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Teatro

Ventesima edizione del premio Nazionale di Teatro Luigi Pirandello

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344 testi e 18 saggi di teatro, quasi il doppio (177) rispetto alla scorsa edizione, rappresentano un vero e proprio record, segno evidente che lo stato di salute del teatro italiano è buono, anzi va incoraggiato. Sono le parole di Giovanni Puglisi, presidente della giuria della ventesima edizione del premio Nazionale di Teatro Luigi Pirandello. “Le numerose opere pervenute, il loro spessore generale e la qualità dei soggetti premiati ci confermano che il made in Italy teatrale ha una identità robusta, che deve essere incoraggiata e premiata. E la mission del Pirandello è proprio questa”. Una giuria di alto profilo composta dal direttore del Teatro Biondo di Palermo Roberto Alajmo, Paolo Bosisio, professore Ordinario di Storia del teatro e dello spettacolo, il regista televisivo Michele Guardì, il critico letterario Paolo Mauri, l’attore Alessandro Preziosi, il regista Maurizio Scaparro, la scrittrice Elisabetta Sgarbi. A Roberto Herlitzka è andato il Premio Speciale alla Carriera. A Luca Micheletti, regista, drammaturgo e attore, il Premio Internazionale del valore di € 15.000,00. Ad Antonella Pandini, con il testo L’ascensore, il Premio Nazionale per la migliore opera teatrale, del valore di € 12.000,00. Il Premio per il miglior saggio storico-critico (€ 7.500,00) è stato conferito a Valentina Garavaglia con L’effimero e l’eterno. L’esperienza teatrale di Gibellina, pubblicato da Bulzoni. Il Premio per il Saggio Filologico, del valore di € 7.500,00, assegnato ad Alessandro Pontremoli con il saggio Danza e Rinascimento. Cultura coreica e “buone maniere” nella società di corte del XV secolo, edito da Ephemeria. Dieci anni di vuoto dal 1997 la banca fondatrice del premio, non finanzia più attori, registi, autori e studiosi di teatro e decide di non tenere ogni anno il tradizionale premio nazionale. Ma è il presidente della Fondazione Banco di Sicilia, Gianni Puglisi a farsene carico, capendo l’importanza e il valore di un patrimonio che non poteva andare perduto, con il suo albo d’oro cone nomi del calibro di Ingmar Bergman, Giorgio Streheler, Eduardo De Filippo e Harold Pinter, Giovanni Macchia e Luca Ronconi.
“Un grande laboratorio culturale per tutto il nostro Paese. Una palestra per chi fa teatro. Occorre, pertanto, che il teatro diventi, per l’opinione pubblica, un bisogno personale e una necessità collettiva. E ciò perché esso stesso, oltre che diletto e passione, è anche una scuola capace di educare una società migliore, più sensibile e critica. Credo e sento che quanto espresso rappresenti lo spirito di tutti i giurati, che si sono impegnati in modo egregio nella delicata scelta di decretare i vincitori delle varie sezioni del Premio”.

Ecco i nomi dei premiati e le motivazioni:

Antonella Pandini (Premio Nazionale di Teatro Luigi Pirandello)
L’ascensore. Con una intuizione squisitamente teatrale l’autrice ha messo in scena grandi temi in un piccolo spazio. L’ascensore che si blocca in un condominio di Milano vede agire un anziano musicista e una giovane donna incinta che ha da poco saputo che il figlio che porta in grembo è morto. La vita, la morte, il silenzio, la musica ecco i motivi del concerto a due voci che si sviluppa lungo tutta l’azione scenica, con il contrappunto di ciò che accade fuori: voci di altri inquilini, voci dei tecnici che tentano di riparare il vecchio ascensore. Di esemplare asciuttezza e consistenza il dialogo (che spesso è una somma di monologhi) tende al filosofico di cui è metafora ben riuscita l’affacciarsi finale dell’ascensore sui tetti.

