Connect with us

Eventi

La rinascita del Teatro Ditirammu

Published

on

Tutti uniti per il teatro Ditirammu. Non si vedevano tanti artisti sul palco del teatro Biondo di Palermo, da moltissimi anni; probabilmente il comune denominatore che li ha attirati, come un magnete, (molti volevano aderire ma non c’era spazio e tempo) all’appello di Elisa e Giovanni Parrinello, figli di Vito, straordinario talento che la città di Palermo ha perso lo scorso mese di Giugno, è stata la chiusura qualche mese fa del più piccolo teatro in città il Ditirammu, nello storico quartiere della Kalsa a Palermo. 6000 firme e appelli da tutta la società per riaprire il sipario chiuso dopo oltre vent’anni per ragioni economiche,  hanno così portato a una giornata celebrativa, interamente dedicata al sostegno e accorato appello della riapertura del Ditirammu. Così, l’hasthag a campeggiare sullo schermo  #iostoconditirammu, per una maratona storica, così l’ha definita il bravo presentatore e speaker radiofonico, Domenico Cannizzaro, che è durata oltre 3 ore. Sold out di pubblico per un sostegno nobile a una casa che il sindaco Orlando ha fortemente sostenuto e risolta con. L’assegnazione delle botteghe dei cantieri culturali della Zisa destinate ai laboratori teatrali di Elisa e Giovanni. La maratona è iniziata nella mattina del 28 dicembre con la messa in scenadel musical “la leggenda storta di Babbo natale, a cura della compagnia Si S’Kalsi chi può, per la regia di Elisa Parrinello. Alle 21, con un teatro pieno fino all’inverosimile,  si sono susseguiti sul palco tantissimi artisti fra tutti uniti per il Ditirammu.. Dopo lo spettacolo si riparte, Elisa, Giovani e i collaboratori del piccolo teatro hanno accesso le luci e l’insegna in via Torremuzza. Mentre ai cantieri ripartono i laboratori teatrali con oltre 150 allievi.

Il 2018 si aprirà con l’adozione della compagnia da parte dei teatri Biondo e Massimo. Per avere una idea degli artisti che rigorosamente a titolo gratuito hanno contribuito a questo importante risultato, Pif che ha mandato un videomessaggio dalla radio; gli straordinari comici palermitani Toti &Totino, e poi gli Ottoni Animati che sono spuntati dal fondo sala in mezzo al  pubblico con i “Picciotti della Lapa” ad animare la sala con canti e balli popolari.

Il duo ormai consolidato Paride Benassai e Mario Incudine con una incursione da consolidati artisti; e ancora il “metereologo” Daniele Billitteri con  Stefania Blandeburgo (la signora Palermo), Anna Bonomolo, Maurizio Bologna che è tornato a cantare con un piccolo gruppo di musicisti e il figlio alle percussioni; Gigi Borruso instancabile compagno di Vito nello spettacolo Ninnarò, Patrizia D’Antona, Salvo Ficarra (senza Picone), la brava Serena Ganci autrice della colonna sonora della leggenda storta di babbo natale; Costanza Licata e Salvo Piparo nel racconto inedito della storia di Palermo attraverso le leggende popolari. L’opera dei pupi in scena con il puparo Vincenzo Mancuso, la comicità esilarante di Marco Manera ed Ernesto Maria Ponte. La potenza evocativa dei racconti di Vincenzo Pirrotta, e la magistrale interpretazione dell’attore Filippo Luna, accompagnato alla chitarra dal giovanissimo Giacomo Scinardo. La comicità dirompente de I Soldi Spicci e le risate con i fratelli Sansoni. La magia della musica d’autore  con il duo Alessandra Ponente e Germano Seggio. Le performance sonore alla chitarra di Umberto Porcaro. Gran finale  esplosivo con i due straordinari musicisti Giuseppe Milici e Ruggiero Mascellino che hanno accompagnato i Tamuna. Dietro le quinte Tiziano Di Cara ed Elisa Parrinello a fare si che il pubblico portasse a casa il ricordo di una serata memorabile.

Filippo Luna e Gicomo Scinardo

 

Arte

Picasso, lo straniero, viaggio nelle memorie

Published

on

“Straniero”, è la condizione di un grande artista, Picasso, che attraverso le sue opere ha saputo plasmare la propria identità. La mostra a Palazzo Reale ne magnifica il percorso umano e artistico che comincia con una luce soffusa e calda, suoni indistinti, ritratti di volti appesi al soffitto e l’immagine di un giovane spagnolo che appare spaesato al suo arrivo a Parigi a inizio secolo.

