

Teatro
Neighbors
In scena Neighbors, unica tappa in Sicilia a Palermo al Teatro Mediterraneo occupato
Chissà perché all’uscita del Teatro Mediterraneo Occupato, in quel fatiscente scenario che è la Fiera del mediterraneo, dopo avere visto 90 minuti esatti, “Neighbors” con Irene Turri e Francesco Meola, mi è venuto in mente il romanzo di Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”. Immediatamente dopo ho legato e canticchiato nella mia testa la canzone di Antonello Venditti ”Questa insostenibile leggerezza dell’essere”. Poi ripensando alla traduzione letteraria di Neighbors – Cattivi vicini, ho rivisto in uno dei due protagonisti Francesco Meola, quell’innocente viso di Zac Efron, idolo delle teen agers, in Hight school musical, che nella pellicola di due anni fa, diretta da Nicholas Stoller, si diverte a sperimentare una molteplicità di ruoli. Ma Meola ovviamente è molto meno poliedrico della star di Hollyvood, a volte seduto, a volte disteso o quasi sempre in piedi su un divano schricchiolante rosso vermiglio, dialoga incessantemente con la sua vicina di casa Petra, nel volto della bravisssima Irene Turri. Veronese di nascita, New York è la sua residenza stabile. Si muovono leggeri in una scena povera, fatta di cartoni e libri vecchi e sgualciti, tipici di un disordine strutturale oltre che psicologico di chi sogna di emigrare e, quando lo fa, deve fare i conti con quell’economia domestica, richiamata spesso da Meola in scena. Viene in mente Kundera, quando nel suo romanzo ribalta il dualismo manicheo, mettendo al centro dell’esistenza la libertà. Verità e Senso in Kundera sono eterni e orientano l’uomo “nel mare della sensatezza”. Così sono Leonardo e Petra; lui ballerino contemporaneo, alle prese con le difficoltà della lingua inglese nell’affrontare i provini che spera gli possano cambiare la vita (il sogno americano) e lei è la sua vicina di casa; sceglie il soggiorno di lui come fissa dimora, anche per addormentarsi all’improvviso. La regia di questo spettacolo “leggero” è di Ilaria Ambrogi, romana d’origine, ma anche lei trapiantata a New York; al suo attivo numerose produzioni tra cinema, teatro e web series. I protagonisti di Neighbors hanno costantemente bisogno l‘uno dell’altra, e quando sembra che si stanno per innamorare c’è sempre un elemento di disturbo, che passa attraverso la narrazione delle rispettive esperienze, che li allontana. Ma come succede con il rocchetto è lei che torna quasi sempre sui suoi passi, quasi a cercare un ancoraggio in Francesco. Nel finale la scena della lite violenta è in assoluto la migliore in termini performanti. I due attori riescono a rapire lo spettatore come a inghiottirlo in quell’asciutto e polveroso pavimento in legno. Alla fine i due si addormentano, lei con la testa china sulle gambe di lui; sembrano quasi fratello e sorella. Colpiscono i repentini cambio d’abito minimalisti; Petra a volte è incredibilmente sexy con le calze a rete strappate ma indossate per l’intera performance. Non solo brava a recitare ma tutto il suo talento sonoro e acustico esce fuori nell’urlo alla vista di un topo nell’appartamento di Leo. Insomma la piece teatrale promossa da “La valigia rossa” e per la tappa palermitana ospitata dal TMO (Teatro Mediterraneo occupato), ha lasciato tutti soddisfatti con un senso di “leggerezza”.
Ivan Scinardo
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Quel male oscuro, malessere di vivere!

Non è forse casuale che, a distanza di un mese, il Teatro Biondo celebri due capolavori della letteratura del novecento. A dicembre, Alessandro Haber ha portato in scena il romanzo psicoanalitico di Italo Svevo, La coscienza di Zeno, in questo giorni, il regista Giuseppe Dipasquale, dirige una straordinaria compagnia di attori, capitanata da Alessio Vassallo, ne “Il male oscuro” di Giuseppe Berto. E’ proprio quest’ultimo, nella stesura del testo, dapprima rifiutato da più di un editore e poi pubblicato nel 1964 da Rizzoli, ispirò anche l’indimenticabile Mario Monicelli, che nel 1990, nel film omonimo, affidò il ruolo da protagonista a Giancarlo Giannini. Il male oscuro celebra l’antieroe sveviano, diviso tra senso del dovere e desideri frustrati.
I costumi di Dora Argento, le scene di Antonio Fiorentino (Dipasquale le definisce una sorta di placenta cerebrale, un luogo altro), i movimenti coreografici di Rebecca Murgi e le musiche di Germano Mazzocchetti fanno da corollario ad un affiatato gruppo di attori, Cesare Biondolillo, Lucia Fossi, Luca Iacono, Viviana Lombardo, Consuelo Lupo, Ginevra Pisani, che si muovono sul palco a piedi nudi, cambiando abiti e personaggi di continuo, avvitandosi intorno a storie di profonda natura psicologica, non abbandonando mai la scena. Il protagonista è Bepi, nei panni di un elegante Alessio Vassallo, che nel cinema come nella fiction televisiva, ma soprattutto in teatro, restituisce al pubblico una interpretazione magistrale. Quasi due ore ininterrotte di recitazione, senza un minimo cedimento, con una forza espressiva a metà tra il malinconico, vivendo la paura di avere un cancro, e l’euforia finale che passa ancora a malessere di vivere.
La psicoanalisi, per stessa ammissione dell’analista, un immenso Ninni Bruschetta, gli permettere di fare un viaggio, che ci richiama all’Interpretazione dei sogni, capolavoro del 1899 di Sigmund Freud. Dipasquale fa uno straordinario lavoro intellettuale sui personaggi, sospesi tra l’onirico e il reale, cercando di fare comprendere allo spettatore le patologie psichiche, attraverso l’utilizzo della narrazione, che diventa prezioso materiale affettivo e mentale, in risposta a quel super – io, più volte ricordato dagli attori, che la coscienza, a volte tende, ad occultare.
E’ affascinante la storia di questo scrittore di cui si ha l’impressione che la vita gli sfugga continuamente di mano, che non riesce a elaborare il lutto della perdita di un padre autoritario, che vive in bilico fra una moglie e un’amante troppo giovane; le loro storie scivolano nel grottesco, alimentando nel protagonista quel male oscuro, che è la depressione. Ecco dunque che il lettino diventa catarsi, medium di purificazione tra Es, Io e Super – Io. “Il teatro come specchio della natura”, lo afferma, attraverso questa opera, il regista, richiamandosi a Shakespeare.
Dopo Palermo, la tournee va in giro in Italia grazie alla co-produzione dei Teatri Biondo, Marche e Stabile di Catania.
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Il racconto dell’ancella di Viola Graziosi e il distopico

