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Cinema

Volker Schlöndorff: “Il Bif&est come la Cannes degli anni d’oro”

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Bari: Ultima Masterclass del Bif&st 2017 al Teatro Petruzzelli in compagnia di Volker Schlöndorff che ieri sera ha ricevuto sullo stesso palco il Federico Fellini Platinum Award. Prima dell’incontro moderato dal critico Enrico Magrelli, l’ultima opera del regista tedesco, “Return to Montauk”, proiettata per la prima volta in pubblico dopo l’anteprima al Festival di Berlino.

“Nel 1966 ero a Cannes con il mio primo film, ‘I turbamenti del giovane Törless’ e conobbi tra gli altri Roman Polanski, Andrzej Wajda ma anche registi brasiliani e argentini, c’era un’atmosfera fantastica, ci sentivamo tutti una grande famiglia. La stessa atmosfera che ho ritrovato qui al Bif&st.”

È iniziata con un omaggio alla kermesse barese, l’ultima Masterclass del Bif&st 2017, con Volker Schlöndorff sul palco del Teatro Petruzzelli al termine dell’applaudita proiezione del suo ultimo film, “Return to Montauk” (“Se è andato bene qui a Bari vorrà dire che piacerà dappertutto”, ha predetto l’autore).

Il film è tratto da un romanzo di Max Frisch e la letteratura è alla base della maggior parte della filmografia del regista. “Non so perché, forse perché da ragazzino andavo poco al cinema e la letteratura era la mia finestra sul mondo. Ma c’è anche un altro fatto: gli scrittori hanno in comune l’abitudine a combinare il mondo reale con un mondo di fantasia e di finzione, per cui le situazioni che vivono e le persone che incontrano vengono poi sublimati nell’immaginario della letteratura. È la stessa cosa che facciamo noi registi, talvolta arrivando a fare confusione, riscrivendo più volte le sceneggiature quando non funzionano e così tradendo sempre di più le fonti reali, quando invece nella vita le cose non si possono cambiare, accadono una volta sola. Io stesso vivo tra sogno e realtà e a volte non capisco dove sono”.

Sulle sue fonti letterarie, Schlöndorff ha ammesso che, dopo il successo del suo primo film “ho avuto maggiore fiducia dai produttori portando sullo schermo i romanzi e, in effetti, ho più o meno fallito ogni volta che ho parlato di me stesso, così sono diventato prigioniero degli adattamenti. Forse avrei dovuto essere autobiografico già dal mio primo film, ma allora avevo già 25 anni, dovevo esordire per forza altrimenti poi sarebbe stato troppo tardi ed ero talmente ambizioso da essere concentrato più sul cinema che sulla mia vita. Mi resta il rimpianto, che se invece che un film da un romanzo di Musil avessi fatto un film autobiografico, ne sarebbe uscita un’opera più interessante.”

Anche il film forse più famoso del regista, con il quale ha vinto tra gli altri il Premio Oscar e la Palma d’Oro a Cannes, era tratto da un romanzo: “Il tamburo di latta” di Günter Grass. “Tutti mi dicevano che avrei dovuto portarlo io sullo schermo ma io non ero per niente convinto, non volevo affrontare quel mondo grottesco, esagerato, lontano dal realismo che c’era nel romanzo. Quando poi decisi di accettare, mi posi il problema del protagonista che era un nano e che non riuscivo a trovare, dopo aver interpellato diversi circhi in Europa. Poi il mio amico Bertrand Tavernier mi disse che il pubblico avrebbe avuto difficoltà a identificarsi con un nano e lì ebbi l’illuminazione: utilizzare un ragazzino anziché un nano. Trovai così un dodicenne che però aveva un fisico di un bambino di quattro o cinque anni e capii che poteva diventare l’anima del film. Comprendendo anche che potevo raccontare quella storia.