Valentina Garavaglia (Premio per la saggistica sezione storico-critica)
L’effimero e l’eterno. L’esperienza teatrale di Gibellina. Non è possibile restare indifferenti davanti al fenomeno di Gibellina. Rinata in altro luogo dopo il terremoto che la distrusse, Gibellina è stata altro da sé fin dalla sua rifondazione a opera di Ludovico Corrao. Di questa eccentrica rifondazione il teatro è parte preponderante, assieme all’urbanistica. Ed è proprio l’esperienza delle Orestiadi, il festival teatrale di Gibellina, che il libro di Valentina Garavaglia, “L’Effimero e l’Eterno”, indaga ricostruendone le origini e gli sviluppi, nelle incarnazioni dei suoi diversi direttori artistici. Un libro che documenta gli atti teatrali senza mai perdere di vista il rapporto con l’anima straniata di un paese strappato dalle sue radici e ripiantato altrove in mezzo a molte difficoltà. Un paese che ha faticosamente ricostruito la propria identità, che era contadina mentre è oggi pienamente artistica, e teatrale soprattutto.

Alessandro Pontremoli (Premio per la saggistica sezione filologica)
Danza e Rinascimento. Cultura coreica e “buone maniere” nella società di corte del XV secolo. Il saggio di Alessandro Pontremoli è una documentatissima lettura del fenomeno danza nel Rinascimento, attraverso la trattatistica dell’epoca e segnatamente delle opere di Domenico da Piacenza e di Guglielmo Ebreo da Pesaro, filologicamente riesaminate. Se il primo – che fu maestro del secondo – non ha finalità didattiche, il secondo più vicino alla cultura umanistica e al pensiero neoplatonico, si prefigge di rappresentare la danza come una scienza nel quadro di una nuova articolazione dei saperi o, se si vuole, di una vera e propria rivoluzione culturale in atto in quel torno di tempo. Rivisitando le raffinate corti italiane, l’autore investiga e rilegge la fascinosa traccia delle danze di allora e a questa danza pensata il lettore accede seguendo un percorso di straordinaria ricchezza.

Luca Micheletti (Premio Internazionale Luigi Pirandello). Nato a Brescia nel 1985, Luca Micheletti è il più giovane rappresentante di una famiglia che da quattro generazioni ha fatto del teatro il proprio “mestiere”, nel senso più nobile e concreto del termine, nell’alveo dell’antica commedia dell’arte. Regista, drammaturgo e attore, Luca ha affiancato gli studi universitari fino al conseguimento del dottorato di ricerca, a un’intensa attività teatrale sia nella compagnia di famiglia, sia in enti teatrali primari per i quali ha firmato drammaturgia e regia di spettacoli pluripremiati, ha diretto grandi attori come Umberto Orsini, è stato protagonista di spettacoli di particolare rilievo. Nel 2012 Luca Ronconi lo ha chiamato al suo Laboratorio per la Biennale di Venezia Teatro a dirigere uno studio su Questa sera si recita a soggetto di Pirandello. Nel cinema è stato diretto da Marco Bellocchio e Renato De Maria (fra i protagonisti di Italian Gangsters). Si occupa anche di didattica teatrale in ambito scolastico, accademico e carcerario, e insegna Regia all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia. È autore di numerose traduzioni e riscritture per la scena, edite e rappresentate, e del romanzo Tutta la felicità con il quale ha debuttato nella narrativa. Luca Micheletti rappresenta una delle figure emergenti più interessanti e promettenti nel panorama del teatro italiano.