Viola Graziosi è un’attrice immensa e quando si fa dirigere dal marito, il grande attore di teatro Graziano Piazza, lo diventa ancora di più, in una performance artistica che impegna voce e corpo in quasi due ore di spettacolo.
Margaret Atwood
Interpretare June Osborne, la protagonista del racconto della scrittrice canadese Margaret Atwood, “Il Racconto dell’ancella”, andata in scena al teatro Libero di Palermo, non è facile, anche perché il pubblico negli ultimi anni ha tributato un grande consenso al romanzo distopico del 1985, che ha venduto milioni di copie, adattato per il grande schermo nell’omonimo film diretto da Volker Schlöndorff e nel 2017 per la televisione.
The Handmaid’s Tale
Tutte le stagioni sono su Prime video sotto il titolo di The Handmaid’s Tale. Il suo ideatore Bruce Miller, forse non si aspettava tanto successo, grazie all’attrice protagonista Elisabeth Moss che interpreta June. Sono molto simili la Moss e la Graziosi, nel cinema la prima è dentro il regime teocratico totalitario di Gilead, catturata mentre tentava di fuggire in Canada con suo marito, Luke, e sua figlia, Hannah. Grazie alla sua fertilità, diventa una ancella del comandante Fred Waterford (da qui il nome Difred) e sua moglie, Serena Joy; l’altra Viola Graziosi, in Teatro, si immerge nel testo, tradotto da Camillo Pennati.
Viola Graziosi
Per lei tutto ha avuto inizio 5 anni su un input di Laura Palmieri di Radio 3 che le chiese di portare in scena questa incredibile storia, proprio il giorno della festa della donna. Il palco è come una sorta di anfiteatro dove tante paia di scarpe rosse, delimitano un semicerchio con al centro un abito rosso che ci richiama alle antiche vestali. Viola inizia il suo racconto illuminata soltanto da un occhio di bue che le delimita luci e ombre sul viso e sul corpo.
Un viaggio introspettivo
Lo spettatore vive una sorta di viaggio introspettivo amando il coraggio di una donna che diventa emblema anche di alcuni movimenti di protesta a sostegno dei diritti delle donne. “Nolite te bastardes carborundorum” e “Ci sono domande?” Sono due frasi ricorrenti nell’opera, spesso usate come motto di emancipazione femminile, ed è proprio il racconto di Viola Graziosi che spinge il pubblico quasi a una catarsi liberatoria in cui in scena, attraverso la parola, il corpo si svela non soltanto come mezzo di procreazione.
La repubblica di Gilead
Nel racconto dell’ancella in versione teatrale e televisiva lo spettatore è spinto a detestare i comandanti di una Repubblica, Gilead, dove le donne sono asservite a loro per scopi riproduttivi e dove quelle non fertili o troppo anziane sono dichiarate “Nondonne” e quindi eliminate.
Sorvegliate e divise in categorie secondo il colore dei vestiti: azzurro le Mogli; verde le Marte, le domestiche; marrone le Zie, sorveglianti; rosso le Ancelle, le uniche in grado di procreare. Nessuna può disobbedire, pena la morte o la deportazione. Non hanno bisogno di leggere, di scrivere, di pensare, di stancarsi troppo. Non vanno in giro da sole di modo che non possano essere importunate. Sono vestite di rosso con un cappuccetto bianco, in modo tale da non venir troppo viste e possono anche evitare di guardare, se non vogliono.
E’ un racconto immaginato in un futuro irreale e forse Viola Graziosi, con questa “opera magna” vuole farci comprendere come la donna sia ancora oggi discriminata da una becera cultura maschile che non si rassegna!
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