

Teatro
Giuseppe Provinzano, artista eclettico e poliedrico
Riferimento di un teatro sperimentale che ancora ha molto da raccontare
“Più che scrittore mi piace la definizione “scrivente”, perché da quando ho iniziato, a 6 anni, non ho mai smesso. Più che autore mi definisco “auttore” perché nella mia professione teatrale ho trovato il coraggio di mostrare ciò che per anni era destinato a un pubblico di cassetti ormai zeppi, amici ormai fratelli e spasimanti non più tali. Ho passato decenni ad appuntare ogni pensiero, ogni sensazione, ogni ricordo e quando potevo pure qualche sogno, a tentare improvvide letterature e coraggiose licenze. La raggiunta consapevolezza di un percorso teatrale mi ha dato la possibilità di regalare al mio scrivere un canale espressivo a me parecchio consono”.
Il metateatro
Non poteva esserci migliore incipit in questa intervista, per raccontare il percorso professionale e umano di questo interessante attore, regista e autore palermitano di 38 anni. Definire artisticamente Giuseppe Provinzano non è facile, ama sperimentare un “metateatro” intriso di prosa e narrazione. La sua interpretazione non è passata inosservata su Rai 1, recentemente, quando è andato in onda, in anteprima assoluta, il film: “La concessione del telefono”.
“La concessione del telefono”.
Lo hanno visto oltre 4 milioni di spettatori, con uno share del 15%. Niente male per Provinzano che ha recitato per la prima volta, assieme al protagonista, anche lui palermitano, il bravo Alessio Vassallo, nell’adattamento dell’omonimo romanzo, scritto da Andrea Camilleri. Provinzano è stato diretto dal regista Roan Johnson, e ha vestito i panni di Calogerino Laganà, garzone fidato di Don Lollò Longhitano, alias Fabrizio Bentivoglio, oggi considerato uno dei migliori attori italiani.
La carriera
Un’esperienza unica per lui, che arricchisce il suo lungo e diversificato curriculum artistico. A 18 anni è il più giovane tra gli allievi selezionati da Roberto Guicciardini per la Scuola di recitazione del Teatro Biondo di Palermo. Da allievo si impegna con diversi registi in produzione allo stabile palermitano, del calibro di Luca Ronconi che lo sceglie per il “Candelaio” di Giordano Bruno e “I due gemelli veneziani” di Goldoni. E poi Memè Perlini che gli cuce un ruolo da protagonista in “Pasqua” di August Strindberg.
Esperienze all’estero
Dopo il diploma la fuga in avanti con registi autorevoli: Massimo Castri, Irene Papas, Marco Baliani, Abbondanza\Bertoni, Pippo Delbono, Massimo Verdastro. Completa la sua formazione con la laurea al DAMS, con una tesi sperimentale dal titolo “Le possibilità dell’attore”. Studi che prosegue a Roma a La Sapienza con la Specialistica in Organizzazione di eventi culturali.
Babel
Fonda quindi Babel, con lo scopo di riunire, nello stesso contesto associativo, diversi artisti e professionisti dello spettacolo in una crew dall’organigramma multidisciplinare e complementare. Le loro produzioni continuano a ricevere importanti riconoscimenti. Dal teatro al cinema con il debutto, grazie a Wim Wenders nel film “Palermo Shooting”. Prosegue nel ruolo di attore cinematografico con Emma Dante, PIF e in diverse produzioni internazionali dirette da Vincent Dieutre, Arnold Pasquier, Maya Bosch, Arturo Merelo sino a debuttare come regista di un documentario dal titolo Baciami Giuda, realizzato con Giuseppe Galante, con cui condivide tutt’oggi il percorso di creazione audiovisiva.
Heiner Muller Geselschaft of Berlin
Se c’è un anno da ricordare è il 2008; dopo avere frequentato una Masterclass dell’Unione dei Teatri d’Europa con Stephan Brawnschweigsulla, viene selezionato tra gli attori dell’Ecole des Maitres, diretta da Franco Quadri, con Enrique Diaz. Debutta così in “GiOtto-studio per una tragedia”, spettacolo con più di 100 repliche in Italia e all’estero, che gli vale la nomination ai Premi Ubu, come attore under 30, e Nuova Drammaturgia. Completa la sua formazione frequentando l’Heiner Muller Geselschaft of Berlin, con un masterclass di drammaturgia; i suoi testi vengono pubblicati da Theater Der Zeit.
