

Cinema
Il Signore delle Nevi, il documentario di Correale
Storia delle neviere in Sicilia
di Nello Correale
Venerdi, 11 novembre ore 16.00 Sala Bianca
Centro Sperimentale di Cinematografia – Palermo
Sarà il Direttore dell’Ufficio Speciale per il Cinema e l’Audiovisivo della Regione siciliana, Alessandro Rais, a introdurre la presentazione del film: “Il Signore delle Nevi, Storia delle neviere in Sicilia” di Nello Correale. L’incontro sarà una sorta di lezione aperta agli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia e a quanti vorranno conoscere la genesi e l’evoluzione di questo importante lavoro filmico. A incontrare gli studenti e il pubblico, con ingresso gratuito fino a esaurimento posti, l’autore e il regista Nello Correale, assieme a Vittoria Alliata, diretta discendente del Principe di Villafranca, Francesco e lo storico del cinema Sebastiano Gesù. Modera il direttore della sede Sicilia del Centro Sperimentale di Cinematografia, il giornalista Ivan Scinardo.
“Il film – sottolinea Correale – racconta una Sicilia inedita. La terra del sole, del mare, del sale e del grano, che ha prodotto il ghiaccio per tutto il Mediterraneo e ne ha mantenuto il monopolio del commercio per circa due secoli; è un omaggio a Francesco Alliata, principe di Villafranca, “l’ultimo signore delle nevi” e di molti altri luoghi di quella Sicilia alla quale ha dedicato l’impegno di una lunga e avventurosa esistenza, magistralmente narrata nelle sue memorie: Il Mediterraneo era il mio regno. Il film è un viaggio quasi sentimentale nel “cuore freddo” dell’isola”.
Il Signore delle Nevi è prodotto da Tipota Movie Company, in collaborazione con Panaria Film. “Realizzato nell’ambito del Programma Sensi Contemporanei Cinema”, con il contributo della Regione Siciliana, assessorato Turismo Sport e Spettacolo-Ufficio speciale per il Cinema e l’Audiovisivo, di Sensi Contemporanei, della Sicilia Film Commission, della Direzione generale per il cinema del Mibact, dell’Agenzia per la Coesione Territoriale.
Secondo il regista, «l’obiettivo del film è dare una nuova e più sistematica interpretazione antropologica alle fonti utilizzate per la ricostruzione dell’attività dei nevaioli siciliani. La narrazione avviene attraverso un racconto di immagini, suoni e parole dell’avvincente storia della neve e della sua lavorazione». Correale ricorda che la neve, per secoli, «è stata un bene prezioso non solo in campo alimentare, ma soprattutto in quello medico, per l’azione benefica che la “cura del freddo” aveva specialmente nei casi di emorragia e febbre alta. L’uomo cercò di godere di questo privilegio anche durante i mesi torridi, utilizzando ciò che la natura metteva a disposizione. Nella raccolta e nella conservazione della neve furono coinvolte numerose persone, alimentando una fiorente attività commerciale che, negli anni Cinquanta, lasciò il passo allo sviluppo tecnologico. Oggi sembra quasi una favola. Sono rimasti solo i luoghi dove veniva ammassata la neve. Eppure un tempo, durante le notti d’estate, lunghe file di muli scendevano dalle alte falde della “Montagna” con due grossi blocchi di neve con sulla groppa. Grazie all’uso dei carretti i blocchi venivano trasportati giù per il refrigerio della popolazione».
La storia
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La registrazione della conferenza avvenuta venerdi 11 novembre al Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo. Interventi di: Alessandro Rais, Vittoria Alliata, Nello Correrale. Modera Ivan Scinardo:
IL SIGNORE DELLA NEVE.
La storia delle neviere in Sicilia
di Nello Correale (c) siae
Sino al secolo scorso si commerciava la neve da Trapani a Tunisi su navi a vela e le neviere che rifornivano Palermo erano sui monti dietro Monreale ed una, della “Busambra”, presso Corleone. Dall’altipiano degli Iblei e dall’Etna, invece, la neve veniva inviata alle città sulla costa ionica e mediterranea, fino a raggiungere l’isola di Malta.
