Come si può immaginare in chiave moderna un’opera letteraria, scritta in lingua siciliana nel 1916 dal grande Luigi Pirandello e farla diventare un vero e proprio catalizzatore di consensi e di pubblico? Se lo saranno chiesti più volte, adesso che gli spettacoli si sono conclusi, i due registi, Moni Ovadia e Mario Incudine: Forse non immaginavano tanto nella fase di stesura e rielaborazione di un testo, “Liolà”, nato a inizio secolo in una fase della vita dolorosa per l’autore agrigentino, con il figlio detenuto in un campo di prigionieri di guerra e la moglie in balia della malattia mentale. Eppure ci sarà stato un corto circuito emotivo che ha generato quest’opera, al punto che l’autore agrigentino scrisse “è così gioconda che non pare opera mia”. Probabilmente è la chiave di interpretazione di questo strabiliante spettacolo a metà tra la fiaba e il musical, che va soprattutto metabolizzato e sicuramente rivisto per apprezzarne nel dettaglio le sottili sfumature che la coppia consolidata, “Ovadia – Incudine”, ormai regala a un pubblico che si fa sempre più numeroso e di qualità. La più grande soddisfazione dell’intera compagnia è assistere a una media di 10 minuti di applausi finali che valgono più di cento critiche teatrali, da parte di pseudo intellettuali, ancorati a una drammaturgia ormai sepolta e tradizionale che negli ultimi dieci anni ha svuotato tutti quei teatri che promuovono stagioni di monologhi e barbosissime performance di attori spenti e monotoni. In questa versione di Liolà, c’è gioia, divertimento, spensieratezza, tante risate con lo scemo del paese “Pauluzzu, u fuoddi” interpretato da uno straordinario Paride Benassai che si è cucito addosso un ruolo non previsto da Pirandello, ma che sul palco dispensa perle di saggezza popolare, raccolte in tanti anni di dura gavetta teatrale. La sua maschera da “giano bifronte” lo fa sembrare un burattinaio che regge le fila dell’intero spettacolo, scandendo i tempi di entrata e uscita in scena. Nel finale è fantastico il suo discorso da solo con una gabbia d’uccelli vuota. Nel ruolo di Liolà, Mario Incudine è un pò guappo, un pò sborone, ma immensamente efficace e con un talento straordinario. E’ sempre lui, “Mimì” Modugno una delle sue grandi performance, che sa tenere il pubblico incollato alla sedia per oltre 2 ore, farlo ridere e riflettere sui mali del mondo e della famiglia. I suoi dialoghi più intensi con il “Maestro” Moni Ovadia che interpreta Zio Simone. Quest’ultimo apre lo spettacolo a sipario chiuso con la sua originale narrazione che incanta. E poi c’è Rori Quattrocchi nel ruolo di Zà Ninfa; se ne sta, con il suo fisico minuto, all’angolo della scena, come fanno le nonne a casa a osservare e controllare ogni situazione e intervenire sempre con proverbiale saggezza. Che dire della poliedrica Stefania Blandeburgo a Zà Croce, i suoi tacchetti si sentono anche in piccionaia; si muove buffa e spesso laterale, con la voce e l’atteggiamento da pettegola di paese; lei sa usare bene la sua grande bravura. Completano la scena Aurora Cimino, Graziana Lo Brutto, Chiara Seminara, Sabrina Sproviero. Le musiche originali di Incudine sono bellissime; ti catturano e ti fanno entrare in un mondo che non è antico ma moderno. Bravi i musicisti in scena Antonio Vasta alla fisarmonica, Antonio Putzu ai fiati e Manfredi Tumminello alla chitarra. Al loro esordio su una scena così importante i ragazzi del Ditirammu, quell’incredibile laboratorio diretto da Elisa Parrinello che sforna talenti meravigliosi per il teatro e il cinema. Sono sempre in scena; scandiscono il ritmo, accompagnano con i gesti e tutto il corpo ogni frammento del copione. Rappresentano il coro di contadini e popolani e sono: Noa Blasini, Chiara Bologna, Elvira Maria Camarrone, Valentina Corrao, Francesco Di Giuseppe, Bruno Carlo Di Vita, Mattia Carlo Di Vita, Noa Flandina, Alessandra Ponente, Alessia Quattrocchi, Rita Tolomeo, Pietro Tutone, Fabio Ustica. Sono molto belli e plastici i costumi di Elisa Savi. Lenti ma efficaci i movimenti scenici di Dario La Ferla, che firma anche le coreografie. Le luci di Franco Buzzanca, la direzione musicale di Antonio Vasta, mentre mentre l’aiuto regista è Alessandro Idonea, figlio d’arte del grande Gilberto.
