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Enna, nasce il Museo del Mito. Un percorso immersivo
CULTURA: Enna, nasce il Museo del Mito. Un percorso immersivo alla ricerca di Persefone
ENNA, 30 settembre 2020 – Sei chicchi di melagrana, solo sei chicchi rosso sangue. Ma bastarono per legare per sempre Persefone ad Ade. Il dio degli Inferi, innamorato della figlia di Demetra, la rapì senza rispetto ma, costretto a restituirla alla madre, le offrì un frutto dell’Oltretomba: la fanciulla rimase legata a lui per sempre. Zeus decise: sei mesi con la madre sulla terra, sei con il marito, regina degli Inferi. L’alternanza delle stagioni, l’abbondanza delle messi, la neve d’inverno, il sole d’estate: il ciclo della vita e della natura nasce da qui. Ed è da qui che parte il percorso immersivo del neonato Museo multimediale del Mito inaugurato ieri a Enna dal sindaco Maurizio Dipietro che ha visto la presenza dell’attrice Iaia Forte con un emozionante recital, al tramonto sull’acropoli della città più alta d’Italia, dedicato al culto della Dea madre, Demetra.
Tra video arte e racconto cinematografico – nel segno della contaminazione tra i generi – il Museo multimediale del mito di Enna è un progetto della start up culturale Sarterìa, curato da Francesca Mezzano, produttore esecutivo, e con interventi creativi di Ligama, lo street artist che ha tradotto in codici visivi quelli che sono segni, simboli e volti del mito provenienti dallo sterminato patrimonio archeologico dell’arte greca, matrice della cultura europea. Spiega la Mezzano: “Questo museo nasce all’interno di un’importante valorizzazione di un’area archeologica che sceglie una narrazione contemporanea e ibrida fra i generi, l’arte contemporanea e il cinema, per restituire un pezzo di città ai cittadini e ai viaggiatori dell’entroterra della Sicilia”.
Ad accogliere i visitatori del Museo del Mito è la voce calda e pastosa di Neri Marcorè: avvolti dalle immagini, dalle musiche e dai colori della natura ci si immerge nella narrazione partecipando alla disperazione di Demetra alla ricerca della sua Persefone. La dea dell’agricoltura – che ridusse la Terra alla siccità fino a quando non le avessero restituito la figlia -, scenderà nell’Ade e poi ritornerà alla luce. Un viaggio tra le stagioni, il tempo, il mistero della Natura e il ciclo della vita. Appena quindi minuti per uno storytelling affascinante con il contributo di grandi professionisti di questa nuova concezione di museo del Terzo Millennio che, con la multimedialità, contamina i generi: le musiche sono di Gianluca Ferrante, i testi della documentarista Vanessa Roghi, il coordinamento multimediale di Gerardo Greco. Mentre la supervisione generale è del produttore cinematografico Giuseppe Saccà, che spiega: “Questa è la prima esperienza della nostra start up Sarterìa, che unisce la nostra due anime: quella di Francesca Mezzano legata all’arte contemporanea e la video arte, e la mia, legata al racconto cinematografico. Siamo convinti che questi due mondi dialogheranno fra loro e che la contaminazione dei generi sarà la chiave del futuro. E’ questa la strada che mi interessa percorrere accanto a quella tradizionale del racconto cinematografico”.
Il Museo multimediale del Mito è destinato a essere per Enna uno spazio di incontro tra cultura, uomo e tecnologia. “E’ il coronamento di un sogno – spiega il Sindaco Maurizio Dipietro – e di un progetto che questa amministrazione ha portato avanti dal suo insediamento: richiama il mito di Demetra e Persefone che identifica Enna come città che nasce nel mito greco, prosegue la sua avventura nella storia tra Euno e Federico II e che oggi vuole rilanciare il suo sviluppo economico attraverso la cultura e il turismo”. Per la serata inaugurale, condivisa in diretta sul grande schermo di Piazza Municipio per consentire a tutta la comunità di partecipare all’evento nonostante le misure anti-covid, il recital di Iaia Forte è stato affiancato dalla muta performance di divinità olimpiche, ninfe, fauni e figure mitologiche interpretate dal cast della Casa del Musical di Marco Savatteri.