L’esperienza dei Cantieri culturali alla Zisa
Il suo amore per Palermo lo fa tornare per fare richiesta di un padiglione, all’interno dei Cantieri culturali alla Zisa e grazie all’avviso “Giovani per i Beni Pubblici” del Dipartimento della Gioventù e il bando Culturability ’18 della Fondazione Unipolis riesce a ristrutturarlo e farlo diventare una residenza artistica per tutti quegli artisti e compagnie che non hanno un luogo dove provare ed esibirsi. Si chiama Spazio Franco, ed è qui che recentemente ha messo in scena uno degli spettacoli più interessanti della sua carriera “To Play or to die” prodotto dal teatro Biondo di Palermo e da Babel crew, scritto, diretto e interpretato assieme a Chiara Muscato. Una performance che gli è valsa la menzione speciale al premio Dante Cappelleti e il premio della critica – giovani realtà del teatro italiano. Sua la direzione artistica di festival come Scena Nostra, Focus sulla scena nostrana contemporanea, Aziz Festival delle storie e delle narrazioni e Mercurio dedicato alle arti e agli artisti. Lunga vita agli artisti innovativi come lui+
[vc_row][vc_column][vc_gallery interval=”3″ images=”8832,8833,8834,8835,8836,8837″ img_size=”medium”][/vc_column][/vc_row]
In Evidenza
Teatro Biondo, la stagione 23/24, Radici

Il Ficus Magnolia è re della Sicilia ed emblema dell’anelito umano all’espansione del sapere, della ricerca di nuova conoscenza, della conquista della bellezza: ha radici profonde nella terra in cui germina, ne ha altre che escono dalla terra e creano arabeschi, ed altre ancora che si proiettano nell’aria per radicarsi più in là… ancora più in là. Così nutrito, l’albero diventa una cattedrale di bellezza. Siamo usciti dal tunnel dell’isolamento e della paura più insicuri: guerre, instabilità economica e allarme ambientale ci rendono fragili; perciò, più che mai ci interroghiamo sulla nostra identità.
L’albero
Come l’albero meraviglioso noi siamo ciò di cui ci siamo nutriti dalla nascita (radici profonde), ciò di cui abbiamo deciso di alimentarci in seguito (radici scelte), e ciò che vorremmo assimilare nel futuro, perciò lanciamo radici al vento per captare, per ricevere stimoli, per crescere. Il nostro lavoro in teatro continua in questa strada d’identità, di classici, di storie e artisti “nostri”, si arricchisce di letteratura e linguaggi di cui ci siamo innamorati, che ci hanno incantato; infine, gettiamo radici al vento per proporvi novità, curiosità, grafie ed espressioni nuove che chiedono di arricchire il nostro bagaglio culturale e il nostro pensiero, e di espandersi in tutti i terreni possibili. La stagione “Radici” offre un ventaglio di proposte per esplorare questi tre diversi sentieri e arrivare ai tre angoli della nostra identità… una Trinacria? Pamela Villoresi (direttrice artistica)
Cultura
“La vita è un sogno”, al Brancati di Catania

Originale spettacolo al “Brancati” con la Regia di Giuseppe Dipasquale
La vida es suono, y los suenos son. È questo il messaggio del capolavoro di Pedro Calderon de la Barca, filosofo e scrittore del Seicento, adattato per il palcoscenico dal regista Giuseppe Di pasquale e rappresentato nei giorni scorsi al teatro Brancati di Catania.
Basilio, monarca di una Polonia immaginaria, uomo di vasta erudizione, legge negli astri che il suo erede, in quanto di indole violenta e tirannica, avrebbe arrecato danni irreparabili allo Stato. Per evitare che ciò accadesse ha ordinato che il figlio, Sigismondo, venisse chiuso in una torre e isolato dal resto del mondo. Unico contatto consentito, quello con il suo precettore, Clotaldo.
Il destino del principe arriva a una svolta allorché il vecchio padre decide di fornirgli un’ultima possibilità di diventare re. Basilio ordina dunque che venga narcotizzato e condotto nella reggia. Appena sveglio, il giovane si dimostra basito per le riverenze che gli vengono riservate e comincia a chiedersi se si trova a vivere un sogno, o se invece si è appena destato da un sogno antecedente.
L’esperimento di Basilio, peraltro, non sembra poter dare i risultati sperati. Sigismondo conferma infatti la sua indole malvagia e la conseguente inidoneità al potere. Egli trova però il sostegno del popolo che lo impone al vertice dello Stato e in maniera del tutto inattesa avviene un cambiamento radicale nella persona, che scopre doti di mitezza e saggia determinazione.