La fotogallery di Rosellina Garbo
Il servizio video de Il Sicilia- Interviste di Rosa Guttilla
Cinema, la Regione presenta la guida alle location nell’Isola. Amata: «Investire in questo segmento produttivo»
È stata presentata questa mattina, nella sede Sicilia del Centro sperimentale di cinematografia ai Cantieri culturali della Zisa (Sala Bianca), a Palermo, la nuova “Location Guide” dell’assessorato regionale del Turismo, dello sport e dello spettacolo – Sicilia Film Commission, una mappa multimediale altamente professionale al servizio di tutte le produzioni cinematografiche che intendono investire nell’Isola.
A illustrare il nuovo strumento di promozione del territorio l’assessore regionale al Turismo, allo sport e allo spettacolo, Elvira Amata, e la presidente della Fondazione Centro sperimentale di cinematografia, Marta Donzelli, che hanno firmato anche il rinnovo della convenzione tra la Regione Siciliana e il Csc per il mantenimento della sede Sicilia della Scuola nazionale di Cinema per gli anni 2024-2025, cui fanno capo le attività didattiche legate ai bandi in corso di definizione.
«Abbiamo fatto un lavoro di squadra per ottenere due risultati – dichiara l’assessore Amata – fornire una guida multimediale delle location da offrire ai produttori cinematografici, realizzandola con il lavoro degli ex allievi. Programmazione, investimenti, formazione sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi, in particolare quello di offrire opportunità di crescita e di lavoro ai nostri giovani. Il cinema si interessa alla Sicilia perché la Sicilia è cinema, come diceva Leonardo Sciascia, è già un set all’aperto. La Regione ha interesse a implementare questo segmento produttivo, perché è naturale farlo e crediamo sia un’opportunità importante per creare sviluppo economico: abbiamo un ritorno immediato quando le produzioni arrivano in Sicilia, ma anche dopo, con l’indotto turistico, quando da tutto il mondo decidono di scegliere questi luoghi visti sullo schermo. Inoltre, è importante che le istituzioni collaborino per fornire sempre maggiori servizi alle produzioni».
Il progetto “Location Guide”, interamente realizzato dalla sede Sicilia del Centro sperimentale di cinematografia, ha visto il pieno coinvolgimento degli ex allievi e ha richiesto quasi un anno di riprese. La copia cartacea della mappa, pubblicata nel 2009, è adesso affiancata da una versione più evoluta, composta da foto e video ad altissima risoluzione. Un archivio multimediale imponente, che la Sicilia Film Commission potrà mettere a disposizione delle produzioni e più in generale di tutti gli operatori del settore audiovisivo interessati a scoprire le opportunità che l’Isola offre in termini di location cinematografiche, dai luoghi più noti e frequentati alle ambientazioni più insolite e fuori dall’ordinario.
In fase di programmazione delle riprese, un tavolo tecnico si è occupato del censimento delle aree, tenendo in massima considerazione quelle meno conosciute. La realizzazione della guida ha coinvolto tre troupe, composte da ex allievi, oggi tutti filmmaker professionisti, che hanno realizzato le riprese, anche avvalendosi di droni per la mappatura dall’alto, delle 350 location nelle 9 province.
«Questa terra è vocata al cinema – aggiunge Marta Donzelli – , proprio per questo è particolarmente interessante che la sede siciliana del Centro sperimentale abbia il genere del documentario al centro della sua attività, permettendo di osservare il mondo con occhi diversi. Grazie al supporto economico della Regione, abbiamo la possibilità di realizzare una programmazione a lungo termine. Come Centro sperimentale investiremo risorse e potenzieremo l’offerta formativa della scuola di Palermo, che è uno dei nostri fiori all’occhiello, perché c’è grandissima richiesta di giovani professionisti in questo settore da parte del mondo del lavoro».
All’incontro erano presenti anche il direttore della Sicilia Film Commission Nicola Tarantino, il direttore generale del Csc Monica Cipriani, la Head of studies del Csc per gli investimenti del Pnrr relativi alle sedi regionali Savina Neirotti, la direttrice artistica del Csc Sicilia Costanza Quatriglio e il direttore della sede regionale Ivan Scinardo.
FOTO di alcuni luoghi censiti a questo link. VIDEO Clicca qui per scaricare il promo della Location Guide.