MUSEO DEL MITO, informazioni
Il progetto del Museo multimediale del Mito – il cui logo è una spiga stilizzata, ispirata ai culti autoctoni – ha visto il recupero dei Capannicoli, storico edificio interno dell’area archeologica di Enna che comprende la Rocca di Cerere e il Castello di Lombardia. Spazi sconosciuti alla comunità e interamente recuperati con uno scrupoloso restauro filologico. Al suo interno, due grandi ambienti multifunzionali conducono per mano il visitatore attraverso un’esperienza di conoscenza innovativa, quella della realtà virtuale: l’ingresso ospita infatti 4 postazioni per la realtà virtuale, per un’esperienza di mixed reality con cui “visitare” a virtualmente l’intero territorio. I dispositivi Oculus VR prevedono oltre al visore anche un touch motion controller. Chi indossa il visore, potrà condurre un vero “volo d’uccello” sul Castello di Lombardia e la Rocca. Un viaggio emozionante di pochi minuti ad alto tasso adrenalinico, sui precipizi, la natura incontaminata, il paesaggio straordinario che da un lato arriva all’Etna e dall’altro sorride al mare in lontananza. Il totem touch screen farà invece scoprire reperti e testimonianze del mito di Kore, negli altri musei dell’Ennese. A questo punto si è pronti per il cuore pulsante del Museo: un ambiente immersivo, grazie all’importante componente tecnica – sei proiettori a LED, audio spaziale, un’imponente regia – dedicato al mito del ratto di Persefore.
E’ stata preparata anche una versione in inglese (con la voce dell’attore e cantante Victor Vertumni) e una più ridotta per i bambini, che saranno guidati da uno di loro, visto che la voce sarà quella del piccolo Leonardo Greco (8 anni). Tutti coinvolti in un importante progetto sostenibile che diventerà di certo uno dei punti focali del rilancio turistico del territorio. Il Museo multimediale del Mito sarà regolarmente aperto al pubblico da lunedì 5 ottobre con i seguenti orari. Dall’11 ottobre e fino al 31 marzo dalle 9 alle 17; dal 1 aprile e fino al 10 ottobre dalle 10 alle 19. Occorre prenotare la visita scrivendo a museodelmito.enna@gmail.com.
Museo del Mito, comitato consultivo
Un’equipe di professionisti composta da archeologi, architetti, docenti, ricercatori e guide naturalistiche che, a titolo gratuito, hanno contribuito al progetto: Pietro Colletta, Antonio Messina, Antonino Arrigo, Valentina Di Natale, Giuseppe Maria Amato, Flavia Tomasello, Anna Maria Corradini, Maurizio Miccichè, Loredana Paci, Rosalia Olivella Valvo Grimaldi, Serena Raffiotta e Rossella Nicoletti
SARTERIA, notizie
Sarterìa si basa sul lavoro dei quattro soci: Francesca Mezzano, curatrice ed esperta di arte contemporanea che ha curato l’intero progetto con il regista Giuseppe Saccà; Alessandro Vitiello, giornalista e imprenditore, insieme allo stesso Saccà, produttore cinematografico e co-fondatore della Pepito Produzioni, e Salvatore Pecoraro, direttore finanziario della Pepito, reduci entrambi da una trionfale partecipazione al 70° concorso del Festival del Cinema di Berlino con il film “Favolacce”, opera seconda dei fratelli D’Innocenzo, che ha ottenuto l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura nonché l’unanime apprezzamento della critica.
Ufficio Stampa Sarteria
Marco Mottolese 348 87 04 800
Melamedia
Carmela Grasso 349 2684564 info@melamedia.it
Simonetta Trovato 333 5289457 simonettatrovato@gmail.com
Arianna
Picasso, lo straniero, viaggio nelle memorie
“Straniero”, è la condizione di un grande artista, Picasso, che attraverso le sue opere ha saputo plasmare la propria identità. La mostra a Palazzo Reale ne magnifica il percorso umano e artistico che comincia con una luce soffusa e calda, suoni indistinti, ritratti di volti appesi al soffitto e l’immagine di un giovane spagnolo che appare spaesato al suo arrivo a Parigi a inizio secolo.
Annie Cohen-Solal, storica e saggista, curatrice della mostra, conduce il visitatore nelle memorie di un grande artista attraverso l’esposizione di novanta opere, concesse dal Musée national Picasso-Paris di cui Cécile Debray è presidente.
