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Turismo (D.Ferrante)

“Che bel lavoro che fai… sei sempre in vacanza.

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Alzi la mano chi non ha sentito questa frase un centinaio di volte (almeno) nel corso della propria vita.

Ma oggi, diciamocelo, pensare di fare l’operatore turistico è da perfetti coglioni (perdonate il francesismo). L’emergenza coronavirus – dopo la solidarietà dei primi giorni – sta scatenando la solita guerra dei poveri tra operatori ed albergatori in tema di cancellazioni. Con gli operatori turistici che, privi della forza di unione e di una decente rappresentanza di categoria, si trovano nel mezzo di due posizioni opposte.

Le richieste dei tour operators

Da un lato, devono fronteggiare le richieste dei tour operator stranieri che si appellano alla solidarietà e invocano la massima flessibilità, in un mondo del turismo che cambierà inevitabilmente e dove andranno avanti solo quelle partnership che si sono tenute per mano durante la crisi. Operatori che – in maniera esplicita – comunicano la decisione di tagliare fuori per sempre tutte quelle strutture ricettive arroccate nelle loro posizione rigide e poco collaborative nel momento del bisogno.

Gli albergatori

Dall’altra, devono intermediare con gli albergatori italiani che – in maniera compatta – hanno deciso di interpretare a senso unico il decreto. Un decreto che – ricordiamo – in caso di cancellazione delle prenotazioni – concederebbe ai titolari di strutture ricettive la facoltà di rimborsare oppure emettere un voucher al cliente. Rimborso che, nella quasi totalità dei casi, oggi gli albergatori non prendono neanche in considerazione (optando per il voucher) perché così istruiti dalle loro associazioni d categoria. Una scelta che non sarebbe sindacabile nè dalle agenzie nè dalle OTA (Online Travel Agency).

Rimborsare

Ma che, come sappiamo, accentua ancora una volta il rapporto di forza tra l’intermediazione tradizionale e quella virtuale. Grande rigidità da parte degli albergatori nei riguardi dei tour operator incoming italiani (parlo, almeno, per molti della mia regione… la Sicilia) e sottomissione totale nei riguardi delle OTA, che se ne fregano dell’interpretazione dei decreti o dei voucher e impongono la loro decisione, non sindacabile, di cancellare senza penale e rimborsare interamente!

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Il passaporto vaccinale e la ripartenza del turismo

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UN ANNO SENZA TURISMO : ONORIAMO LA SCOMPARSA, ATTENDIAMO LA RINASCITA.

Un anno. Un lunghissimo anno. Qualche mese in più di una gravidanza. Ma che, al contrario di una nascita, ha generato una fine. La fine di molte nostre certezze. O di parte di esse.

Nuove parole sono entrate nel nostro lessico quotidiano (lockdown, pandemia, distanziamento sociale, smartwork, Dad, infodemia, droplets, contact tracing, zone colorate, webinar, zoom, negazionisti, virologi, tuttologi, saturimetro, vaccino). Era l’11 Marzo, quando l’OMS dichiarò la Pandemia globale. E da quel giorno, quella parola che avevamo conosciuto solo sulle catastrofiche e distopiche serie TV, ha iniziato a far parte delle nostre vite.

Sono bastati pochi mesi per mettere in ginocchio l’economia mondiale e affossare le nostre certezze. E il turismo, malato più di ogni altro settore produttivo, è crollato. L’anno peggiore della storia del turismo, lo ha definito l’Organizzazione Mondiale del Turismo che in uno dei suoi ultimi report  ha quantificato in -74% gli arrivi internazionali e 1.300 miliardi di dollari la perdita nel 2020. Oltre 1 miliardo di arrivi in meno, rispetto al 2019, causati dalla crollo della domanda e dalle restrizioni mondiali. E, cosa che non fa dormire sonni tranquilli a chi di turismo vive, oltre 100 milioni di posti di lavoro a rischio.

I numeri in Italia

Solo in Italia, la perdita sarebbe di 57 milioni di turisti, 71 miliardi di euro e qualche punto di Pil nazionale. Non è passato giorno senza che il Governo nazionale e regionale sottolineassero quanto l’industria turistica fosse la più colpita, quanto il turismo contribuisse alla ricchezza del paese e come andasse supportato il settore con ogni sorta di aiuto. Utilizzando la potenza di fuoco e ogni mezzo consentito.

