

Teatro
La Duchessa del bal Tabarin incanta Palermo.
Una produzione tutta siciliana fortemente voluta dal patron del teatro “Al Massimo” Aldo Morgante.
E’ una compagnia stabile sotto tutti i punti di vista, quasi interamente siciliana; a tenerli armonicamente insieme e con una energia contagiosa, il patron del Teatro “Al Massimo” Aldo Morgante che ha inaugurato il ciclo di spettacoli, con una delle produzioni più impegnative e complesse, anche da un punto di vista economico. Si apre il sipario per la stagione 2015/2016 e va in scena l’operetta: “La Duchessa del Bal Tabarin” di Leon Bard, pseudonimo di Carlo Lombardo dei Baroni, che fu raffinato compositore, librettista ed editore. Rappresentato per la prima volta il primo aprile del 1916, al teatro Reinach di Parma, questo importante lavoro in tre atti è stato ricomposto e adattato anche in chiave moderna dal regista Umberto Scida, sotto la supervisione artistica proprio di Aldo Morgante. E’ un tripudio di colori a volte pastello, a volte sgargianti e luccicanti; un cambio di abiti continuo, 170 per l’esattezza, per un corpo di ballo di grande profilo, guidato da Stefania Cotroneo, che in sole due settimane ha creato ben 26 coreografie, cucite su misura a dieci bravissime danzatrici e al primo ballerino Francesco Piazza, palermitano anche lui. Oltre 40 elementi che si muovono in scena con ruoli diversi e un’orchestra di dieci maestri dei conservatori di Catania e Palermo, sotto la guida sapiente del Direttore Orlando Pulin, lo stesso che ha musicato La vedova allegra, Il Paese dei campanelli e non solo. Scida è un grande istrione, attore straordinario e di talento con una partner bellissima, molto professionale, tutta sciantosa, Elena D’Angelo nei panni di Frou Frou. Per lei la sarta Angela Compagno, nei fascinosi sotterranei del teatro, ha cucito meravigliosi abiti di scena. Sciantosa e luccicante di pailletes, Elena D’Angelo, diplomata in canto lirico e laureata in lettere moderne all’Università Statale di Milano, scende dalle scale come una diva del grande cinema, ancheggia sinuosa sotto gli occhi del marito il Duca di Pontarcy, impersonato dall’attore di successo Cesare Biondolillo, elegante e signorile nella sua perfomance recitativa. Notevoli gli acuti del soprano Isadora Agrifoglio, e la possente voce del tenore Gianfranco Cerretto, nei panni di Ottavio. A Laura Geraci, Madame Morel, il regista affida un ruolo bizzarro e pittoresco. Bravi gli altri attori, Roberto Fabra, Alessio Scarlata, Micaela De Grandi, Vincenzo Favet, Luciano Falletta. L’organizzazione dietro le quinte di Bibi Augugliaro come sempre impeccabile. Pubblico delle grandi occasioni anche per gli spettacoli della fascia pomeridiana. Il siparietto gay fra Gaston e Sofia è da manuale, risate e puro divertimento. Si esce dal teatro con una sensazione di “sazietà” per usare un termine culinario. Intrisi e inebriati di grande spettacolo che solo l’operetta di alto livello può regalare. 40 date già chiuse lungo tutto lo stivale con giorni di permanenza a Torino, Roma e Bologna, alternando operette di pregio quali “Ballo al Savoy”, “La vedova allegra” e “La principessa della Czardas”. Non poteva iniziare meglio questa stagione Al Massimo di Palermo all’insegna del grande pubblico, (oltre 7000 abbonati) e di spettacoli di grande qualità.
In Evidenza
Quel male oscuro, malessere di vivere!

Non è forse casuale che, a distanza di un mese, il Teatro Biondo celebri due capolavori della letteratura del novecento. A dicembre, Alessandro Haber ha portato in scena il romanzo psicoanalitico di Italo Svevo, La coscienza di Zeno, in questo giorni, il regista Giuseppe Dipasquale, dirige una straordinaria compagnia di attori, capitanata da Alessio Vassallo, ne “Il male oscuro” di Giuseppe Berto. E’ proprio quest’ultimo, nella stesura del testo, dapprima rifiutato da più di un editore e poi pubblicato nel 1964 da Rizzoli, ispirò anche l’indimenticabile Mario Monicelli, che nel 1990, nel film omonimo, affidò il ruolo da protagonista a Giancarlo Giannini. Il male oscuro celebra l’antieroe sveviano, diviso tra senso del dovere e desideri frustrati.
I costumi di Dora Argento, le scene di Antonio Fiorentino (Dipasquale le definisce una sorta di placenta cerebrale, un luogo altro), i movimenti coreografici di Rebecca Murgi e le musiche di Germano Mazzocchetti fanno da corollario ad un affiatato gruppo di attori, Cesare Biondolillo, Lucia Fossi, Luca Iacono, Viviana Lombardo, Consuelo Lupo, Ginevra Pisani, che si muovono sul palco a piedi nudi, cambiando abiti e personaggi di continuo, avvitandosi intorno a storie di profonda natura psicologica, non abbandonando mai la scena. Il protagonista è Bepi, nei panni di un elegante Alessio Vassallo, che nel cinema come nella fiction televisiva, ma soprattutto in teatro, restituisce al pubblico una interpretazione magistrale. Quasi due ore ininterrotte di recitazione, senza un minimo cedimento, con una forza espressiva a metà tra il malinconico, vivendo la paura di avere un cancro, e l’euforia finale che passa ancora a malessere di vivere.
La psicoanalisi, per stessa ammissione dell’analista, un immenso Ninni Bruschetta, gli permettere di fare un viaggio, che ci richiama all’Interpretazione dei sogni, capolavoro del 1899 di Sigmund Freud. Dipasquale fa uno straordinario lavoro intellettuale sui personaggi, sospesi tra l’onirico e il reale, cercando di fare comprendere allo spettatore le patologie psichiche, attraverso l’utilizzo della narrazione, che diventa prezioso materiale affettivo e mentale, in risposta a quel super – io, più volte ricordato dagli attori, che la coscienza, a volte tende, ad occultare.
E’ affascinante la storia di questo scrittore di cui si ha l’impressione che la vita gli sfugga continuamente di mano, che non riesce a elaborare il lutto della perdita di un padre autoritario, che vive in bilico fra una moglie e un’amante troppo giovane; le loro storie scivolano nel grottesco, alimentando nel protagonista quel male oscuro, che è la depressione. Ecco dunque che il lettino diventa catarsi, medium di purificazione tra Es, Io e Super – Io. “Il teatro come specchio della natura”, lo afferma, attraverso questa opera, il regista, richiamandosi a Shakespeare.
Dopo Palermo, la tournee va in giro in Italia grazie alla co-produzione dei Teatri Biondo, Marche e Stabile di Catania.
- ph © rosellina garbo
In Evidenza
Teatro e donne: un progetto al femminile