Annie Cohen-Solal, storica e saggista, curatrice della mostra, conduce il visitatore nelle memorie di un grande artista attraverso l’esposizione di novanta opere, concesse dal Musée national Picasso-Paris di cui Cécile Debray è presidente.

A 50 anni dalla morte

A cinquant’anni dalla scomparsa di Picasso, la curatrice ne racconta la vita da un punto di vista inedito, mettendo in evidenza censure e persecuzioni ma anche influenze e passioni.  I molteplici elementi presenti nelle sale contribuiscono ad accrescere, nel visitatore, un senso di smarrimento, si ha la sensazione di diventare subito “stranieri”, ai margini di un’unità spazio-temporale sospesa.

Si respira un malinconico senso di distacco quando ci si immerge nelle lettere della mamma di Picasso, lette e diffuse in sala da altoparlanti, e ancora spiccano le fotografie dell’artista insieme ai suoi amici, i documenti personali di un “anarchico”, i video di una realtà storica che non appartiene alla contemporaneità.

Durante questo percorso che anche sensoriale, il visitatore avverte la sensazione di sentirsi estraneo nella contemplazione di quadri, sculture, disegni e ceramiche di “un uomo che vede la realtà diversamente da come tutti la guardano”, così scrisse di Picasso Gertrude Stein, sua amica personale.

La mostra

La mostra è di grande impatto visivo, i pannelli espositivi sono ben curati, il percorso è intuitivo e conduce il visitatore verso un graduale coinvolgimento conoscitivo ed emotivo.

Il progetto segue la traiettoria artistica e politica di Picasso che si dimostra essere in linea con la città di Milano che “cresce e si afferma come grande polo culturale grazie alla capacità di accogliere chi è straniero”, ha dichiarato a margine dell’inaugurazione il sindaco Giuseppe Sala. È questa infatti la visione di una città che vuole offrire occasioni di espressione e di dialogo tra diverse culture, garantendo una crescita progressiva per l’individuo e la società.

Arianna Scinardo

 

Continue Reading

Cinema

Pupi Avati e il conformismo

Published

on

Pupi Avati, o “l’anticonformismo del conformismo”

La presentazione del volume ‘Pupi Avati fuori dal cinema italiano’ al Museo Etrusco di Roma, alla presenza dei fratelli Avati. Steve Della Casa intervista il regista e l’autore del libro, Massimiliano Perrotta

“Il mio libro inizia con una cena a casa di Laura Betti, dove Pupi Avati era appena arrivato da Bologna con due film che erano andati male. E proprio lì, dove c’erano Bellocchio, Bertolucci, Moravia, Pasolini… gli scappò detto ‘io sono democristiano’: la cosa più conformista, che però in quel consesso coincideva col massimo dell’eresia. Su questo paradosso, su questa contraddizione, lui ha costruito la sua carriera e io ho costruito il mio libro”.

Così Massimiliano Perrotta presenta al pubblico il suo Pupi Avati fuori dal cinema italiano in una gremita Sala della Fortuna del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Una biografia decisamente sui generis, appena uscita con Edizioni Sabinae, che in otto capitoli raccoglie altrettanti articoli già pubblicati dall’autore catanese sull’’Huffington Post’. Accanto a lui il regista, fresco della Laurea ad Honorem in Italianistica appena conferitagli all’Università Roma Tre, mentre in prima fila siede l’inseparabile fratello, Antonio Avati.

A moderare l’incontro è Steve della Casa, critico cinematografico e direttore artistico, storico conduttore radiofonico di ‘Hollywood Party’ nonché regista, autore e Conservatore della Cineteca Nazionale.

L’anticonformismo del conformismo è la chiave di lettura che il libro dà alla carriera di Pupi Avati”, rimarca Della Casa, dopo aver presentato il regista, accolto da un lungo applauso, come ‘il più grande affabulatore che ho conosciuto nella mia carriera’: “una carriera che ha parecchi punti che sorprendono, come dimostra il volume stesso. Ad esempio quando qualche anno fa ho scoperto che gran parte dell’ultimo film di Pasolini, Salò, è stato scritto da Pupi Avati, rispetto ai suoi lavori successivi mi sembrava una cosa eccentrica. Invece poi non lo è affatto. Questo libro è molto interessante e controcorrente, perché è una biografia non esaltatoria del soggetto e non ha un’esigenza di completezza: racconta un preciso punto, la posizione eccentrica di Pupi Avati all’interno della galassia del cinema italiano”.