 

Un anno di parole. Parole che hanno tenuto con il fiato sospeso milioni di persone, in attesa di una scialuppa di salvataggio che non è mai arrivata o che si è rivelata troppo piccola per contenere tutti gli occupanti.

Un annus horribilis, che ha generato una dolorosa perdita e che avuto 4 stagioni: una primavera di sorpresa, un’estate di speranza, un autunno di attesa e un inverno di abbandono.

Ma in tutte le fasi, i protagonisti (nel bene e nel male) sono stati i resilienti addetti ai lavori. Dapprima gestendo la difficile fase di rientro dei connazionali, poi quello dei rimborsi e dei voucher. Il tutto, non curandosi della consapevolezza – che si è fatta sempre più certezza – che sarebbero serviti almeno due anni, prima di potere rivedere uno spiraglio di luce. La resilienza, caratteristica necessaria di chi ha la responsabilità di gestire il tempo libero delle persone.

Le previsioni sanitarie poco chiare e il blocco negli spostamenti hanno causato il blocco totale delle prenotazioni. Ed il crollo del traffico aereo, con la conseguente tempistica necessaria per la ripartenza, unita alle restrizioni in vigore, ne hanno allungato i tempi.

Oggi, la speranza per la ripartenza turistica risiede nel vaccino, nella ripresa dei voli e nella forza di reazione del genere umano. I lunghi mesi di limbo hanno causato un crollo emotivo, oltre che economico. E probabilmente, la voglia di ripartire – quando le condizioni lo permetteranno e quando sarà possibile garantire la massima sicurezza– sarà tanta.

Una stagione da archiviare (e provare a dimenticare), in vista di un futuro che la possa cancellare come fosse solo un brutto ricordo.

Per il turismo, il futuro è ancora a tinte fosche. Ma rimanere fermi non è una opzione. Si ripartirà, facendo tesoro di quanto accaduto e provando a disegnare il turismo del domani. Un turismo che abbia a cuore temi come la sostenibilità, il benessere delle popolazioni locali, l’impatto per il pianeta, l’accessibilità e la capacità di trasformazione.

E ci piacerebbe pensare che la rinascita del nostro paese, ancora duramente colpito dalla Pandemia, passi dal turismo e dall’industria dei viaggi.

IL PASSAPORTO SANITARIO

L’unica speranza, oggi, risiederebbe quindi nel vaccino che potrebbe porre fine alle sofferenze. La libertà di scelta individuale, le questioni etiche e la tempistica di somministrazione potrebbe però pregiudicare (o ritardare) la fine dell’epidemia. Ragione per la quale, molte compagnie aeree e catene alberghiere – per cercare di fare ripartire i viaggi – vorrebbero richiedere la garanzia del vaccino ai viaggiatori. Questo, tramite l’istituzione di un passaporto sanitario.

I passaporti sanitari rappresenterebbero lo strumento essenziale per ripristinare la fiducia tra i viaggiatori e fare ripartire l’industria dei viaggi. Uno strumento che, con tutta probabilità, farebbe  parte delle nostre vite ben oltre la fine della pandemia COVID-19. In pratica, un documento digitale – contenente lo stato sanitario di un soggetto, con particolare attenzione al tampone anti-Covid e alla vaccinazione contro il Coronavirus- che attesterebbe l’avvenuta immunizzazione e permetterebbe di spostarsi in altri Paesi senza obbligo di test o quarantena.

Un requisito medico che è stato accolto come necessario dal Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen , ma che ancora pochissimi paesi al mondo hanno riconosciuto. Tra questi, l’Islanda (a cui seguirà a breve la Svezia e la Norvegia), primo paese Europeo che ha fornito certificati di vaccinazione ai propri cittadini e che riconoscerà eventuali certificati simili emessi da qualsiasi altro paese dell’UE o dell’area Schengen. Un’idea, quello di permettere l’accesso ai vaccinati, che non è nuova nel turismo e che non riguarda solo il Covid. Basti pensare a tutti quei paesi che obbligano al vaccino contro la febbre gialla coloro i quali provengono da alcuni paesi africani o sudamericani, dove la malattia è endemica.

Sono tanti i progetti e le compagnie aeree che stanno spingendo per la sua sperimentazione e realizzazione. Dal passaporto Verifly  di British Airways ed American Airlines, allo IATA Travel Pass (che interessa circa 40 compagnie aeree) e ancora dal Common Pass (appoggiato dalla Lufthasa, Swiss, United e Cathay Pacific) al Digital Health Pass  di IBM. Alcuni progetti sono già partiti e sono in piena sperimentazione, altri procedono a ritmo più lento. Meccanismi diversi, ma un obiettivo comune: ripristinare la fiducia e la sicurezza nel mondo dei viaggi.