Riprese della presentazione e interviste ad Amata e Donzelli sono disponibili a questo indirizzo.
In un mondo in guerra sappiate creare meraviglie e armonia. È l’ invito di Papa Francesco ai membri della Fondazione Ente dello spettacolo, incontrati nel 75° di attività. Don Davide Milani: “Dobbiamo tornare ad essere artigiani del buon cinema”.
Mons. Davide Milani (Presidente Fondazione Ente dello spettacolo)
«Soltanto le opere che sono riuscite a esprimere l’armonia umana, sia nella gioia, sia nel dolore, sono quelle che passano alla storia. Il vostro è un lavoro evangelico. E anche poetico, perché il cinema è poesia: dare vita è poetica» ha detto il Santo Padre
Lunedì 20 febbraio, la Fondazione Ente dello Spettacolo è stata ricevuta in udienza privata da Papa Francesco. Un appuntamento storico per la Fondazione, che corona un anno di celebrazioni per il 75° anniversario della sua istituzione volendo però guardare anche al futuro.
Servizio di: Paolo Fucili (TV 2000)
Fonte: Avvenire
Subito diretto: «Mi piace il lavoro che fate». Il discorso che aveva preparato lo porge a monsignor Davide Milani e va a braccio: «Il lavoro del cinema, dell’arte, della bellezza come grande espressione di Dio, ch e è sempre stata lasciata da parte, o almeno nell’angolo». Il Papa si rivolge ad attori e registi nella sala Clementina in Vaticano, ai membri della “Fondazione Ente dello spettacolo” (“Feds”, istituita nel 1947 e presieduta da monsignor Milani), che festeggia il 75° anniversario di fondazione. «Il cinema è poesia», dice loro. Poi tocca a bellezza e armonia. E agli applausi.
«I libri di teologia – spiega Francesco – parlano tanto del verum, della verità» e «parlano del bonum». Invece «del bello, della bellezza, non tanto». Come pure «la bellezza sembrava non c’entrasse nella riflessione teologico-pastorale». Ma proprio «quella bellezza ci salverà, come ha detto qualcuno. Quella bellezza che è l’armonia, opera dello Spirito Santo».
La sala è piena, più o meno duecento artisti il cui lavoro è dietro o davanti la macchina da presa. «L’opera dello Spirito è fare l’armonia nelle differenze, non annientare le differenze, non uniformarle, ma armonizzarle», allora «capiamo cosa sia la bellezza», continua il Papa. Bellezza che è «quell’opera dello Spirito Santo che fa armonia dei contrari, degli opposti, di tutto…». Cita la Pentecoste, Francesco: «Pensiamo a tutti che parlano, nessuno capisce cosa succeda, un disordine grande», ecco è «lo Spirito a fare un’armonia: tutto è differente, tutto sembra contraddittorio, ma l’armonia è superiore a tutto. E il vostro lavoro va sulla strada dell’armonia».
Così, «se vogliamo qualificare le grandi opere del cinema, possiamo dire che un buon motivo sono gli attori, sì – annota il Papa –, ma soltanto le opere che sono riuscite a esprimere l’armonia, umana, sia nella gioia, sia nel dolore, sono quelle che passano alla storia». Perciò Francesco li ringrazia, per il loro lavoro: «È un lavoro evangelico. Anche poetico, perché il cinema è poesia: dare vita è poetica». E vi «ringrazio tanto per il vostro cammino: andate avanti, dietro ai grandi. Voi, come italiani, avete una storia gloriosa su questo. Continuate».
Al Papa era venuto in mente il racconto della creazione e lo aveva citato nel suo discorso scritto: «Lo vediamo scorrere quasi come un film, dove Dio appare autore e al tempo stesso spettatore». Prima «inizia a comporre la sua opera allestendo ogni cosa: il cielo, la terra, gli astri, gli esseri viventi e infine l’uomo, una storia di coinvolgimento, di bellezza e di passione: di amore» Ma al termine «Dio compie un gesto sorprendente: diventa spettatore della sua opera, contempla quanto ha realizzato ed esprime il suo giudizio, “vide che era cosa buona”» e per «l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, la “recensione” è ancora più appassionata: “Era cosa molto buona”». Dunque «in questa pagina sacra, cari amici, registi, attori, donne e uomini che lavorate nel cinema, possiamo trovare anche il senso del vostro lavoro culturale», spiega Francesco. Cioè da una parte c’è l’azione creativa, dall’altra contemplare e valutare, quindi «mi pare che potete rispecchiarvi in questo meraviglioso affresco biblico, che ha affascinato tanti artisti».