“Il libro di Massimiliano (Perrotta, ndr) apre con la storia di quella cena, ma non è che io sono arrivato là e ho detto così, dal nulla, ‘sono democristiano’”, precisa ridendo Pupi Avati, che prende la parola confermandosi esattamente nel ruolo in cui è stato presentato e snocciolando anche in questa occasione decine di aneddoti più che divertenti sui suoi 85 anni di vita, di famiglia e di cinema, spesso mimando il racconto la voce con vere e proprie gag.

“Quello era il risultato di una serie di considerazioni di noi che arriviamo a Roma (io e mio fratello Antonio, ndr) con due ‘cadaveri’ di insuccessi, come allora si diceva”, continua il regista. “Anche dietro alla stessa scelta di questo piccolo nome, ‘Pupi’ Avati, c’era una cultura, un mondo, dei genitori, dei nonni, delle zie, la campagna vissuta nel primo dopoguerra… C’erano le favole contadine terrorizzanti che ci raccontavano prima di andare a letto nelle camere scricchiolantissime, come la favola del ‘prete donna’… E poi c’era la chiesa, l’educazione cattolica preconciliare, piena di inferno e di diavolo dappertutto. Ecco, avendo tenuto dentro di me con riconoscenza quell’immaginario che si è andato a formare laggiù, in quel tempo remoto, con una grande nostalgia… Perché allora non c’era niente, a parte i campi… E allora riempivi quel niente con l’immaginazione, col racconto orale, che era fondamentale. Magari alcuni dei miei parenti erano pressoché analfabeti, non avrebbero mai saputo scrivere… ma sapevano raccontare. E saper raccontare – come sapeva fare nostra madre, una narratrice fantastica, che da quando salivamo in macchina da via Saragozza a Bologna fino a Roma non si interrompeva un minuto – era una cosa preziosissima. Questa è l’Italia dalla quale vengo, che non aveva quasi nulla, ma aveva tantissimo, perché ti permetteva di immaginare, che oggi è una cosa quasi proibita”.

Tornando al libro, anche per chi non abbia letto in precedenza i suoi articoli online, lo stile del racconto di Perrotta appare esplicito fin dalle prime pagine e non lesina – ora qua ora là – personalissimi epiteti ai grandi maestri della settima arte, destinati a far discutere. Ma anche nei titoli scelti per dividere il volume: si va da Un democristiano nel salotto – dove si racconta la famosa cena di cui sopra – per poi passare a Il Truffaut dell’Italietta, La poesia democristiana, o Agli antipodi del fighettismo, all’interno del quale, ad esempio, l’autore scrive: “Glamour: ecco una parola che non si addice al cinema di Pupi Avati. Egli si colloca agli antipodi del fighettismo artistico e di quello sociale (…). Mentre il fighettismo idolatra i vincenti, Avati simpatizza per i candidi, per gli insicuri, per gli sfigati”.

“Pupi Avati è fuori dal cinema italiano per una ontologica estraneità agli schemi culturali che nell’ultimo mezzo secolo lo hanno dominato”, scrive ancora Perrotta nel primo capitolo: “non ha fede nella storia, non crede nel progresso, non lotta contro il potere, non gli interessano i temi sociali, non si batte per le nobili cause, non vuole denunciare nulla, non racconta la crisi dell’Occidente, non segue le mode, non ostenta citazioni, non è laico. Per la stessa ragione il cinema italiano ama poco Pupi Avati: lo tratta con condiscendenza, premia raramente i suoi film, fatica a riconoscergli lo status di autore con la a maiuscola. (…). Il cinema di Pupi Avati non va rivalutato o sdoganato: va letto con occhi vergini, con occhi postnovecenteschi, con gli occhi di domani”.

“Il cinema di Pupi è personalissimo, senza quella aggressività che altri autori cercano di imporre sulla materia narrata e sulla realtà con la loro cifra”, continua l’autore del libro in sala. “Anche nei riguardi del film horror, lui lo fa a tutti gli effetti, rispettandone i codici ma poi arricchendone il contesto con il suo sguardo. Anche in Salò, certo, c’è la sua firma, ma discreta: non c’è nulla che lui faccia, anche per la tv, che non rispetti quel che gli viene chiesto, e che però sia al tempo un film di Pupi Avati a tutti gli effetti, con tutte le sue cifre stilistiche, ma sempre con discrezione, con quel senso della misura che secondo me è quello che, se da un lato lo rende amabile, lo ha visto penalizzato da parte della critica. Ma il tempo secondo me dà ragione a lui”.