Poiché la privacy dei passeggeri e la protezione dei dati condivisi è uno dei terreni di scontro, sembra che i passeggeri potranno scegliere di condividere, o meno, i propri dati con i governi o limitarsi a consentire di farlo solo con le compagnie aeree, che ne verificheranno i requisiti e consentiranno l’imbarco.

Per le compagnie aeree e gli operatori del turismo – che spingono per la sua applicabilità- potrebbe essere la svolta. Sia perché favorirebbe la possibile ripartenza, sia perché velocizzerebbe i controlli e gli imbarchi. Il passaporto sanitario si scaricherebbe gratuitamente sul proprio smartphone  ed attiverebbe inserendo i propri dati. Una APP aggiornata costantemente, con le comunicazioni in tempo reale provenienti dalle cliniche o centri convenzionati in cui si effettueranno i tamponi. E quindi, un’alternativa ai test effettuati negli aeroporti.

Alcune destinazioni turistiche, grazie al certificato vaccinale digitale, hanno già eliminato la quarantena obbligatoria ed ogni tipo di restrizione a quei turisti in grado di provare l’avvenuta vaccinazione. Ma sono tanti i paesi, soprattutto quelli a vocazione turistica, che spingono nella stessa direzione.

La prova dell’avvenuta vaccinazione potrebbe essere quindi il Golden Ticket per la ripartenza del turismo e del mondo dei viaggi. Ma il turismo non può attendere la vaccinazione, che – come ricordato dal segretario generale della UNWTO,  Zurab Pololikashvili  “deve rientrare in una strategia generale di misure essenziali alla ripartenza del mondo dei viaggi, armonizzando e coordinando i test, il tracciamento e i certificati di vaccinazione. Uno sforzo necessario per preparare la ripartenza del turismo”.  

“Anche se molto è stato fatto per rendere possibili viaggi internazionali sicuri, siamo consapevoli che la crisi è lungi dall’essere finita” (Zurab Pololikashvili UNWTO)

Una situazione drammatica che è “far from over” (lungi dall’essere finita) ma che grazie ai vaccini e all’allentamento delle restrizioni, potrebbe mutare e contribuire alla ripartenza del turismo, riportandolo ai numeri del passato. Cosa che, nella migliore delle ipotesi, non potrà però avvenire prima del 2023-2024.

 

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Il turismo si arrende al Covid. Federalberghi Palermo

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Federalberghi: “Chiudiamo e diamo chiavi al Comune”

Nicola Farruggio

Un momento molto triste che porta a richiudere la maggioranza delle nostre strutture alberghiere associate”. Il presidente di Federalberghi Palermo, Nicola Farruggio, non nasconde l’amarezza per le restrizioni imposte dagli ultimi Dpcm e che hanno indotto il comparto ricettivo cittadino a prendere questa sofferta ma inevitabile decisione.

“Non si sono purtroppo concretizzate le condizioni per sostenere l’operatività delle strutture. Le ultime cancellazioni e la quasi totale assenza di prenotazioni rendono inevitabili di fatto queste scelte – continua Farruggio – il Governo nazionale ma anche le istituzioni regionali e locali non hanno in alcun modo valutato adeguatamente la crisi in cui è sprofondato il nostro settore sin dal mese di febbraio, e la parentesi relativa a poco più di qualche settimana estiva, ha rappresentato il nulla rispetto a un calo complessivo del 80% dei fatturati. Insignificanti e spesso mortificanti le misure che abbiamo dovuto condividere in modo generalizzato con altri settori e i vari appelli che abbiamo più volte rivolto sono stati raramente presi in considerazione. Abbiamo cercato, in ogni modo, di sostenere e incentivare la domanda verso la nostra destinazione anche con offerte importanti”.

Fonte: https://www.palermotoday.it/economia/coronavirus-turismo-federalberghi-chiusura-hotel.html

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Tax Free Shopping – La grande opportunità

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TAX FREE SHOPPING – UNA GRANDE OPPORTUNITA’ PER FARE RIPARTIRE IL TURISMO E CREARE UNA NUOVA STAGIONE TURISTICA

Avete presente quella lunga fila di turisti asiatici o americani che – ahimè, prima del Covid-19 – affollavano i desk “TAX REFUND” prima degli imbarchi aeroportuali? Vi siete chiesti cosa fosse mai quella dicitura “Tax Refund” e cosa esattamente stessero facendo quei viaggiatori sorridenti, in fila ordinata?