Roberto Herlitzka (Premio Speciale alla Carriera) Delle tre età canoniche dell’artista, Roberto Herlitzka sembra aver saltato integralmente le prime due. Ovviamente è un’illusione prospettica che subisce lo spettatore superficiale, perché anche lui ha dovuto fare la sua gavetta, a cominciare dalla scuola di Orazio Costa, passando per ruoli crescenti, un po’ di cinema e anche televisione, quanto basta. Ma davvero: Herlitzka è arrivato al carisma del venerabile maestro a fari spenti, dando l’impressione di aver saltato integralmente la prima fase, quella di giovane promessa, e soprattutto la più lunga e frustrante seconda fase. Herlitzka dà l’impressione di essere nato già Edipo, se non direttamente Lear. Oggi è lui, senza molte discussioni, l’attore più blasonato fra quelli di lingua italiana. Uno status consolidato con la pazienza di chi si ostina a credere nel teatro e nella sua funzione civile, oltre che culturale.

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Cultura

“La vita è un sogno”, al Brancati di Catania

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Originale spettacolo al “Brancati” con la Regia di Giuseppe Dipasquale

La vida es suono, y los suenos son. È questo il messaggio del capolavoro di Pedro Calderon de la Barca, filosofo e scrittore del Seicento, adattato per il palcoscenico dal regista Giuseppe Di pasquale e rappresentato nei giorni scorsi al teatro Brancati di Catania.

Basilio, monarca di una Polonia immaginaria, uomo di vasta erudizione, legge negli astri che il suo erede, in quanto di indole violenta e tirannica, avrebbe arrecato danni irreparabili allo Stato. Per evitare che ciò accadesse ha ordinato che il figlio, Sigismondo, venisse chiuso in una torre e isolato dal resto del mondo. Unico contatto consentito, quello con il suo precettore, Clotaldo.

Il destino del principe arriva a una svolta allorché il vecchio padre decide di fornirgli un’ultima possibilità di diventare re. Basilio ordina dunque che venga narcotizzato e condotto nella reggia. Appena sveglio, il giovane si dimostra basito per le riverenze che gli vengono riservate e comincia a chiedersi se si trova a vivere un sogno, o se invece  si è  appena destato da un sogno antecedente.

L’esperimento di Basilio, peraltro, non sembra poter dare i risultati sperati. Sigismondo conferma infatti la sua indole malvagia e la conseguente inidoneità al potere. Egli trova però il sostegno del popolo che lo impone al vertice dello Stato e in maniera del tutto inattesa avviene un cambiamento radicale nella persona, che scopre doti di mitezza e saggia determinazione.

In perfetta armonia con la formazione dello scrittore spagnolo, il progetto nasce da “simpatie” filosofiche, oltre che da precise scelte letterarie. La condizione di Sigismondo, isolato dal mondo e imprigionato in una torre inaccessibile, suggerisce suggestioni platoniche, anche se l’epicentro della Vita è un sogno non è la contrapposizione fra luce e ombra, come nel filosofo greco, ma fra realtà e apparenza, tema dal sapore molto più moderno.

Le domande che si pone Sigismondo sono peraltro quelle dell’autore. Come discernere la realtà dal vagheggiamento onirico, il vero dal falso?

E soprattutto  l’intera vita dell’uomo è una realtà, oppure un sogno, contrapposto a una logica più ampia che conduce all’Eterno?

La trama, nel testo originale, così come nella riduzione teatrale di Dipasquale, che con una coraggiosa sforbiciata rinchiude tutto in  due atti, (erano tre nell’ opera di Calderon de la Barca), ingloba toni tragici ( si sfiora il parricidio) e di vago sapore epico, e si arricchisce di vicende  estranee al fil rouge dell’opera, (come il conflitto amore-odio di Rosaura e Astolfo), ma che creano una cornice guasconesca e di cortigianeria, che arricchisce il racconto con un po’ di suspense che non guasta.

Perfetti nei rispettivi ruoli Mariano (Basilio) e Ruben (Sigismondo) Rigillo (padre e figlio), Angelo Tosto (il precettore Clotaldo) e Alessandro D’Ambrosi (giullare) così come Filippo Brazzaventre, Federica Gurrieri, Valerio Santi e Silvia Siravo che completano il cast.