In perfetta armonia con la formazione dello scrittore spagnolo, il progetto nasce da “simpatie” filosofiche, oltre che da precise scelte letterarie. La condizione di Sigismondo, isolato dal mondo e imprigionato in una torre inaccessibile, suggerisce suggestioni platoniche, anche se l’epicentro della Vita è un sogno non è la contrapposizione fra luce e ombra, come nel filosofo greco, ma fra realtà e apparenza, tema dal sapore molto più moderno.
Le domande che si pone Sigismondo sono peraltro quelle dell’autore. Come discernere la realtà dal vagheggiamento onirico, il vero dal falso?
E soprattutto l’intera vita dell’uomo è una realtà, oppure un sogno, contrapposto a una logica più ampia che conduce all’Eterno?
La trama, nel testo originale, così come nella riduzione teatrale di Dipasquale, che con una coraggiosa sforbiciata rinchiude tutto in due atti, (erano tre nell’ opera di Calderon de la Barca), ingloba toni tragici ( si sfiora il parricidio) e di vago sapore epico, e si arricchisce di vicende estranee al fil rouge dell’opera, (come il conflitto amore-odio di Rosaura e Astolfo), ma che creano una cornice guasconesca e di cortigianeria, che arricchisce il racconto con un po’ di suspense che non guasta.
Perfetti nei rispettivi ruoli Mariano (Basilio) e Ruben (Sigismondo) Rigillo (padre e figlio), Angelo Tosto (il precettore Clotaldo) e Alessandro D’Ambrosi (giullare) così come Filippo Brazzaventre, Federica Gurrieri, Valerio Santi e Silvia Siravo che completano il cast.
Meritorio l’impegno del regista, se non altro per avere ricreato sul palcoscenico il clima di una stagione rivoluzionaria del pensiero, e della conseguente crisi del vecchio dogmatismo. Un pensiero trasversale e transnazionale, che su diversi piani, vedeva impegnati filosofi e scrittori del livello di Cartesio, Shakespeare, Cervantes. E ovviamente Calderon de la Barca.
Al regista Dipasquale va riconosciuto il merito e il coraggio di cimentarsi con un testo molto impegnativo, in quanto metafora di sintesi ardite fra umano e divino, realtà e sogno, assoluto e relativo, che si aggrovigliano e confondono, rendendo il testo più adatto a menti filosofiche che a spettatori di media cultura.
Né giova alla linearità dello spettacolo lo stile baroccheggiante del testo, che, pur contribuendo a creare “atmosfera”, appesantisce la comunicazione e rischia di confondere.
Per alleggerire la grevità della pièce ci saremmo aspettati una scenografia più intrigante che andasse oltre le pur apprezzabili proiezioni sulla scena. Azzeccata, invece, l’idea di dare risalto alla figura del giullare (il bravo e convincente Alessandro D’Ambrosi), che con le sue uscite cialtronesche, ha offerto spunti di comicità molto apprezzati.
E’ un testo ancora attuale, quello di Calderon de la Barca? La risposta è univoca, ed è sì. Il messaggio dell’opera è politico, etico ed esistenziale a un tempo ed è universale. Esso si dipana lungo tutta l’opera, ma nell’adattamento di Dipasquale, con grande impatto scenico, esaltato dalla bellezza dei costumi, viene concentrato nelle ultime battute, quasi un testamento spirituale con cui, dopo avere sperimentato la metamorfosi che la politica produce nei confronti dell’individuo e avere folgorato con precisione chirurgica quel tanto di machiavellico che soggiace all’etica del potere, perviene a un’illuminante riflessione sull’importanza del sogno nella sua contrapposizione alla realtà, un’intuizione che anticipa di quasi duecento anni uno dei presupposti fondanti del pensiero romantico e che soprattutto si presta a richiamare a una dimensione più umana le scelte di vita dell’uomo moderno.
Alfio Chiarello
Cultura
“Il valore dell’utopia” Walter Veltroni al Politeama

“Il valore dell’utopia” Walter Veltroni affascina il pubblico del Teatro Politeama
Politico, giornalista, scrittore e regista, tanti ruoli nella vita, tutti realizzati appieno, un solo grande rammarico, non avere conosciuto suo padre Vittorio, primo direttore del TG1, prematuramente scomparso, a soli 38 anni, quando Walter aveva 1 anno.