Il Tax Free Shopping

Si tratta del cosiddetto “Tax Free Shopping”. In pratica, la possibilità di avere rimborsata l’Iva locale durante il soggiorno all’estero. Una misura applicata da circa 50 paesi su 130 (quelli dove vige l’imposizione IVA) e che costituisce per alcuni viaggiatori (es. quelli cinesi) il primo servizio sfruttato quando si viaggia all’estero. Oltre che motivazione principale del proprio viaggio. Parliamo (ma sono stime decisamente conservative) di circa 50 miliardi di euro in Europa. E che vede l’Italia, con circa 8 miliardi, tra le prime destinazioni.

Come funziona?

Sappiamo tutti che una delle componenti importanti di ogni viaggio all’estero riguarda lo shopping. Anzi, per una buona parte dei viaggiatori, costituisce la principale. Immaginiamo un turista americano, cinese o giapponese in giro per fare acquisti in Via Montenapoleone a Milano, Via Condotti a Roma o Via Ruggero Settimo a Palermo. Dopo avere acquistato una borsa, un gioiello o un abito, il visitatore si avvia alla cassa per il pagamento. In quel momento, il negoziante (verificata la nazionalità “extra-europea” del cliente) potrà detassare immediatamente l’IVA (scontandola, cioè, in seduta stante) o emettere una fattura digitale per acquisti superiori a 154,95 euro con i dettagli dell’acquisto e l’importo pagato. Documento che consentirà poi al turista, presentandolo in uno dei tantissimi Tax Refund, di ottenere il rimborso IVA pagato. Il tutto, a condizione che il bene acquistato sia trasportato nel bagaglio personale al di fuori della Comunità Europea (così che l’IVA non debba applicarsi, poiché il bene verrà “consumato” fuori dalla UE).

Ecco un esempio

Facciamo un esempio pratico. Mr Jackie Chan acquista un orologio di 1.000 euro e gli viene consegnata la fattura ed un modulo di Tax Refund, da dove si evince l’importo pagato (1.000 euro) e l’incidenza dell’IVA (circa 180 euro). Avrà quindi pagato l’importo intero, inclusivo di IVA (€ 1,000).  Quando starà per lasciare il paese, Mr Chan presenterà il modulo ad un operatore di sportello Tax Free Refund per il timbro a convalida della esportazione dei beni o potrà inviare il modulo da casa, per avere diritto al rimborso. Semplicissimo.

La misura, emanata dai Governi per potere incoraggiare gli acquisti, permette quindi di avere rimborsata l’IVA sugli acquisti effettuati in viaggio. Un incentivo, quindi, per lo sviluppo del commercio e per potere attrarre turisti internazionali. Praticamente, un acquisto esentasse.

Per richiedere il rimborso

Andiamo oltre. Per potere richiedere il rimborso, il negoziante si rivolge quasi sempre ad alcune agenzie (Tax Refund agencies) che si occupano di rimborsare l’IVA. Si tratta di agenzie intermediarie che garantiscono la regolarità delle procedure, a fronte di una commissione che – a seconda dell’ammontare della transazione e del merchant – arrivano a superare il 30%. Una percentuale altissima sull’importo IVA che spetterebbe interamente al viaggiatore, ma che – in virtù della posizione dominante di un paio di intermediari– rimane alle agenzie. E, in parte, redistribuita (sotto varie forme) ai negozianti.

Simulazione

Ricapitolando. Il turista “extra-europeo” entra in un negozio, effettua il suo acquisto e, spendendo oltre 155 euro, si vede emettere automaticamente un modulo/fattura Tax Free. Ma, anziché richiedere una fattura direttamente dal punto vendita ed avere diritto al rimborso totale dell’IVA, cede il suo credito (firmando il modulo) ad una società intermediaria che ne trattiene buona parte.

L’italia diventerebbe il paese più conveniente

Si riesce ad immaginare cosa si potrebbe fare, anche solo recuperando una parte di questo 30% (stabilendo un tetto massimo, ad esempio, del 5% per le società di intermediazione) e destinandolo ad aumentare il rimborso ai turisti o alla promozione turistica del nostro paese nel mondo? L’Italia diventerebbe il paese più conveniente al mondo dove fare Shopping Tax Free, oltre che il più attrattivo. E tutto a costo zero per lo Stato.

