

Teatro
Ai Crociferi va in scena “La Prima”. Debutto alla regia di Luna
La scelta dell’ex chiesa San Mattia ai Crociferi, in via Torremuzza a Palermo non è casuale. Lo spettacolo teatrale “La Prima“, che ha visto lo straordinario attore di cinema e teatro Filippo Luna debuttare nella regia con un libero adattamento di un testo scritto dall’avvocato matrimonialista Annalisa Bianchini, ha fatto registrare nella sua prima serata, il tutto esaurito. Pubblico coinvolto nella scena, da una elegante quanto performante attrice Chiara Muscato, che apre sola al centro del palco; la voce tremula, un microfono vintage che ricorda la vecchia radio, canta, in apertura, un brano scritto da Serena Ganci. Luci spente in sala e improvvisamente un occhio di bue illumina una porzione di pubblico, inquadrando una donna minuta, imbarazzata e commossa. Si scoprirà dopo quasi 30 minuti di monologo che è la madre di Chiara, la bravissima attrice catanese Manuela Ventura. Il pubblico assiste silenzioso e inerme a uno struggente dialogo madre e figlia conseguente alla separazione dei genitori. Chiara Muscato urla, piange, metabolizza rabbia e livore e li scaraventa senza pietà a una madre inerme, che subisce silenziosa, con qualche mugugno. Il silenzio viene rotto da un urlo, che scuote la sala. Si accendono le luci e il pubblico si guarda basito, è distribuito su due ali in gradinata come a volere abbracciare le due protagoniste in questo struggente dialogo. Gli ingredienti di una separazione ci sono tutti e le conseguenze si manifestano in rabbia, aggressività, frustrazione, mista a senso di colpa. Una figlia che deve fare i conti con il dolore e il vuoto esistenziale. Già in conferenza stampa, nello splendido scenario delle Mura nel quartiere della kalsa, l’avvocato matrimonialista Annalisa Bianchini aveva evidenziato che spesso nelle separazioni un genitore ritiene di dover proteggere i figli dalle trascuratezze, vere o presunte, dell’altro. Sottolineare queste mancanze produce nel figlio una sofferenza aggiuntiva e un senso di colpa irrazionale e profondo. La frattura del divorzio può rappresentare un ostacolo nella transizione alla vita adulta e può minare la costruzione di legami stabili anche se in letteratura emerge che non è la separazione in sé il vero rischio per i figli, bensì l’esposizione al prolungato ed elevato conflitto genitoriale”. Filippo Luna nel trasporre drammaturgicamente il testo ha abbondantemente superato la prova nella regia, confermandosi un artista di grande talento. Incontrando i giornalisti qualche giorno prima parlando dello spettacolo aveva preannunciato gli elementi di questa piece dove l’inganno si trasforma in tragedia familiare, in una sorta di resa dei conti, nella quale il pubblico invitato, nel suo abito elegante, suo malgrado vestirà i panni degli altri, di quelli che stanno a guardare o si fanno cattivi consiglieri. Nello spettacolo funziona molto bene la squadra con le musiche di Serena Ganci con Gabrio Bevilacqua e Fabrizio Brusca, le luci di Vittorio Di Matteo, i costumi di Dora Argento, con il supporto della Sartoria Pipi, l’organizzazione di Giovanna La Barbera, l‘ufficio stampa di Rosa Guttilla e le fotografie di scena di Lucio Ganci. Prodotto dall’Associazione Culturale Santa Briganti, si avvale del gratuito patrocinio del Comune di Palermo e dell’assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo.
- La conferenza stampa
- Il debutto
In Evidenza
Quel male oscuro, malessere di vivere!

Non è forse casuale che, a distanza di un mese, il Teatro Biondo celebri due capolavori della letteratura del novecento. A dicembre, Alessandro Haber ha portato in scena il romanzo psicoanalitico di Italo Svevo, La coscienza di Zeno, in questo giorni, il regista Giuseppe Dipasquale, dirige una straordinaria compagnia di attori, capitanata da Alessio Vassallo, ne “Il male oscuro” di Giuseppe Berto. E’ proprio quest’ultimo, nella stesura del testo, dapprima rifiutato da più di un editore e poi pubblicato nel 1964 da Rizzoli, ispirò anche l’indimenticabile Mario Monicelli, che nel 1990, nel film omonimo, affidò il ruolo da protagonista a Giancarlo Giannini. Il male oscuro celebra l’antieroe sveviano, diviso tra senso del dovere e desideri frustrati.
I costumi di Dora Argento, le scene di Antonio Fiorentino (Dipasquale le definisce una sorta di placenta cerebrale, un luogo altro), i movimenti coreografici di Rebecca Murgi e le musiche di Germano Mazzocchetti fanno da corollario ad un affiatato gruppo di attori, Cesare Biondolillo, Lucia Fossi, Luca Iacono, Viviana Lombardo, Consuelo Lupo, Ginevra Pisani, che si muovono sul palco a piedi nudi, cambiando abiti e personaggi di continuo, avvitandosi intorno a storie di profonda natura psicologica, non abbandonando mai la scena. Il protagonista è Bepi, nei panni di un elegante Alessio Vassallo, che nel cinema come nella fiction televisiva, ma soprattutto in teatro, restituisce al pubblico una interpretazione magistrale. Quasi due ore ininterrotte di recitazione, senza un minimo cedimento, con una forza espressiva a metà tra il malinconico, vivendo la paura di avere un cancro, e l’euforia finale che passa ancora a malessere di vivere.
La psicoanalisi, per stessa ammissione dell’analista, un immenso Ninni Bruschetta, gli permettere di fare un viaggio, che ci richiama all’Interpretazione dei sogni, capolavoro del 1899 di Sigmund Freud. Dipasquale fa uno straordinario lavoro intellettuale sui personaggi, sospesi tra l’onirico e il reale, cercando di fare comprendere allo spettatore le patologie psichiche, attraverso l’utilizzo della narrazione, che diventa prezioso materiale affettivo e mentale, in risposta a quel super – io, più volte ricordato dagli attori, che la coscienza, a volte tende, ad occultare.
E’ affascinante la storia di questo scrittore di cui si ha l’impressione che la vita gli sfugga continuamente di mano, che non riesce a elaborare il lutto della perdita di un padre autoritario, che vive in bilico fra una moglie e un’amante troppo giovane; le loro storie scivolano nel grottesco, alimentando nel protagonista quel male oscuro, che è la depressione. Ecco dunque che il lettino diventa catarsi, medium di purificazione tra Es, Io e Super – Io. “Il teatro come specchio della natura”, lo afferma, attraverso questa opera, il regista, richiamandosi a Shakespeare.
Dopo Palermo, la tournee va in giro in Italia grazie alla co-produzione dei Teatri Biondo, Marche e Stabile di Catania.
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Teatro e donne: un progetto al femminile