Un’esperienza trasformativa per le partecipanti
Un percorso tra arte e solidarietà
Un successo che guarda al futuro
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Il racconto dell’ancella di Viola Graziosi e il distopico

Viola Graziosi è un’attrice immensa e quando si fa dirigere dal marito, il grande attore di teatro Graziano Piazza, lo diventa ancora di più, in una performance artistica che impegna voce e corpo in quasi due ore di spettacolo.
Margaret Atwood
Interpretare June Osborne, la protagonista del racconto della scrittrice canadese Margaret Atwood, “Il Racconto dell’ancella”, andata in scena al teatro Libero di Palermo, non è facile, anche perché il pubblico negli ultimi anni ha tributato un grande consenso al romanzo distopico del 1985, che ha venduto milioni di copie, adattato per il grande schermo nell’omonimo film diretto da Volker Schlöndorff e nel 2017 per la televisione.
The Handmaid’s Tale
Tutte le stagioni sono su Prime video sotto il titolo di The Handmaid’s Tale. Il suo ideatore Bruce Miller, forse non si aspettava tanto successo, grazie all’attrice protagonista Elisabeth Moss che interpreta June. Sono molto simili la Moss e la Graziosi, nel cinema la prima è dentro il regime teocratico totalitario di Gilead, catturata mentre tentava di fuggire in Canada con suo marito, Luke, e sua figlia, Hannah. Grazie alla sua fertilità, diventa una ancella del comandante Fred Waterford (da qui il nome Difred) e sua moglie, Serena Joy; l’altra Viola Graziosi, in Teatro, si immerge nel testo, tradotto da Camillo Pennati.
Viola Graziosi
Per lei tutto ha avuto inizio 5 anni su un input di Laura Palmieri di Radio 3 che le chiese di portare in scena questa incredibile storia, proprio il giorno della festa della donna. Il palco è come una sorta di anfiteatro dove tante paia di scarpe rosse, delimitano un semicerchio con al centro un abito rosso che ci richiama alle antiche vestali. Viola inizia il suo racconto illuminata soltanto da un occhio di bue che le delimita luci e ombre sul viso e sul corpo.
Un viaggio introspettivo
Lo spettatore vive una sorta di viaggio introspettivo amando il coraggio di una donna che diventa emblema anche di alcuni movimenti di protesta a sostegno dei diritti delle donne. “Nolite te bastardes carborundorum” e “Ci sono domande?” Sono due frasi ricorrenti nell’opera, spesso usate come motto di emancipazione femminile, ed è proprio il racconto di Viola Graziosi che spinge il pubblico quasi a una catarsi liberatoria in cui in scena, attraverso la parola, il corpo si svela non soltanto come mezzo di procreazione.
La repubblica di Gilead
Nel racconto dell’ancella in versione teatrale e televisiva lo spettatore è spinto a detestare i comandanti di una Repubblica, Gilead, dove le donne sono asservite a loro per scopi riproduttivi e dove quelle non fertili o troppo anziane sono dichiarate “Nondonne” e quindi eliminate.
Sorvegliate e divise in categorie secondo il colore dei vestiti: azzurro le Mogli; verde le Marte, le domestiche; marrone le Zie, sorveglianti; rosso le Ancelle, le uniche in grado di procreare. Nessuna può disobbedire, pena la morte o la deportazione. Non hanno bisogno di leggere, di scrivere, di pensare, di stancarsi troppo. Non vanno in giro da sole di modo che non possano essere importunate. Sono vestite di rosso con un cappuccetto bianco, in modo tale da non venir troppo viste e possono anche evitare di guardare, se non vogliono.
E’ un racconto immaginato in un futuro irreale e forse Viola Graziosi, con questa “opera magna” vuole farci comprendere come la donna sia ancora oggi discriminata da una becera cultura maschile che non si rassegna!
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