Meritorio l’impegno del regista, se non altro per avere ricreato sul palcoscenico il clima di una stagione rivoluzionaria del pensiero,  e della conseguente crisi del vecchio dogmatismo. Un pensiero trasversale e transnazionale, che su diversi piani, vedeva impegnati filosofi e scrittori del livello di Cartesio, Shakespeare, Cervantes. E ovviamente Calderon de la Barca.

Al regista Dipasquale va riconosciuto il merito e il coraggio di cimentarsi con un testo molto impegnativo, in quanto metafora di sintesi ardite fra umano e divino, realtà e sogno, assoluto e relativo, che si aggrovigliano e confondono, rendendo il testo più adatto a menti filosofiche che a spettatori di media cultura.

Né giova alla linearità dello spettacolo lo stile baroccheggiante del testo,  che, pur contribuendo a creare “atmosfera”, appesantisce  la comunicazione e rischia di confondere.

Per alleggerire la grevità della pièce ci saremmo aspettati una scenografia più intrigante che andasse oltre le pur apprezzabili proiezioni sulla scena. Azzeccata, invece, l’idea di dare risalto alla figura del giullare (il bravo e convincente Alessandro D’Ambrosi), che con le sue uscite cialtronesche, ha offerto spunti di comicità molto apprezzati.

E’ un testo ancora attuale, quello di Calderon de la Barca? La risposta è univoca, ed è sì. Il messaggio dell’opera è politico, etico ed esistenziale a un tempo ed è universale. Esso si dipana lungo tutta l’opera, ma nell’adattamento di Dipasquale, con grande impatto scenico, esaltato dalla bellezza dei costumi, viene concentrato nelle ultime battute, quasi un testamento spirituale con cui, dopo avere sperimentato la metamorfosi che la politica produce nei confronti dell’individuo e avere folgorato con precisione chirurgica quel tanto di machiavellico che soggiace all’etica del potere, perviene a un’illuminante  riflessione sull’importanza del sogno nella sua contrapposizione alla realtà, un’intuizione che anticipa di quasi duecento anni uno dei presupposti fondanti del pensiero romantico e che soprattutto si presta a richiamare  a una dimensione più umana le scelte di vita dell’uomo moderno.

 Alfio Chiarello

 

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Cultura

“Il valore dell’utopia” Walter Veltroni al Politeama

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“Il valore dell’utopia” Walter Veltroni affascina il pubblico del Teatro Politeama

Politico, giornalista, scrittore e regista, tanti ruoli nella vita, tutti realizzati appieno, un solo grande rammarico, non avere conosciuto suo padre Vittorio, primo direttore del TG1, prematuramente scomparso, a soli 38 anni, quando Walter aveva 1 anno.

Il teatro Politeama

Il teatro Politeama di Palermo, in passato, fu utilizzato fin dalle origini, anche per mettere in scena incontri di boxe e spettacoli circensi come quelli del Circo Togni e Orfei. Questo legame con il circo si può ammirare ancora dalla copertura del tetto, che ricorda proprio un tendone.

La grande cupola che sormonta il teatro, richiama proprio quel tendone di circo, che incantò gli occhi di Fellini bambino, luogo in cui i clowns trovano la loro ragione di esistere.

Nicola Tarantino

Una storia che molti non conoscono e che il commissario straordinario della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana, Nicola Tarantino, ha raccontato in macchina, durante il viaggio dall’aeroporto verso Palermo, a uno dei più arguti intellettuali del nostro tempo, Walter Veltroni.

Domeniche civiche

Gianna Fratta

Invitato nell’ambito del progetto: “Domeniche Civiche, ideato dalla direttrice artistica della FOSS, la direttrice d’orchestra Gianna Fratta, Veltroni ha parlato a braccio per quasi un’ora. Non una riga di appunto, tanti gli argomenti e le riflessioni.

Il clowns

I riferimenti al cinema sono stati costanti, e a proposito di circo ha citato il film, girato da Federico Fellini nel 1970, “I Clowns”. La critica lo definì un volo in perenne sospensione tra finzione e realtà; un tentativo meraviglioso di raccontare il reale attraverso il filtro dell’autore.