E prima del discorso papale a braccio, monsignor Davide Milani aveva rivolto il saluto della Fondazione a Francesco: «La nostra missione è scorgere e diffondere gli echi e i riflessi della Parola e del Volto di Cristo, di cui è sempre più ricca la cinematografia contemporanea», aveva detto. E per riuscirci, bisogna saper «parlare un linguaggio nuovo», per questo la Fondazione ha da poco varato anche un nuovo hub editoriale digitale, che diventerà una vera e propria media company del racconto del cinema.
Un film che ha sicuramente riscosso molto successo è “The Greatest Showman” di Micheal Gracey.
Nonostante il grande consenso generale, per molti la pellicola presenta numerosi difetti, proprio da questo contrasto è sorta la curiosità di analizzare a distanza di cinque anni dall’uscita in sala, quest’opera filmica.
La regia di Micheal Gracey
Micheal Gracey con il suo film ha tutta l’intenzione di voler regalare un sogno a chi lo guarda. Forte del montaggio, a cura di Tom Cross (LaLaLand), che riuscì per la prima volta a fondere perfettamente il taglio cinematografico con quello del musical, Gracey riesce a conquistare il proprio pubblico.
The Greatest Showman è un musical originale ispirato alla vita di P.T. Barnum, interpretato da uno straordinario Hugh Kackman. Veste i panni di un visionario che creò dal nulla “Il più grande spettacolo del Mondo”. I critici la definirono come la celebrazione spettacolare della sua fervida immaginazione che affascinò il pubblico di tutto il mondo.
Il regista Gracey decise di puntare su un musical inedito, basandosi solo su informazioni storiche, riuscendo a delineare personaggi straordinari presi in prestito dalla storia. Tra essi, colui che spicca è senza ombra di dubbio il protagonista, P.T. Barnum, che unisce il fiuto degli affari, la intrepida voglia di rischiare e il desiderio di successo simili a Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street uniti a un animo buono, creativo, avventuroso, generoso e amorevole che ricorda quasi il fantomatico padre di Alice in Alice in the Wonderland.
La trama
Arricchimento della trama, che inciderà nella relazione tra pubblico e personaggi, sono le canzoni iniziali del musical che con estrema tecnica, estro creativo e fluidità narrano e approfondiscono tutti gli antecedenti per dare inizio alla trama. Infatti veniamo meravigliati da un montaggio fortemente emotivo e collegato alla perfezione alla parte puramente recitata.
Ma la particolarità più grande è che già dai primi dieci minuti lo spettatore avesse assistito a piccoli film di generi differenti: si rimane abbagliati subito da una performance artistica e circense che richiama il cabaret; successivamente si viene catapultati in una storia romantica che racchiude allo stesso tempo dettagli storici e installazioni fondamentali per lo sviluppo della trama.
Gracey riesce a darci tutte le informazioni sulla caratterizzazione dei personaggi in modo sempre implicito, facendoli muovere in uno spazio-tempo a volte surreale.
Il Cast
Lo spunto della trama è la sete di successo del protagonista che toglie i riflettori ai veri temi importanti che sorreggono la pellicola: l’inclusività, la sicurezza di sé, l’accettazione verso l’altro e la meraviglia della stranezza.
Coerente con il film è la scelta di dare volti nuovi ad attori già noti per ruoli totalmente differenti. La scelta di affidare il ruolo da protagonista a Hugh Jackman, spiazza lo spettatore; la star australiana nota soprattutto per l’interpretazione del mutante Wolverine nella saga cinematografica degli X-Men, in questo film gli è valsa nel 2018 la Candidatura come migliore attore agli oscar.
Zendaya, l’attrice californiana che ha appassionato una generazione di fanciulli con i suoi successi firmati Disney, e Zac Efron, anche lui attore californiano diventato noto grazie a Disney (High School Musical) e che successivamente ha riscosso successo con progetti firmati Warner Bros, mostrano aspetti inediti di performer eccezionali.
Nel cast anche una straordinaria Rebecca Ferguson, artista svedese conosciuta dal grande pubblico per gli indimenticabili Mission Impossible, stupisce e ammalia con una voce da “usignolo”.In conclusione Il film restituisce in tutta la sua bellezza il valore della purezza infantile, in linea perfettamente con la frase che antici pa di tioli di coda: “Arte più nobile è quella di rendere gli altri felici”