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Teatro

Vacanze romane, il musical

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E così il capolavoro di William Wylerè del 1953 interpretato dagli indimenticabili Gregory Peck e Audrey Hepburn, rivive nella commedia musicale “Vacanze Romane”, ultima testimonianza teatrale del sodalizio artistico tra Pietro Garinei e il musicista Armando Trovajoli. Anche questo musical, come il film di Wyler, capovolge la favola di Cenerentola. Raccogliere il testimone di una regia complessa, con una macchina teatrale con oltre 30 elementi in scena non è stato davvero facile, eppure la scelta della protagonista, Serena Autieri e del marito, Enrico Griselli caduta sul regista Luigi Russo, non ha deluso il pubblico palermitano, che ha fatto registrare il tutto esaurito, nella splendida cornice del Teatro Al Massimo. Vista l’enorme richiesta, ha dovuto aggiungere una data in più. I protagonisti sul palco sono Paolo Conticini, lo vediamo nella fortunata serie televisiva “Provaci ancora prof”, veste i panni di Gregory Peck nel film capolavoro e 12 anni dopo prende il posto di Massimo Ghini; e poi c’è lei, la “sciantosa” Serena Autieri mentre va in scena nel teatro di Piazza Verdi a Palermo, è nelle sale cinematografiche con il film di Vincenzo Salemme: “Se mi lasci non vale”. Gli scintillanti abiti della principessa Anna, sembrano scolpiti e dipinti sul suo corpo. E’ perfetta nel ruolo, attrice completa, con un timbro vocale degno della star di Broadway. E così, dopo avere visto stagioni felici di “Vacanze romane” le luci si sono accese sul palco del Massimo con rinnovata forza e fascino. Due ore e mezza di spettacolo che riportano lo spettatore indietro negli anni cinquanta a sognare e vedere la città eterna, a bordo di una vespa, la stessa che fu resa famosa dal film. Quella grande bellezza di monumenti visti dagli occhi luccicanti dei protagonisti che, rispetto a 12 anni fa, non sono più bambini ma disincantati adulti. E’ una storia d’amore e di malinconia, magistralmente adattata nei testi delle canzoni originali da Jaja Fiastri, mentre la versione italiana dei brani di Cole Porter è stata curata da Vincenzo Incenzo. Il merito si deve comunque a quella straordinaria intuizione di Garinei e Giovannini, di farne una commedia musicale. Lo stesso regista Luigi Russo ha voluto ribadire che “non c’è il classico happy end; l’attualizzazione di questa commedia sta nel cercare di sottolineare la maturità di una interprete la Autieri, che ha acquistato una tridimenzionalità superiore. Una donna che si rende conto di avere vissuto una vita in una gabbia dorata e vuole conoscere il mondo e per questo che fugge dal suo castello, per essere investita dai bagliori di Roma, con i suoi colori, i profumi e le atmosfere degli anni cinquanta. L’incontro con il giornalista del Messaggero Gianni Velani nel volto di Paolo Conticini, le cambia la vita. E’ lui che le fa scoprire l’amore e che come con un filtro magico le fa apparire tutto bellissimo. Una favola che ti cattura, adatta anche ai bambini; una storia d’amore che appassiona gli adolescenti, ma, visto il pubblico del “Massimo”, dai 50 anni in su occupare ogni poltrona e tributare scroscianti applausi ogni fine brano musicale, è una commedia che seduce tutti. Un inno alla vita grazie anche alle straordinarie scene del premio oscar Gianni Quaranta, che usa schermi e proiezioni innovative, con cambi di scena rapidi ed efficaci; le sorprendenti coreografie di Bill Goodson e gli splendidi costumi di Silvia Frattolillo. La scena si impreziosisce della presenze di quella straordinaria attrice di prosa, che è Fioretta Mari; apre il primo e il secondo tempo, accompagnata dal suo inseparabile chiwawa. Nel cast anche e Fabrizio Giannini (Otello) e Laura Di Mauro (la sua fidanzata). Una compagnia molto affiatata che si incrocia con uno straordinario staff del teatro Al Massimo, diretto da Aldo Morgante e Bibi Augugliaro.