Il teatro Politeama
Il teatro Politeama di Palermo, in passato, fu utilizzato fin dalle origini, anche per mettere in scena incontri di boxe e spettacoli circensi come quelli del Circo Togni e Orfei. Questo legame con il circo si può ammirare ancora dalla copertura del tetto, che ricorda proprio un tendone.
La grande cupola che sormonta il teatro, richiama proprio quel tendone di circo, che incantò gli occhi di Fellini bambino, luogo in cui i clowns trovano la loro ragione di esistere.
Una storia che molti non conoscono e che il commissario straordinario della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana, Nicola Tarantino, ha raccontato in macchina, durante il viaggio dall’aeroporto verso Palermo, a uno dei più arguti intellettuali del nostro tempo, Walter Veltroni.
Domeniche civiche
Invitato nell’ambito del progetto: “Domeniche Civiche, ideato dalla direttrice artistica della FOSS, la direttrice d’orchestra Gianna Fratta, Veltroni ha parlato a braccio per quasi un’ora. Non una riga di appunto, tanti gli argomenti e le riflessioni.
Il clowns
I riferimenti al cinema sono stati costanti, e a proposito di circo ha citato il film, girato da Federico Fellini nel 1970, “I Clowns”. La critica lo definì un volo in perenne sospensione tra finzione e realtà; un tentativo meraviglioso di raccontare il reale attraverso il filtro dell’autore.
Prima di approfondire il tema affidato, dopo avere fatto riferimento al cinema e al circo, Veltroni si è rivolto al Sovrintendente Giandomenico Vaccari.
“I nostri padri si sono conosciuti seppure nella loro breve vita spezzata, ha detto Veltroni, solo sul palco, sotto un occhio di bue che lo illumina in viso commosso.
L’ex sindaco di Roma era piccolissimo quando ha perso il padre e in qualche modo ha avuto occasione di conoscerlo dalla madre, Ivanka Kotnic, attraverso filmati di famiglia, i racconti di chi lo ha conosciuto e ha lavorato con lui e dalle teche Rai.
Papà Vittorio è stato cronista del servizio radiotelevisivo pubblico, stimato giornalista la cui capacità dialettica è arrivata in dono a Walter.
Giacomo Vaccari, invece rimase vittima di un grave incidente stradale a 32 anni. Era considerato come il più moderno e sensibile regista della televisione italiana.
Il racconto scorre fluido e Veltroni evidenzia il ruolo dei padri in quella difficile ricostruzione italiana del dopoguerra. Erano anni difficili di grande povertà ma dove si sognava la rinascita.
E qui scivola dentro il tema dell’utopia che serve a dare una speranza e un camino.
Quella stessa speranza che si trasformò in sogno in Martin Luter King con quel memorabile discorso che tenne il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington.
Il suo amore per il cinema, lo porta a citare la leggenda italiana, Totò, il principe Antonio De Curtis, che proprio al Politeama tenne il suo ultimo spettacolo. Cita anche il suo ultimo film “Totò a colori”, dove, la notizia non è certa, pare che per la troppa luce dei r iflettori, che richiedeva la pellicola a colori del tempo, divenne cieco.
Balarm Trio
Pubblico delle grandi occasioni ha tributato a Veltroni solenni applausi, lui commosso ringrazia e nell’imbarazzo se lasciare il palco o rimanere preferisce uscire sommessamente lasciando il posto ai musicisti del Balarm Trio, Giorgio Chinnici, viola – Giuseppe Mazzamuto, percussioni – Riccardo Scilipoti, pianoforte per un concerto che sapeva di amarcord e che sarebbe stato di grande efficacia se accompagnato dalle immagini
-
Cocker3 anni ago
Il cocker tanto famoso quanto intelligente
-
In Evidenza4 anni ago
Biagio Conte: “Non vince il virus, Dio è più forte”
-
In Evidenza3 anni ago
Sicilia: zero decessi e zero pazienti in terapia intensiva
-
Cinema5 anni ago
Cinema e Massoneria un binomio misterioso e sorprendente
-
Cocker7 anni ago
Il cocker è fra i cani più oziosi del mondo
-
Editoriali15 anni ago
L’invidia è la vendetta dell’incapace
-
Cultura7 anni ago
Le stanze ferite: diario di viaggio nella Real Casa dei matti
-
Cocker8 anni ago
Irish setter, cocker spaniel e cavalier king: “I cani rossi adottati prima degli altri”