillo, Ficarra e Picone, in uscita il 16 gennaio per 01 Distribution.
Sinossi – 1860. Giuseppe Garibaldi inizia da Quarto l’avventura dei Mille circondato dall’entusiasmo dei giovani idealisti giunti da tutte le regioni d’Italia, e con il suo fedele gruppo di ufficiali, tra i quali si nota un profilo nuovo, quello del colonnello palermitano Vincenzo Giordano Orsini. Tra i tanti militi reclutati ci sono due siciliani, Domenico Tricò, un contadino emigrato al Nord, e Rosario Spitale, un illusionista. Sbarcati in Sicilia, a Marsala, i Mille iniziano a battersi con l’esercito borbonico, di cui è subito evidente la preponderanza numerica. In queste condizioni, per il generale appare pressoché impossibile far breccia nella difesa nemica e penetrare a Palermo. Ma quando è quasi costretto ad arretrare, Garibaldi escogita un piano ingegnoso. Affida una manovra diversiva al colonnello Orsini, che mette in piedi una colonna di feriti con uno sparuto gruppetto di militi, cui viene affidato il delicatissimo compito di far credere a Jean-Luc Von Mechel, comandante svizzero dell’esercito regio, che il generale stia battendo in ritirata all’interno dell’isola. Inizia così una partita a scacchi giocata sul filo dell’imponderabile, il cui esito finale sarà paradossale e sorprendente.
Arianna
Le Giornate del cinema per la scuola
Al via le Giornate nazionali del cinema per la scuola: l’inaugurazione con il Sottosegretario Borgonzoni
La senatrice aprirà lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec
Sarà la sottosegretaria alla Cultura, Lucia Borgonzoni, ad aprire lunedì 4 novembre le Giornate nazionali del cinema per la scuola 2024, promosse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura in collaborazione con Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici), nell’ambito del Piano nazionale cinema e immagini per la scuola. Per il secondo anno consecutivo, docenti e dirigenti scolastici di tutta Italia si riuniranno a Palermo, presso i Cantieri Culturali alla Zisa, trasformati fino al 6 novembre in una grande “Città del cinema per la scuola”. Il programma prenderà avvio alle 15:00 con la cerimonia inaugurale al Cinema De Seta, promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e dal Ministero della Cultura.
L’inaugurazione con il vice ministro
La cerimonia sarà aperta dai saluti del sottosegretario alla Cultura, Lucia Borgonzoni, e vedrà la partecipazione del direttore generale della Direzione Generale per la Comunicazione e le Relazioni Istituzionali del Mim, Giuseppe Pierro, e di Bruno Zambardino, referente per il Piano Nazionale Cinema per la Scuola presso la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Mic, che illustreranno le novità del Piano Cips. Alle 16:30, avrà luogo la presentazione dei film in uscita destinati al pubblico scolastico, a cura di Circuito Cinema Scuola e delle case di produzione e distribuzione Universal Pictures e Warner Bros, che presenterà il suo ultimo film d’animazione: Buffalo Kids di Juan Jesús García Galocha e Pedro Solís García (Spagna 2024, 93′), uscito nelle sale il 31 ottobre.
Alle 20:30 si terrà l’evento di punta della prima giornata: la presentazione in anteprima nazionale del film Criature (Italia 2024) di Cécile Allegra, tratto dall’omonimo romanzo della stessa autrice e previsto nelle sale dal 5 dicembre. Al Cinema De Seta, lunedì sera, sarà presente la regista Cécile Allegra, accompagnata da un collegamento in diretta con l’attore protagonista Marco D’Amore, noto per il suo ruolo nella serie Gomorra.
Fonte: cinecittanews.it
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