A 50 anni dalla morte
A cinquant’anni dalla scomparsa di Picasso, la curatrice ne racconta la vita da un punto di vista inedito, mettendo in evidenza censure e persecuzioni ma anche influenze e passioni. I molteplici elementi presenti nelle sale contribuiscono ad accrescere, nel visitatore, un senso di smarrimento, si ha la sensazione di diventare subito “stranieri”, ai margini di un’unità spazio-temporale sospesa.
Si respira un malinconico senso di distacco quando ci si immerge nelle lettere della mamma di Picasso, lette e diffuse in sala da altoparlanti, e ancora spiccano le fotografie dell’artista insieme ai suoi amici, i documenti personali di un “anarchico”, i video di una realtà storica che non appartiene alla contemporaneità.
Durante questo percorso che anche sensoriale, il visitatore avverte la sensazione di sentirsi estraneo nella contemplazione di quadri, sculture, disegni e ceramiche di “un uomo che vede la realtà diversamente da come tutti la guardano”, così scrisse di Picasso Gertrude Stein, sua amica personale.
La mostra
La mostra è di grande impatto visivo, i pannelli espositivi sono ben curati, il percorso è intuitivo e conduce il visitatore verso un graduale coinvolgimento conoscitivo ed emotivo.
Il progetto segue la traiettoria artistica e politica di Picasso che si dimostra essere in linea con la città di Milano che “cresce e si afferma come grande polo culturale grazie alla capacità di accogliere chi è straniero”, ha dichiarato a margine dell’inaugurazione il sindaco Giuseppe Sala. È questa infatti la visione di una città che vuole offrire occasioni di espressione e di dialogo tra diverse culture, garantendo una crescita progressiva per l’individuo e la società.
Arianna Scinardo
Arianna
Pupi Avati e il conformismo
Pupi Avati, o “l’anticonformismo del conformismo”
La presentazione del volume ‘Pupi Avati fuori dal cinema italiano’ al Museo Etrusco di Roma, alla presenza dei fratelli Avati. Steve Della Casa intervista il regista e l’autore del libro, Massimiliano Perrotta
“Il mio libro inizia con una cena a casa di Laura Betti, dove Pupi Avati era appena arrivato da Bologna con due film che erano andati male. E proprio lì, dove c’erano Bellocchio, Bertolucci, Moravia, Pasolini… gli scappò detto ‘io sono democristiano’: la cosa più conformista, che però in quel consesso coincideva col massimo dell’eresia. Su questo paradosso, su questa contraddizione, lui ha costruito la sua carriera e io ho costruito il mio libro”.
Così Massimiliano Perrotta presenta al pubblico il suo Pupi Avati fuori dal cinema italiano in una gremita Sala della Fortuna del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Una biografia decisamente sui generis, appena uscita con Edizioni Sabinae, che in otto capitoli raccoglie altrettanti articoli già pubblicati dall’autore catanese sull’’Huffington Post’. Accanto a lui il regista, fresco della Laurea ad Honorem in Italianistica appena conferitagli all’Università Roma Tre, mentre in prima fila siede l’inseparabile fratello, Antonio Avati.
A moderare l’incontro è Steve della Casa, critico cinematografico e direttore artistico, storico conduttore radiofonico di ‘Hollywood Party’ nonché regista, autore e Conservatore della Cineteca Nazionale.
“L’anticonformismo del conformismo è la chiave di lettura che il libro dà alla carriera di Pupi Avati”, rimarca Della Casa, dopo aver presentato il regista, accolto da un lungo applauso, come ‘il più grande affabulatore che ho conosciuto nella mia carriera’: “una carriera che ha parecchi punti che sorprendono, come dimostra il volume stesso. Ad esempio quando qualche anno fa ho scoperto che gran parte dell’ultimo film di Pasolini, Salò, è stato scritto da Pupi Avati, rispetto ai suoi lavori successivi mi sembrava una cosa eccentrica. Invece poi non lo è affatto. Questo libro è molto interessante e controcorrente, perché è una biografia non esaltatoria del soggetto e non ha un’esigenza di completezza: racconta un preciso punto, la posizione eccentrica di Pupi Avati all’interno della galassia del cinema italiano”.