La Sicilia, la terra del sole, del mare , del sale e del grano ha prodotto il ghiaccio per tutto il Mediterraneo e ne ha mantenuto il monopolio del commercio per circa due secoli.
Attraversando i luoghi interessati ricostruiremo un percorso guidati dal principe Francesco Alliata di Villafranca ” l’ultimo signore della neve” ,oggi ultranovantenne, che dalle pendici del vulcano che domina il Mediterraneo ci condurrà a Buccheri, a Monterosso ,a Palermo, ai Nebrodi e racconteremo di coloro che hanno fatto della “coltivazione” della neve una attività che è resistita per secoli innestandosi nella cultura popolare siciliana.
Obiettivo di questo Film/documentario è dare una nuova e più sistematica interpretazione antropologica alle fonti utilizzate per la ricostruzione dell’attività dei nevaioli siciliani. Raccontare attraverso un racconto di immagini, suoni e parole la storia avvincente della neve e la sua lavorazione. L’uso del ghiaccio e le moderne strutture in cui oggi viene prodotto in uno scenario particolare come quello del Mediterraneo e soprattutto in Sicilia. Il film documentario sarà realizzato con il sostegno della Regione Sicilia, in formato full HD e avrà la durata di 52’ ed è stato già richiesto da molte televisioni sia italiane che straniere.
L’importanza attribuita nel passato alla neve e alle neviere è testimoniata, ancora oggi, dalla presenza nei centri abitati di numerose chiesette consacrate alla Madonna della Neve. Infatti era molto diffusa l’usanza, e non solo nel meridione, d’invocare la protezione divina sulle neviere.
Si guarda a quest’attività in una scala più ampia, quella del Mediterraneo, descrivendo la raccolta, la produzione e la conseguente costituzione delle Società per la vendita della neve, prendiamo in considerazione sia le diverse tipologie costruttive con cui sono state edificate le neviere siciliane che i materiali da costruzione impiegati e i diversi tipi di consumo del prodotto ricavato dalla lavorazione della neve. Una panoramica sulle forme di trasporto e di commercializzazione della neve, compiuti da abili mulattieri e carrettieri dopo, lungo le trazzere che portavano alla marina dove sorgeranno le prime botteghe del ghiaccio.
“La neve per secoli è stata un bene prezioso non solo in campo alimentare, ma soprattutto in quello medico per l’azione benefica che la “cura del freddo” aveva specialmente nei casi di emorragia e febbre alta. L’uomo dunque cercò di potere godere di questo privilegio, anche durante i mesi torridi, utilizzando ciò che la natura gli metteva a disposizione. Per secoli, dunque, la raccolta e la conservazione della neve coinvolsero un gran numero di persone alimentando una fiorente attività commerciale, che negli anni ’50 del ‘900 lasciò il passo allo sviluppo tecnologico. Oggi sembra quasi una favola, nessuno si occupa di questo commercio; sono rimasti solo i luoghi dove veniva ammassata la neve. Eppure un tempo, durante i mesi estivi di notte, lunghe file di muli scendevano dalle alte falde della “Montagna”, provenienti proprio dalle zone della tacche, con sulla groppa due grossi blocchi di neve che poi per mezzo di carretti venivano trasportati giù per il refrigerio della popolazioni. La “campagna” di raccolta della neve offriva non poco lavoro agli abitanti delle pendici dell’Etna. L’impiego di uomini, animali e mezzi era alquanto consistente: un migliaio circa di persone avevano la possibilità di lavorare e altrettanti animali venivano utilizzati per il trasporto.
Oggi inghiottite dal paesaggio montano, le neviere, esaurita la loro funzione, sembrano rientrate nel grembo della terra per testimoniare con voce sommessa un’antica arte e un’attiva industria, ma soprattutto un uso intelligente ed accorto delle risorse naturali.