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Il racconto dell’ancella di Viola Graziosi e il distopico

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Viola Graziosi è un’attrice immensa e quando si fa dirigere dal marito, il grande attore di teatro Graziano Piazza, lo diventa ancora di più, in una performance artistica che impegna voce e corpo in quasi due ore di spettacolo.

Margaret Atwood

Interpretare June Osborne, la protagonista del racconto della scrittrice canadese Margaret Atwood, “Il Racconto dell’ancella”, andata in scena al teatro Libero di Palermo, non è facile, anche perché il pubblico negli ultimi anni ha tributato un grande consenso al romanzo distopico del 1985, che ha venduto milioni di copie, adattato per il grande schermo nell’omonimo film diretto da Volker Schlöndorff e nel 2017 per la televisione.

The Handmaid’s Tale

Tutte le stagioni sono su Prime video sotto il titolo di The Handmaid’s Tale. Il suo ideatore Bruce Miller, forse non si aspettava tanto successo, grazie all’attrice protagonista Elisabeth Moss che interpreta June. Sono molto simili la Moss e la Graziosi, nel cinema la prima è  dentro il regime teocratico totalitario di Gilead, catturata mentre tentava di fuggire in Canada con suo marito, Luke, e sua figlia, Hannah. Grazie alla sua fertilità, diventa una ancella del comandante Fred Waterford (da qui il nome Difred) e sua moglie, Serena Joy; l’altra Viola Graziosi, in Teatro, si immerge nel testo, tradotto da Camillo Pennati.

Viola Graziosi

Per lei tutto ha avuto inizio 5 anni su un input di Laura Palmieri di Radio 3 che le chiese di portare in scena questa incredibile storia, proprio il giorno della festa della donna. Il palco è come una sorta di anfiteatro dove tante paia di scarpe rosse, delimitano un semicerchio con al centro un abito rosso che ci richiama alle antiche vestali. Viola inizia il suo racconto illuminata soltanto da un occhio di bue che le delimita luci e ombre sul viso e sul corpo.

Un viaggio introspettivo

Lo spettatore vive una sorta di viaggio introspettivo amando il coraggio di una donna che diventa emblema anche  di alcuni movimenti di protesta a sostegno dei diritti delle donne. “Nolite te bastardes carborundorum” e “Ci sono domande?” Sono due frasi ricorrenti nell’opera, spesso usate come motto di emancipazione femminile, ed è proprio il racconto di Viola Graziosi che spinge il pubblico quasi a una catarsi liberatoria in cui in scena, attraverso la parola, il corpo si svela non soltanto come mezzo di procreazione.

La repubblica di Gilead

Nel racconto dell’ancella in versione teatrale e televisiva lo spettatore è spinto a detestare i comandanti di una Repubblica, Gilead, dove le donne sono asservite a loro per scopi riproduttivi e dove quelle non fertili o troppo anziane sono dichiarate “Nondonne” e quindi eliminate.

Sorvegliate e divise in categorie secondo il colore dei vestiti: azzurro le Mogli; verde le Marte, le domestiche; marrone le Zie, sorveglianti; rosso le Ancelle, le uniche in grado di procreare. Nessuna può disobbedire, pena la morte o la deportazione. Non hanno bisogno di leggere, di scrivere, di pensare, di stancarsi troppo. Non vanno in giro da sole di modo che non possano essere importunate. Sono vestite di rosso con un cappuccetto bianco, in modo tale da non venir troppo viste e possono anche evitare di guardare, se non vogliono.

Viola Graziosi, Ivan Scinardo, Graziano Piazz

E’ un racconto immaginato in un futuro irreale e forse Viola Graziosi, con questa “opera magna” vuole farci comprendere come la donna sia ancora oggi discriminata da una becera cultura maschile che non si rassegna!

 

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Teatro

“Nudi sul terrazzo”, Moschella & Mulè coppia vincente

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I buongustai avranno certamente colto le continue incursioni nel cinema ed è inevitabile che la formazione di Giuseppe Moschella peschi a piene mani dalla settima arte, già dalla prima stesura, avvenuta, per sua stessa ammissione, in pieno lockdown,  E’ una  commedia brillante, “Nudi sul terrazzo”, scritta assieme a Roberto Pizzo,  andata in scena al Teatro Sant’Eugenio di Palermo.