“Il libro di Massimiliano (Perrotta, ndr) apre con la storia di quella cena, ma non è che io sono arrivato là e ho detto così, dal nulla, ‘sono democristiano’”, precisa ridendo Pupi Avati, che prende la parola confermandosi esattamente nel ruolo in cui è stato presentato e snocciolando anche in questa occasione decine di aneddoti più che divertenti sui suoi 85 anni di vita, di famiglia e di cinema, spesso mimando il racconto la voce con vere e proprie gag.
“Quello era il risultato di una serie di considerazioni di noi che arriviamo a Roma (io e mio fratello Antonio, ndr) con due ‘cadaveri’ di insuccessi, come allora si diceva”, continua il regista. “Anche dietro alla stessa scelta di questo piccolo nome, ‘Pupi’ Avati, c’era una cultura, un mondo, dei genitori, dei nonni, delle zie, la campagna vissuta nel primo dopoguerra… C’erano le favole contadine terrorizzanti che ci raccontavano prima di andare a letto nelle camere scricchiolantissime, come la favola del ‘prete donna’… E poi c’era la chiesa, l’educazione cattolica preconciliare, piena di inferno e di diavolo dappertutto. Ecco, avendo tenuto dentro di me con riconoscenza quell’immaginario che si è andato a formare laggiù, in quel tempo remoto, con una grande nostalgia… Perché allora non c’era niente, a parte i campi… E allora riempivi quel niente con l’immaginazione, col racconto orale, che era fondamentale. Magari alcuni dei miei parenti erano pressoché analfabeti, non avrebbero mai saputo scrivere… ma sapevano raccontare. E saper raccontare – come sapeva fare nostra madre, una narratrice fantastica, che da quando salivamo in macchina da via Saragozza a Bologna fino a Roma non si interrompeva un minuto – era una cosa preziosissima. Questa è l’Italia dalla quale vengo, che non aveva quasi nulla, ma aveva tantissimo, perché ti permetteva di immaginare, che oggi è una cosa quasi proibita”.
Tornando al libro, anche per chi non abbia letto in precedenza i suoi articoli online, lo stile del racconto di Perrotta appare esplicito fin dalle prime pagine e non lesina – ora qua ora là – personalissimi epiteti ai grandi maestri della settima arte, destinati a far discutere. Ma anche nei titoli scelti per dividere il volume: si va da Un democristiano nel salotto – dove si racconta la famosa cena di cui sopra – per poi passare a Il Truffaut dell’Italietta, La poesia democristiana, o Agli antipodi del fighettismo, all’interno del quale, ad esempio, l’autore scrive: “Glamour: ecco una parola che non si addice al cinema di Pupi Avati. Egli si colloca agli antipodi del fighettismo artistico e di quello sociale (…). Mentre il fighettismo idolatra i vincenti, Avati simpatizza per i candidi, per gli insicuri, per gli sfigati”.
“Pupi Avati è fuori dal cinema italiano per una ontologica estraneità agli schemi culturali che nell’ultimo mezzo secolo lo hanno dominato”, scrive ancora Perrotta nel primo capitolo: “non ha fede nella storia, non crede nel progresso, non lotta contro il potere, non gli interessano i temi sociali, non si batte per le nobili cause, non vuole denunciare nulla, non racconta la crisi dell’Occidente, non segue le mode, non ostenta citazioni, non è laico. Per la stessa ragione il cinema italiano ama poco Pupi Avati: lo tratta con condiscendenza, premia raramente i suoi film, fatica a riconoscergli lo status di autore con la a maiuscola. (…). Il cinema di Pupi Avati non va rivalutato o sdoganato: va letto con occhi vergini, con occhi postnovecenteschi, con gli occhi di domani”.
“Il cinema di Pupi è personalissimo, senza quella aggressività che altri autori cercano di imporre sulla materia narrata e sulla realtà con la loro cifra”, continua l’autore del libro in sala. “Anche nei riguardi del film horror, lui lo fa a tutti gli effetti, rispettandone i codici ma poi arricchendone il contesto con il suo sguardo. Anche in Salò, certo, c’è la sua firma, ma discreta: non c’è nulla che lui faccia, anche per la tv, che non rispetti quel che gli viene chiesto, e che però sia al tempo un film di Pupi Avati a tutti gli effetti, con tutte le sue cifre stilistiche, ma sempre con discrezione, con quel senso della misura che secondo me è quello che, se da un lato lo rende amabile, lo ha visto penalizzato da parte della critica. Ma il tempo secondo me dà ragione a lui”.