Un grande spreco di risorse che, regolamentandolo e distribuendolo in modo equo, permetterebbe comunque di fare vivere più che dignitosamente le agenzie di intermediazione, i negozianti e tanti altri attori della filiera (che ne godrebbero per l’indotto generato). Parliamo di circa 1,5 miliardo di euro di IVA all’anno a cui lo Stato rinuncia e che potrebbe (senza gravare in alcun modo sui conti pubblici e sulle tasche degli italiani) destinare alla incentivazione dello Shopping Tourism o alla promozione del turismo.

PURCHASED IN ITALY

L’Italia è oggi il terzo mercato al mondo per acquisti Tax Free. Si badi bene, non si tratta necessariamente di acquisti di solo  “Made in Italy” ma di “Purchased in Italy” “(“acquistati in Italia”). Oggi, non serve infatti venire in Italia per trovare prodotti Made in Italy.  Si viene, invece, per acquistare nel nostro paese. E se già una grandissima parte di viaggiatori e turisti usano il “Tax Free”, come motivazione di scelta della destinazione turistica, cosa accadrebbe se tale scelta fosse avvalorata dalla notevole convenienza economica, rispetto ad altre destinazioni?

Una risorsa, quella dei turisti extra europei, inestimabile ed incommensurabile, con grandi prospettive di crescita. E che permetterebbe finalmente di estendere a dismisura la breve stagione turistica delle nostre regioni. Una normativa che il Governo Italiano, con un provvedimento di riforma del Ministero delle Finanze, potrebbe trasformare in grande opportunità. Servirebbe modificare la regolamentazione sui rimborsi Tax Free Shopping, obbligando gli intermediari ad aumentare per legge i rimborsi effettivi rispetto all’Iva dovuta. E versare buona parte di queste risorse (parliamo di circa 450 milioni di euro l’anno) per fare diventare l’Italia il paese più conveniente ed attrattivo al Mondo dove andare a fare Tax Free shopping.

Una revisione, quella del tax free shopping, che porterebbe tanti vantaggi ed un brand – quello del Purchased in Italy – che potrebbe diventare un marchio di fabbrica ed un potente strumento di marketing territoriale.

Oggi, Il tax refund genera infatti un margine solamente per gli operatori estranei alla filiera turistica. Ma, si tratta di un fenomeno economico molto importante per il nostro paese, che cresce ogni anno a doppia cifra grazie allo shopping effettuato dai turisti in tutte le città italiane. E sul quale il turismo potrebbe avere grandi giovamenti. Sia in termini di stagionalità (essendo un attrattore in grado di veicolare interessi 12 mesi l’anno), sia in termini economici (a maggior ragione incentivando la filiera turistica). Secondo i dati di “Global Blue” (società leader per i rimborsi del tax free), gli scontrini medi dei turisti provenienti da paesi extra-UE sarebbero di circa € 985 (addirittura € 1.152 a Palermo, normalmente non percepita come tradizionale meta shopping).

Un interessante novità è rappresentata oggi da una piattaforma digitale, STAMP, che – grazie ad un semplicissimo software installato nei negozi- permette di detrarre l’intera IVA al momento del pagamento, bypassando l’intermediazione di quelle agenzie che oggi riducono sensibilmente quel 22% di IVA, rendendo meno interessante gli acquisti. Un sistema che faciliterebbe quel 65% di potenziali acquisti tax-free che oggi non usufruiscono delle agevolazioni per via della relativa complessità delle procedure.

Una revisione del Tax Free Shopping non costerebbe nulla allo Stato, trattandosi di IVA cui ha già rinunciato, ma renderebbe il nostro paese il più conveniente al mondo dove fare acquisti. Permetterebbe di intercettare lo shopping tourism, ancora oggi sottovalutato nonostante l’UNWTO (Organizzazione mondiale del turismo) lo ritenga una componente essenziale della catena turistica. Oltre che fattore determinante per la scelta di una destinazione. Un tipo di turista, lo shopping  tourist, che oltre ad avere buona propensione di spesa, appare maggiormente aperto a vivere il territorio. E un obiettivo che la Sicilia, regione nella quale il Tax Free Shopping è cresciuto nel 2019 di oltre il 53% (rispetto all’anno precedente), non può assolutamente permettersi di sottovalutare, ma che dovrebbe invece incentivare e rendere prioritario.

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