Giandomenico Vaccari

Prima di approfondire il tema affidato, dopo avere fatto riferimento al cinema e al circo, Veltroni si è  rivolto al Sovrintendente Giandomenico Vaccari.

“I nostri padri si sono conosciuti seppure nella loro breve vita spezzata, ha detto Veltroni, solo sul palco, sotto un occhio di bue che lo illumina in viso commosso.

L’ex sindaco di Roma era piccolissimo quando ha perso il padre e in qualche modo ha avuto occasione di conoscerlo dalla madre, Ivanka Kotnic, attraverso filmati di famiglia, i racconti di chi lo ha conosciuto e ha lavorato con lui e dalle teche Rai.

Papà Vittorio è stato cronista del servizio radiotelevisivo pubblico, stimato giornalista la cui capacità dialettica è arrivata in dono a Walter.

Giacomo Vaccari, invece rimase vittima di un grave incidente stradale a 32 anni. Era considerato come il più moderno e sensibile regista della televisione italiana.

Walter Veltroni

Il racconto scorre fluido e Veltroni evidenzia il ruolo dei padri in quella difficile ricostruzione italiana del dopoguerra. Erano anni difficili di grande povertà ma dove si sognava la rinascita.

E qui scivola dentro il tema dell’utopia che serve a dare una speranza e un camino.

Quella stessa speranza che si trasformò in sogno in Martin Luter King con quel memorabile discorso che tenne il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington.

Il suo amore per il cinema, lo porta a citare la leggenda italiana,  Totò, il principe Antonio De Curtis,  che proprio al Politeama tenne il suo ultimo spettacolo. Cita anche il suo ultimo film Totò a colori”, dove, la notizia non è certa, pare che per la troppa luce dei r iflettori, che richiedeva la pellicola a colori del tempo, divenne cieco.

Balarm Trio

Pubblico delle grandi occasioni ha tributato a Veltroni solenni applausi, lui commosso ringrazia e nell’imbarazzo se lasciare il palco o rimanere preferisce uscire sommessamente lasciando il posto ai musicisti del Balarm Trio, Giorgio Chinnici, viola Giuseppe Mazzamuto, percussioniRiccardo Scilipoti, pianoforte per un concerto che sapeva di amarcord e che sarebbe stato di grande efficacia se accompagnato dalle immagini

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Favola personale di Giuliano Scarpinato, in prima al “Biondo”

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Sovvertimento dello status quo, infrangimento dei tabù, superamento della soglia: sono alcune costanti nel cinema poetico e visionario del regista greco Yorgos Lanthimos, al quale si è ispirato il regista e attore palermitano Giuliano Scarpinato per realizzare la sua Favola personale, un “trittico per un mondo alla rovescia” prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, dove debutterà in prima nazionale venerdì 25 febbraio. Repliche fino al 6 marzo.

Protagonisti dello spettacolo – ideato, scritto e diretto da Scarpinato – sono Alice Conti, Federica D’Angelo, Luca Piomponi, Giselda Ranieri, Michele Schiano di Cola, Alice Spisa, Lorenzo Tombesi, Isacco Venturini, Daniela Vitale. Le scene sono di Diana Ciufo, le luci e il suono di Giacomo Agnifili, mentre Gaia Clotilde Chernetich è dance dramaturg per i diversi momenti coreografici.

“Favola personale” è detta la convinzione dell’adolescente di essere speciale e unico, una fase della vita in cui si determina quel processo di individuazione che pone il giovane al centro del palcoscenico sociale. Una costruzione che non ha mai realmente fine, e che diventa, in età adulta, paesaggio della mente. Così è per i protagonisti dei tre atti dello spettacolo: Morir es mejor que amar – Favola personale – Hotel Ovidio, ispirati rispettivamente ai film Kynetta, Alps, The Lobster.