“L’argomento del film di genere, presente nel libro, è una preoccupazione che Pupi ha a livello di prospettiva”, precisa Steve Della Casa. “È molto attento anche a quello che avviene anche dal punto di vista commerciale nel cinema italiano, e alla sua capacità di trovare un pubblico. Praticare il cinema ‘di genere’ è stata una caratteristica del cinema italiano negli anni del suo massimo splendore. Diceva Giuliano Montaldo che se si potevano fare i film di Bertolucci e Pasolini era perché si facevano quelli di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che incassavano, pensate, quasi il 10% del totale nel cinema italiano, consentendo agli altri di sperimentare. E poi c’era un’osmosi tra cinema d’autore e di genere, che si confrontavano continuamente. Nell’horror che fa Pupi Avati, ad esempio, gli effetti speciali hanno un ruolo piccolissimo, il suo è un horror di atmosfera: la paura ti arriva da altre cose”.
A chiudere la pubblicazione, un’interessante ‘raccolta nella raccolta’ tratta da libri, riviste e/o quotidiani, intitolata Fior da Fiore, che a partire dal 1970 fino al 2024 riporta i punti di vista delle più note firme del grande schermo nei confronti del cinema di Pupi Avati: Miccichè, Farassino, Bignardi, Bertetto, Caprara (Valerio), Anselmi, Fofi, Morandini, Ferzetti (Fausto), Rondolino, Tornabuoni, Crespi, Sarno, Kezich, Nepoti, Brunetta, Mereghetti, Rondi, Mancuso, Salvagnini, Giusti, Zappoli e Siniscalchi.
Cinema
“Corto d’Amuri” dedicato a tutti i bambini e le donne
Life And Life e Vittoria Assicurazioni insieme contro la violenza di genere
Mercoledi 2 ottobre 2024, Giornata mondiale della non violenza, proiezione alle 10.30, in anteprima del cortometraggio – Sala Bianca, Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo
Verrà proiettato in anteprima assoluta, davanti a un pubblico selezionato di studenti e insegnanti, il cortometraggio: “Corto D’Amuri”, realizzato dall’organizzazione internazionale umanitaria LIFE and LIFE ETS. Partner dell’iniziativa Vittoria Assicurazioni, agenzia generale di Palermo, selezionata per il secondo anno per il progetto: “AssiCuriamo – Insieme 2024” promosso da Fondazione Specchio d’Italia e Fondazione Carlo Acutis.
Il lavoro realizzato dalle registe Silvia Miola e Giada Di Fonzo, ex allieve del corso di Documentario del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, racconta le violenze psicologiche, spesso invisibili, che subiscono bambini e donne all’interno delle mura domestiche. Non è un caso che sia stata scelta proprio la data del 2 ottobre per proiettare il lavoro filmico, Giornata mondiale della nonviolenza. Dopo l’esperienza maturata lo scorso anno sulla prevenzione delle malattie oncologiche, Life and Life e Vittoria Assicurazioni, hanno voluto realizzare un cortometraggio da destinare principalmente alle scuole, per lanciare un ulteriore messaggio di allarme al fine di aiutare i più deboli a rivolgersi ai centri per l’ascolto antiviolenza.
All’incontro saranno presenti, il vice sindaco e assessore alla Cultura Giampiero Cannella, le registe Silvia Miola e Giada Di Fonzo, il bambino protagonista del corto Mattia Libeccio, gli attori Stefania Blandeburgo e Ludovico Vitrano, che hanno partecipato a titolo gratuito con le loro voci fuori, la fumettista Eva Arato, il Presidente e la vice della Life And Life, Arif Houssein e Valentina Cicirello, gli agenti generali di Vittoria assicurazioni Antonello e Rossana Calia, e la delegata di produzione Laura Scalia.
Per info: Life And Life, via Serraglio Vecchio 28, Palermo. Tel. 091.2714100
Guada il corto
Il servizio di Tele One del 3 ottobre 2024
Qui la registrazione dell’evento
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