Chiare testimonianze di archeologia industriale, spesso celate agli occhi dal rialzamento dei terreni, o sottoposte a mutamenti funzionali, queste strutture hanno portato alla realizzazione sul territorio di spazi che hanno connotato un modus vivendi, e definito mode e modi di vita. “
Coltivare la neve , questo era l’attività dei nevaioli che cercheremo di far vivere attraverso ricostruzioni storiche e fotografiche. Una attività molto diffusa fino all’avvento della produzione industriale del” freddo”
Due erano i metodi di raccolta della neve: o veniva raccolta in mucchi e caricata su delle barelle, oppure sì faceva una palla (bbadda) attorno ad un bastone che fungeva da perno, la si caricava sulle spalle fino alla bocca della neviera attraverso cui si precipitava dentro.
Quest’ultimo è il sistema più antico, poiché da sempre la paga era commisurata al numero di palle portato alla neviera da ciascun operaio. Quattro uomini, calatisi all’interno della neviera e chiamati pisaturi (battitori, calpestatori) avevano il compito di calpestare in continuazione la neve, pressandola e ricoprendo lo strato con paglia. La neve veniva in questo modo assularata. Ogni sulata, cioè ogni strato, misurava in spessore (quando era compatto) da 20 a 30 cm e determinava la grandezza della neviera: così la ‘Grotta Grande”, la più grande neviera del comune, conteneva 365 strati, uno per ogni giorno dell’anno (come ripetevano gli stessi operai)
Ma ai fini della vendita si misurava a carichi venduti “a bocca di nivera“, cioè appena uscita dalla porta e pesata sul posto. Ogni carico equivaleva a due palle e, poiché ogni palla pesava intorno da 50 a 60 kg, un carico oscillava da 100 a 120 kg.
La neve era compressa da esperti pestatori, pisaturi, che calzavano le scarpe di pelo (zampitti), le cui stringhe attorcigliavano alle caviglie, che a loro volta erano fasciate con pelli di capra. Appena la neve compressa raggiungeva su tutta la superficie lo spessore desiderato (da 20 a 30 cm) si spargeva su tale superficie uno strato (na sulata) di paglia, che separava questo dal suolo successivo, così da favorire il distacco nel periodo della tagliatura. Altra paglia separava la neve dalle pareti laterali. Ogni suolo era formato da un certo numero di carichi: il numero variava in base alla larghezza della neviera. Quando la neviera era al colmo, cessava il lavoro dei “pisaturi“, che provvedevano a collocare gli ultimi strati di paglia sulla superficie e sui lati della fossa. Il loro controllo continuava nel periodo estivo, quando dovevano verificare il “calo” della neve e il grado di distacco dalle pareti.
Per il taglio della neve venivano impiegati operai specializzati. Questi, scesi nella neviera, incidevano il ghiaccio col piccone fino a raggiungere lo strato di paglia; poi con una paletta staccavano il blocco che ne veniva fuori. Il blocco veniva infilato in un sacco di lona, riempito di paglia e tirato fuori per essere pesato: l’abilità del tagliatore stava nel tagliare i blocchi del peso di 60 kg, peso di una palla, poiché due di queste formavano un carico.
Anticamente le neve si trasportava a basto di mulo, portando ogni mulo un carico, cioè due blocchi. Successivamente con l’introduzione dei carretti si ricorse a questi mezzi di trasporto .
Ogni carro portava cinque carichi. Un carro di 5 carichi veniva pagato a Lentini 100 lire nel 1940, di cui 50 per il trasporto e 50 per il prezzo della neve. Come detto ogni neviera aveva un suo preciso territorio da cui raccogliere neve. Questo se i terreni erano privati.
Tra il 1500 e il 1900, dalle Madonie ai Nebrodi, dai monti Peloritani all’Etna per passare infine all’Altopiano degli Iblei crebbe una realtà legata al lavoro della raccolta della neve, che ha dato forma a una serie di costumi e usanze.
Per quanto conosciute e scarsamente valorizzate, le neviere siciliane rappresentano una traccia indelebile del territorio regionale. Abbandonate, alcune semi-distrutte, altre riadattate per diversi scopi, i nevai ancora esistenti nell’area iblea presentano una forma semplice e la loro struttura cristallina ne fa uno dei capolavori dell’architettura minore siciliana.