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Il racconto dell’ancella di Viola Graziosi e il distopico

Viola Graziosi è un’attrice immensa e quando si fa dirigere dal marito, il grande attore di teatro Graziano Piazza, lo diventa ancora di più, in una performance artistica che impegna voce e corpo in quasi due ore di spettacolo.
Margaret Atwood
Interpretare June Osborne, la protagonista del racconto della scrittrice canadese Margaret Atwood, “Il Racconto dell’ancella”, andata in scena al teatro Libero di Palermo, non è facile, anche perché il pubblico negli ultimi anni ha tributato un grande consenso al romanzo distopico del 1985, che ha venduto milioni di copie, adattato per il grande schermo nell’omonimo film diretto da Volker Schlöndorff e nel 2017 per la televisione.
The Handmaid’s Tale
Tutte le stagioni sono su Prime video sotto il titolo di The Handmaid’s Tale. Il suo ideatore Bruce Miller, forse non si aspettava tanto successo, grazie all’attrice protagonista Elisabeth Moss che interpreta June. Sono molto simili la Moss e la Graziosi, nel cinema la prima è dentro il regime teocratico totalitario di Gilead, catturata mentre tentava di fuggire in Canada con suo marito, Luke, e sua figlia, Hannah. Grazie alla sua fertilità, diventa una ancella del comandante Fred Waterford (da qui il nome Difred) e sua moglie, Serena Joy; l’altra Viola Graziosi, in Teatro, si immerge nel testo, tradotto da Camillo Pennati.
Viola Graziosi
Per lei tutto ha avuto inizio 5 anni su un input di Laura Palmieri di Radio 3 che le chiese di portare in scena questa incredibile storia, proprio il giorno della festa della donna. Il palco è come una sorta di anfiteatro dove tante paia di scarpe rosse, delimitano un semicerchio con al centro un abito rosso che ci richiama alle antiche vestali. Viola inizia il suo racconto illuminata soltanto da un occhio di bue che le delimita luci e ombre sul viso e sul corpo.
Un viaggio introspettivo
Lo spettatore vive una sorta di viaggio introspettivo amando il coraggio di una donna che diventa emblema anche di alcuni movimenti di protesta a sostegno dei diritti delle donne. “Nolite te bastardes carborundorum” e “Ci sono domande?” Sono due frasi ricorrenti nell’opera, spesso usate come motto di emancipazione femminile, ed è proprio il racconto di Viola Graziosi che spinge il pubblico quasi a una catarsi liberatoria in cui in scena, attraverso la parola, il corpo si svela non soltanto come mezzo di procreazione.
La repubblica di Gilead
Nel racconto dell’ancella in versione teatrale e televisiva lo spettatore è spinto a detestare i comandanti di una Repubblica, Gilead, dove le donne sono asservite a loro per scopi riproduttivi e dove quelle non fertili o troppo anziane sono dichiarate “Nondonne” e quindi eliminate.
Sorvegliate e divise in categorie secondo il colore dei vestiti: azzurro le Mogli; verde le Marte, le domestiche; marrone le Zie, sorveglianti; rosso le Ancelle, le uniche in grado di procreare. Nessuna può disobbedire, pena la morte o la deportazione. Non hanno bisogno di leggere, di scrivere, di pensare, di stancarsi troppo. Non vanno in giro da sole di modo che non possano essere importunate. Sono vestite di rosso con un cappuccetto bianco, in modo tale da non venir troppo viste e possono anche evitare di guardare, se non vogliono.
E’ un racconto immaginato in un futuro irreale e forse Viola Graziosi, con questa “opera magna” vuole farci comprendere come la donna sia ancora oggi discriminata da una becera cultura maschile che non si rassegna!
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