Nel primo capitolo un uomo giace a terra seminudo, steso su un fianco, gli occhi spalancati sul vuoto. Dietro di lui, come incastrata in un limbo purgatoriale, una donna inscena una strana danse macabre, densa di nostalgia e desiderio di vendetta.

Nella seconda parte, Mattia è un adolescente affetto da deficit dello sviluppo intellettivo. Sua madre invita a casa la prostituta Milagros per farle “interpretare” il ruolo di Monica, il primo amore di Mattia da poco scomparso: nella breve vita simulata i due scopriranno una gioia inattesa quanto breve.

Infine, nell’Hotel Ovidio, gestito da una misteriosa donna francese e da un ex crooner sulla sessantina, tre uomini e tre donne si incontrano allo scopo di trovare l’anima gemella. In una vischiosa routine di codici e grotteschi rituali di corteggiamento si dipana la storia di tutti i loro fantasmi.

Favola personale è un reticolo di esperienze, passioni, emozioni segnate dalla difficoltà di vivere in una realtà aberrata. Mischiando generi diversi, dalla prosa alla danza, dalla performance alla stand up comedy, Scarpinato realizza una una comedie humaine che rasenta l’assurdo, il freakshow, per parlarci di cose familiari: la difficoltà di amare e di tessere relazioni autentiche al di là di pregiudizi e convenzioni sociali, l’incapacità di accettare le proprie fragilità, di decodificare un mondo alla deriva.

Influenzato dal cinema surreale e morboso di Lanthimos, Scarpinato (che ha recentemente vinto il Premio Solinas per la sceneggiatura del film La Gioia) trascina lo spettatore in una vicenda paradossale ma realistica, nella quale riconosciamo i tratti abnormi di un familiare teatro delle relazioni umane, diviso tra anaffettività e regole di comportamento, in uno scenario inquietante dove il confine tra eros e thanatos si fa sempre più sfumato.

Dopo le repliche al Teatro Biondo di Palermo lo spettacolo andrà in scena al Teatro San Ferdinando, per la stagione del Teatro di Napoli, dall’8 al 13 marzo.

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Favola personale

Morir es mejor que amar – Favola personale – Hotel Ovidio

Trittico per un mondo alla rovescia ispirato al cinema di Yorgos Lanthimos

ideazione, drammaturgia, regia Giuliano Scarpinato

con

(in ordine alfabetico)

Alice Conti (La madre, Teresa)

Federica D’Angelo (Selina)

Luca Piomponi (Un cameriere)

Giselda Ranieri (Una donna, Jacqueline)

Michele Schiano di Cola (Lucky)

Alice Spisa (Milagros, Bobby)

Lorenzo Tombesi (Mattia)

Isacco Venturini (Eric)

Daniela Vitale (Rebecca)