Tutt’altro accadde con la riduzione di “Un amore di Swann”, parte di “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust. “Operazione complicata e sbagliata, non ho problemi ad ammetterlo. Ci avevano già provato prima di me Luchino Visconti e Joseph Losey con una sceneggiatura di Harold Pinter. Intanto il tempo passava e la produttrice smaniava perché da lì a un anno i diritti del romanzo sarebbero diventati di dominio pubblico. E per ottenere i finanziamenti fu messo insieme un cast che comprendeva Jeremy Irons, lui bravissimo, Alain Delon che si rivelò invece un disastro, quantomeno nel suo ruolo e Ornella Muti. Finì che tra gli attori non c’era alcuna alchimia. Avrei dovuto abbandonare il progetto per tempo, ascoltando i consigli di chi diceva che un film da Proust era un’impresa impossibile. Nell’insieme, quindi, il film non funzionò anche se c’erano alcuni momenti tra i migliori di tutto il mio cinema.”

Tornando a rievocare i suoi inizi e ai suoi approcci al cinema, Schlöndorff ha ricordato come ad appena 16 anni fu inviato a Parigi per studiare francese in un Collegio dei Gesuiti. Avrebbe dovuto rimanerci per due mesi, ci è rimasto 10 anni: “Non in Collegio, però! A 19 anni con Tavernier capimmo che volevamo fare cinema, ci nutrivamo di classici alla Cinémathèque française, frequentavamo Chabrol, Godard, Truffaut, poi ho cominciato a fare l’assistente per Louis Malle, Jean-Pierre Melville e Alain Resnais. La vera rivoluzione non è stata quella del ’68 ma quella che parte dal ’59 in Francia, con Brigitte Bardot, poi la fine del colonialismo, poi ancora i Beatles e i Rolling Stones e un’intera generazione che capì che voleva esprimersi in maniera diversa da quella dei genitori, volevamo partire dalla nostra visione della vita.”

A proposito dei Rolling Stones, Enrico Magrelli ha chiesto a Schlöndorff della sua collaborazione con Brian Jones, il chitarrista poi scomparso tragicamente ma che fu autore delle musiche del secondo film del regista, “Vivi ma non uccidere”. “Per questo film, il primo da una storia originale, volevo un cast non convenzionale e quindi scelsi come protagonista la modella Anita Pallenberg che all’epoca era la compagna di Brian Jones, con il quale venne a Monaco e che mi propose subito di fare la colonna sonora del film. Era già confuso, drogato, e infatti la musica non venne fuori un granché. Poi una mattina a Cannes andai a trovare Anita Pallenberg nella sua camera d’albergo e la ritrovai a letto con Keith Richards!”

Tra i tanti, importanti incontri di Volker Schlöndorff anche Billy Wilder (“ho girato un documentario su di lui, mi ha insegnato che una storia deve essere semplice raccontata in un contesto semplice”).

In conclusione della Masterclass, ad uno spettatore che gli ha chiesto un consiglio su come approcciare il lavoro di regista ha risposto: “Senza avere mai nostalgia per il cinema del passato. Oggi viviamo in un’altra epoca e con la tecnologia che abbiamo a disposizione sarebbe meglio, piuttosto che rievocare il passato, inventare le forme narrative del futuro.” (Fonte Bifest)

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Ecco tutti i vincitori dei David di Donatello

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Le otto montagne di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch è il miglior film della 68° edizione dei Premi David di Donatello. «Un viaggio incredibile. Perché due belgi fanno un film italiano in italiano sulle Alpi? Una storia e un libro incredibile», ha detto il regista dal palco degli studi Cinecittà Lumina. Ad annunciare il vincitore della statuetta più ambita è stata Piera Detassis, presidente e direttrice artistica dell’Accademia del Cinema Italiano. In programma nella scaletta c’erano 25 premi divisi per varie categorie, senza contare i David alla Carriera a Marina Cicogna e i David Speciali consegnati a Isabella Rossellini e Enrico Vanzina. Carlo Conti ha aperto la cerimonia citando le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Il cinema è tutti noi».