“L’argomento del film di genere, presente nel libro, è una preoccupazione che Pupi ha a livello di prospettiva”, precisa Steve Della Casa. “È molto attento anche a quello che avviene anche dal punto di vista commerciale nel cinema italiano, e alla sua capacità di trovare un pubblico. Praticare il cinema ‘di genere’ è stata una caratteristica del cinema italiano negli anni del suo massimo splendore. Diceva Giuliano Montaldo che se si potevano fare i film di Bertolucci e Pasolini era perché si facevano quelli di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che incassavano, pensate, quasi il 10% del totale nel cinema italiano, consentendo agli altri di sperimentare. E poi c’era un’osmosi tra cinema d’autore e di genere, che si confrontavano continuamente. Nell’horror che fa Pupi Avati, ad esempio, gli effetti speciali hanno un ruolo piccolissimo, il suo è un horror di atmosfera: la paura ti arriva da altre cose”.

A chiudere la pubblicazione, un’interessante ‘raccolta nella raccolta’ tratta da libri, riviste e/o quotidiani, intitolata Fior da Fiore, che a partire dal 1970 fino al 2024 riporta i punti di vista delle più note firme del grande schermo nei confronti del cinema di Pupi Avati: Miccichè, Farassino, Bignardi, Bertetto, Caprara (Valerio), Anselmi, Fofi, Morandini, Ferzetti (Fausto), Rondolino, Tornabuoni, Crespi, Sarno, Kezich, Nepoti, Brunetta, Mereghetti, Rondi, Mancuso, Salvagnini, Giusti, Zappoli e Siniscalchi.

Continue Reading

Cinema

“Corto d’Amuri” dedicato a tutti i bambini e le donne

Published

on

Life And Life e Vittoria Assicurazioni insieme contro la violenza di genere

Mercoledi 2 ottobre 2024, Giornata mondiale della non violenza, proiezione alle 10.30, in anteprima del cortometraggio – Sala Bianca, Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo

Verrà proiettato in anteprima assoluta, davanti a un pubblico selezionato di studenti e insegnanti, il cortometraggio: “Corto D’Amuri”, realizzato dall’organizzazione internazionale umanitaria LIFE and LIFE ETS. Partner dell’iniziativa Vittoria Assicurazioni, agenzia generale di Palermo, selezionata per il secondo anno per il progetto: “AssiCuriamo – Insieme 2024” promosso da Fondazione Specchio d’Italia e Fondazione Carlo Acutis.

Il lavoro realizzato dalle registe Silvia Miola e Giada Di Fonzo, ex allieve del corso di Documentario del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, racconta le violenze psicologiche, spesso invisibili, che subiscono bambini e donne all’interno delle mura domestiche. Non è un caso che sia stata scelta proprio la data del 2 ottobre per proiettare il lavoro filmico, Giornata mondiale della nonviolenza. Dopo l’esperienza maturata lo scorso anno sulla prevenzione delle malattie oncologiche, Life and Life e Vittoria Assicurazioni, hanno voluto realizzare un cortometraggio da destinare principalmente alle scuole, per lanciare un ulteriore messaggio di allarme al fine di aiutare i più deboli a rivolgersi ai centri per l’ascolto antiviolenza.

All’incontro saranno presenti, il vice sindaco e assessore alla Cultura Giampiero Cannella, le registe Silvia Miola e Giada Di Fonzo, il bambino protagonista del corto Mattia Libeccio, gli attori Stefania Blandeburgo e Ludovico Vitrano, che hanno partecipato a titolo gratuito con le loro voci fuori, la fumettista Eva Arato, il Presidente e la vice della Life And Life, Arif Houssein e Valentina Cicirello, gli agenti generali di Vittoria assicurazioni Antonello e Rossana Calia, e la delegata di produzione Laura Scalia.

Per info: Life And Life, via Serraglio Vecchio 28, Palermo. Tel. 091.2714100

Guada il corto

Il servizio di Tele One del 3 ottobre 2024

Qui la registrazione dell’evento

Continue Reading

In Tendenza