dance dramaturg Gaia Clotilde Chernetich

scene Diana Ciufo

luci, suono Giacomo Agnifili

consulente per i costumi Dora Argento

assistente alla regia Valentina Enea

produzione Teatro Biondo Palermo

Giuliano Scarpinato è regista, drammaturgo, sceneggiatore, attore. Nel 2006 consegue la laurea in lettere moderne all’Università di Palermo con una tesi sul teatro di Pier Paolo Pasolini e la sacra rappresentazione. Nel 2009 si diploma come attore alla Scuola del Teatro Stabile di Torino fondata da Luca Ronconi e diretta da Mauro Avogadro. Prende parte come attore e performer a numerose produzioni, diretto da Emma Dante (Medea, La muette de Portici, Feuersnot), Carlo Cecchi (La dodicesima notte), John Turturro (Italian Folktales), Giancarlo Sepe (Jeckyll e Hyde), Glauco Mauri (Edipo a Colono), Andrea Baracco (Edipo Re), Cristina Pezzoli (Antigone) e altri. Nel 2011 riceve la menzione speciale della giuria al premio Hystrio alla vocazione. Nel 2014 debutta come autore e regista con lo spettacolo Fa’afafine, storia del “gender fluid child” Alex White, che vince il Premio Scenario Infanzia, il Premio Infogiovani 2015, l’Eolo Award 2016. Lo spettacolo diventa una co-produzione Teatro Biondo Stabile di Palermo/CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia, attraversando tutta l’Italia con una lunga tournée. Nel 2015 cura, per il festival “Dionisiache” di Segesta, la regia e l’adattamento drammaturgico di Elettra di Hugo von Hofmannsthal, in scena per due stagioni successive al Teatro Greco di Segesta e vincitore nel 2016 del Premio Attilio Corsini. Nel 2017 scrive, con Gioia Salvatori, e dirige Alan e il mare (produzione CSS / Accademia Perduta Romagna Teatri), dedicato al profugo siriano Alan Kurdi, e Se non sporca il mio pavimento – un mélo (produzione CSS / Wanderlust Teatro) ispirato all’episodio di cronaca nera dell’omicidio Rosboch, che debutta al Romaeuropa Festival. Nel 2018 scrive e dirige per il Teatro di Marsala ‘A Supirchiarìa, da I pugnalatori di Leonardo Sciascia. Nel 2019 cura, per il progetto “Fabulamundi Playwriting Europe”, in collaborazione con “Dialoghi residenze delle arti performative a Villa Manin”, una mise en espace del testo Guerrieri in gelatina del drammaturgo tedesco Claudius Lünstedt. Ancora all’interno del progetto “Fabulamundi”, nello stesso anno, Se non sporca il mio pavimento – un mèlo viene tradotto in romeno per il Teatrul Odeon di Bucarest. Nel maggio del 2019 Fa’afafine, dopo tre anni di tournée e più di 100 repliche in tutta Italia, debutta a Parigi al Theatre de Montreuil, all’interno della programmazione del Theatre de la Ville hors le murs. Nel maggio 2021 debutta A+A. Storia di una prima volta (produzione CSS Udine con il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura Parigi), sull’educazione sessuale degli adolescenti italiani. Nel novembre del 2021 debutta al Teatro Stabile di Bolzano la prima mise en espace di Il tempo attorno, storia di una coppia di magistrati e di un giovane figlio negli anni tra le stragi Falcone Borsellino e il processo Andreotti. Il testo, di ispirazione autobiografica, nasce come esito di “Scritture”, scuola itinerante di alta specializzazione per drammaturghi diretta da Lucia Calamaro e creata grazie alla sinergia di Riccione Teatro, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro della Pergola, Teatro Bellini di Napoli, Teatro della Sardegna. È vincitore del Premio Solinas 2021 con la sua prima sceneggiatura, La Gioia, scritta con Benedetta Mori e la partecipazione di Chiara Tripaldi. Il film è ispirato al caso di cronaca Rosboch già all’origine dello spettacolo Se non sporca il mio pavimento – un mèlo. Nel febbraio del 2022 debutterà il trittico Favola Personale, ispirato alla filmografia del cineasta greco Yorgos Lanthimos (produzione Teatro Biondo Palermo). Nella primavera del ’22 Fa’afafine diventerà un libro edito da “Edizioni Primavera”. Nel ’23 sono previsti il debutto in forma completa de Il tempo attorno e quello di All about Adam, spettacolo di danza sull’identità maschile che vedrà la consulenza di Alessandro Sciarroni. Giuliano Scarpinato svolge anche attività di insegnante, pedagogo e tutor. Dal 2018 insegna recitazione presso l’Accademia per attori dell’INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) di Siracusa. Ha condotto a Gorizia, nell’ambito del progetto residenziale “Artefici” creato da Artisti Associati, il laboratorio rivolto agli adolescenti “Kissing strangers – comizi d’amore con la generazione Z”. Nel settembre del 2020 è stato presidente di giuria al Premio Scenario Infanzia È vicepresidente di RAC – regist_a confronto, prima associazione di categoria in Italia per i professionisti della regia teatrale

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