Ciò dimostra l’importanza che ha avuto il fenomeno dell’espansione dell’industria legata al commercio della neve. Le popolazioni che ebbero a che fare con il suo utilizzo acquisirono una maggiore consapevolezza della possibilità di investire parte del loro capitale umano e finanziario per la crescita dell’attività di raccolta.
Cinema
La Cineteca Nazionale va a scuola

Al via la seconda edizione de “La Cineteca Nazionale va a scuola”, iniziativa che coinvolge 18 scuole e 90 classi
Il 21 novembre è partita, a Roma, la seconda edizione del progetto educativo a cura del CSC – Cineteca Nazionale “La Cineteca Nazionale va a scuola”. L’iniziativa, che coinvolgerà 18 scuole e 90 classi e proseguirà fino a maggio 2024, sarà articolata in quattro fasi: prevederà la consegna di un quaderno didattico di approfondimento messo a disposizione dalla Cineteca Nazionale (con testi e materiali interdisciplinari di approfondimento, pensato per essere utilizzato dalle/dai docenti come formazione e studio, ma anche come materiale didattico, da utilizzare con le classi), la proiezione di film – legati alla memoria audiovisiva italiana del Novecento – in una sala cinematografica con introduzione e incontro finale, una lezione in classe condotta da referenti esperti della Cineteca Nazionale e un contest finale per le classi al quale gli studenti potranno partecipare in forma libera con disegni o altri elaborati creativi.
A maggio saranno annunciati i premi del Contest 2024 che consisteranno in ingressi gratuiti nei due cinema aderenti all’iniziativa (Cinema Farnese Arthouse e Nuovo Cinema Aquila) o libri di argomento cinematografico.
Al suo secondo anno, il progetto prosegue il percorso legato alla storia del Novecento: “La Storia e le storie del cinema italiano”, con particolare riguardo al cinema delle origini e alle pioniere del cinema, alla condizione femminile, al fascismo, al nazismo e alla Shoah, alla Resistenza e all’emigrazione, cercando di “aprire” il discorso sui film in maniera interdisciplinare, coinvolgendo l’ambito storico, letterario, sociale e artistico. Inoltre, il progetto propone quest’anno un nuovo percorso: “Cinema secondo Natura” dedicato a tematiche quanto mai attuali come quella dell’emergenza climatica e del rapporto dell’essere umano con la natura, affrontate attraverso il cinema di animazione e alcuni “silent films”, film senza parole. Un percorso fruibile anche dalle prime classi della scuola primaria. Il primo film in programma è Il cammino della speranza di Pietro Germi, restauro a cura di Cineteca Nazionale in collaborazione con Cristaldi Film e presentato per i 70 anni del film al Festival di Cannes 2021.
I film saranno proiettati al Cinema Farnese Arthouse e al Nuovo Cinema Aquila; le introduzioni dei film in sala sono a cura di Maria Coletti (referente del reparto Relazioni Esterne del CSC – Cineteca Nazionale) con la collaborazione del critico Silvio Grasselli.
Il CSC – Cineteca Nazionale è il maggiore archivio cinematografico in Italia e tra i più importanti nel mondo e, insieme al CSC – Scuola Nazionale di Cinema, costituisce uno dei due settori principali della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia. Tra le sue attività primarie ci sono la preservazione e la valorizzazione del patrimonio cinematografico nazionale: da un lato il lavoro di restauro e di digitalizzazione delle opere che necessitano di un intervento per essere salvate e rese accessibili, dall’altro la volontà dell’incontro con le nuove generazioni per educare il giovane pubblico alla storia del cinema e alla cultura audiovisiva, anche tramite le nuove tecnologie. Il progetto vuole quindi valorizzare il patrimonio cinematografico italiano conservato dal CSC – Cineteca Nazionale, per fargli vivere una seconda e stimolante vita attraverso il rapporto interdisciplinare con le materie e gli ambiti didattici affrontati nelle scuole di ogni ordine e grado, dalla primaria alla secondaria.