3 anni di preparazione

Ci sono voluti quasi 3 anni di gestazione per quest’opera “leggerissima”, come la definiscono i due protagonisti, che nella vita sono coppia affiatata oltre che artistica. Giuseppe Moschella e Emanuela Mulè, in quasi due ore regalano al pubblico una serie di gags esilaranti e nello stesso tempo incollate alla realtà di tutti i giorni, dove le scene di gelosia non mancano con una girandola di attori azzeccati e scelti con cura.

Il dramma della gelosia

Forse il “Dramma della gelosia”, capolavoro cinematografico di Ettore Scola del 1970, con Vitti, Mastroianni e Giannini, ha un pò condizionato la scrittura di Moschella, da sempre affascinato da quel neorealismo che fece nascere la commedia all’italiana. E chi si aspetta che i due protagonisti finiscano davvero nudi sul terrazzo, deve aspettare quasi alla fine di un intrigata storia di gelosie e ripicche che in fondo non sono altro che il frutto di una subcultura popolare che affonda le sue radici nei fotoromanzi e nelle canzonette che nell’immaginario collettivo risuonano come ricordi incancellabili, è il caso della febbre del sabato sera.

Pubblico divertito

Pubblico coinvolto dalle perfomance artistiche di personaggi divertenti, in testa Emanuela Mulè che si riconferma attrice di talento capace di tenere la scena grazie alla sua bravura artistica e bellezza;  c’è il ruolo della suocera, una napoletana verace, Iaia Corcione, da qualche anno trasferita a Palermo, con una formazione da ballerina di danza a Napoli e poi come attrice a Roma, dove si è perfezionata anche nel canto. E’ lei il valore aggiunto di questa piece teatrale che vede anche la sensuale assistente dello scrittore, la bella Sonia Hamza; le sue movenze ricordano Jessica Rabbit, moglie del coniglio Roger, personaggio immaginario inventato dalla penna di Gary Wolf.

E’ lei al soldo della suocera di Giuseppe; e poi c’è Romeo che ci richiama al gattone degli aristogatti, lui è il manutentore di casa, Massimiliano Sciascia, ogni sua battuta è un mix di catanese e palermitano, che scatena sempre una risata collettiva. Arredi scenici rigorosamente allestiti dall’assistente alla regia, Elisabetta Loria. Bravi tutti

. Bravi tutti!

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Teatro Biondo, la stagione 23/24, Radici

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Il Ficus Magnolia è re della Sicilia ed emblema dell’anelito umano all’espansione del sapere, della ricerca di nuova conoscenza, della conquista della bellezza: ha radici profonde nella terra in cui germina, ne ha altre che escono dalla terra e creano arabeschi, ed altre ancora che si proiettano nell’aria per radicarsi più in là… ancora più in là. Così nutrito, l’albero diventa una cattedrale di bellezza. Siamo usciti dal tunnel dell’isolamento e della paura più insicuri: guerre, instabilità economica e allarme ambientale ci rendono fragili; perciò, più che mai ci interroghiamo sulla nostra identità.

L’albero

Come l’albero meraviglioso noi siamo ciò di cui ci siamo nutriti dalla nascita (radici profonde), ciò di cui abbiamo deciso di alimentarci in seguito (radici scelte), e ciò che vorremmo assimilare nel futuro, perciò lanciamo radici al vento per captare, per ricevere stimoli, per crescere. Il nostro lavoro in teatro continua in questa strada d’identità, di classici, di storie e artisti “nostri”, si arricchisce di letteratura e linguaggi di cui ci siamo innamorati, che ci hanno incantato; infine, gettiamo radici al vento per proporvi novità, curiosità, grafie ed espressioni nuove che chiedono di arricchire il nostro bagaglio culturale e il nostro pensiero, e di espandersi in tutti i terreni possibili. La stagione “Radici” offre un ventaglio di proposte per esplorare questi tre diversi sentieri e arrivare ai tre angoli della nostra identità… una Trinacria? Pamela Villoresi (direttrice artistica)

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