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IL CALENDARIO DELLE PROI EZIONI DEI FILM E LE DATE DA RICORDARE
NOVEMBRE – proiezione IL CAMMINO DELLA SPERANZA (Giornata d’azione globale contro il razzismo e per i diritti delle persone migranti, rifugiate, sfollate – 18 dicembre)
GENNAIO – proiezione LA TREGUA (Giorno della memoria – 27 gennaio)
FEBBRAIO – proiezione E’ PICCERELLA (Nascita Elvira Notari – 10 febbraio; Giornata internazionale della donna – 8 marzo)
MARZO – proiezione ROMA CITTA’ APERTA (Fosse Ardeatine – 24 marzo; Festa della Liberazione 25 aprile)
APRILE – proiezione CINEMA SECONDO NATURA (Giornata mondiale della terra – 22 aprile)

Martedi 31 ottobre 2023, Radio in, ospite del programma che conduco da 3 anni con Eliana Chiavetta, Open Day Cinema, il noto attore e regista Giulio Base, ha mostrato il mio libro: #cinemagiornalismo.
Giulio sta scrivendo il suo nuovo film, dopo À la Recherche, che andrà in sala il prossimo 2 novembre. Per me è stata una gioia immensa, inaspettata, sapere, da un autore così affermato, che il mio libro è per lui un utile e prezioso strumento di spunti e riflessioni sul rapporto tra Cinema e Giornalismo, per il suo prossimo film su un reporter di guerra, mi riempie d’orgoglio e mi spinge a continuare questa esaltante ricerca. Ecco il frammento dell’intervista
Cinema
C’è ancora domani, il film della Cortellesi

La speranza di un futuro migliore
Scelto come film d’apertura della Festa del Cinema di Roma, l’esordio alla regia di Paola Cortellesi è nei cinema dal 26 ottobre
Una famiglia come tante, nella Roma popolare del dopoguerra, fiaccata da una miseria che sembra senza via di uscita, ancora avvelenata dal conflitto e dalle divisioni che ha provocato nella società: è questo il “campo d’azione” voluto da Paola Cortellesi per il suo esordio alla regia, “C’è ancora domani“, scelto come apertura della Festa del Cinema di Roma 2023 e da giovedì 26 ottobre nelle sale.
Una moglie sottomessa al marito violento è il ruolo che Cortellesi riserva per sé (Valerio Mastandrea è il coniuge, ritratto in modo troppo monodimensionale per convincere), divisa tra la quotidianità in cui ogni lira è preziosa e l’umiliazione è costante, il tentativo di evitare le ire maritali, l’educazione di tre figli e i sogni di un futuro migliore. Tutto ciò, alla vigilia delle prime elezioni libere apertae anche alle donne, nel 1946.
Una regista al primo film ma con idee sicure di messa in scena: il bianco e nero è quella più evidente, per creare un collegamento con il Neorealismo coevo del periodo raccontato (ma l’effetto è finto, straniante).
Cortellesi percorre un confine labile, quello tra commedia e dramma, tra parodia e sperimentazione: osa – sempre meritevole, per un’opera prima – soprattutto sotto l’aspetto musicale, con momenti quasi musical che puntano a esorcizzare (o enfatizzare?) le violenze e una colonna sonora che sa piacevolmente spiazzare (da Jon Spencer Blues Explosion ad “aprire” – in tutti i sensi – il film in poi).
Se le scelte di cast “minore” funzionano (la vergogna umile di Romana Maggiora Vergano, l’ingenuo ottimismo di Emanuela Fanelli, la perfidia ironica di Giorgio Colangeli), alcune svolte narrative paiono estreme e scelte più per il loro essere funzionali alla trama che per la loro credibilità.
Una scelta coraggiosa quella di esordire alla regia dopo una carriera di successo con un film come questo, in cui nulla è semplice e nessuna scelta indolore: la riuscita è parziale (ne risente anche l’efficacia dell’interpretazione di Cortellesi) ma il percorso tracciato resta interessante. (Fonte: https://www.cinemaitaliano.info/news/76153/c-e–ancora-domani-la-speranza-di-un-futuro.html)
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