Marco Bellocchio miglior regista per «Esterno notte»

A vincere il David di Donatello 2023 come miglior regista è Marco Bellocchio per Esterno Notte. «Non me lo aspettavo, però lo accetto. Quando si diventa vecchi non bisogna fermarsi», ha detto sul palco.

Barbara Ronchi e Fabrizio Gifuni migliori attori protagonisti

Il premio come migliore attrice protagonista è invece andato a Barbara Ronchi per Settembre, che ha battuto Margherita Buy per Effetto notte e Penelope Cruz con L’immensità. «Non so se ridere o piangere. Dedico il premio a due uomini che illuminano la mia vita, se brillo è grazie a loro: Alessandro e Giovanni, che è a casa. Amore, mamma ha vinto il David!», ha detto Ronchi. Miglior attore protagonista anche Fabrizio Gifuni per Esterno notte di Marco Bellocchio in cui interpreta Aldo Moro. «Ringrazio la mia lentezza e la mia fragilità in questi tempi così decadenti», ha affermato dagli studi Cinecittà Lumina.

Emanuela Fanelli miglior attrice non protagonista

Il David di Donatello 2023 per la miglior attrice non protagonista è andato a Emanuela Fanelli per il film Siccità di Paolo Virzì. L’attrice incredula è salita sul palco per i ringraziamenti di rito: «Grazie a Paolo perché mi ha guardato e in questa mestiere bellissimo bisogna essere visti. Non so come abbia fatto a vedere lo sketch in cui prendevo in giro la periferia romana». Classe 1986, romana e comica amatissima, Fanelli ha dedicato il premio alle «persone che amo: mamma e papà, mia sorella gli amici che stanno sul divano e hanno fatto le magliette Fanelli di Donatello. Sembro il prete di Viaggi di nozze, ora me ne vado». Poi la battuta: «Mi è sembrato di esordire in Champions League con voi, non so perché ho usato questa metafora visto che non capisco di calcio», ha detto l’attrice riferendosi alla semifinale disputata questa sera, mercoledì 10 maggio, tra Milan e Inter e conclusasi con la vittoria dei neroazzurri per 0 a 2. A vincere tra gli attori non protagonisti, anche Francesco Di Leva per il film Nostalgia di Mario Martone. «Non sapete ma qui ne state premiando due: non avrei vinto senza Pierfrancesco Favino», ha detto Di Leva.

Elodie vince il premio per la miglior canzone

La migliore canzone a vincere il David di Donatello 2023 è Proiettili (ti mangio il cuore) di Joan Thiele, Elisa Toffoli ed Emanuele Triglia, scritta e interpretata da Elodie e Joan Thiele. «Sono felice io non vinco mai», ha detto la cantante romana che è anche interprete nel film Ti mangio il cuore del regista Pippo Mezzapesa.

Migliore regista esordiente: Giulia Louise Steigerwalt

Giulia Louise Steigerwalt vince la statuetta per la migliore regista esordiente per il film Settembre con Barbara Ronchi, Fabrizio Bentivoglio e Thony.

Fotografia a Impens per «Le otto Montagne» e montaggio a Calvelli per «Esterno Notte»

Miglior direttore della fotografia Rubén Impens per Le otto montagne diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch. Mentre il David di Donatello per il miglior montaggio va a Francesca Calvelli per Esterno notte con la collaborazione di Claudio Misantoni.

«Il Cerchio» miglior documentario

Il premio per il miglior documentario va a Il cerchio di Sophie Chiarello: «Lo dedico ai bambini che possano trovare il loro cerchio che li accoglie», ha detto la regista.

Andò, Chitine e Gaudiosi la miglior sceneggiatura per «La stranezza»

La statuetta per la miglior sceneggiatura va a Roberto Andò con Ugo Chitine e Massimo Gaudioso per La Stranezza, film con Ficarra e Picone e Toni Servillo nei ruolo di Luigi Pirandello.

Premio per la scenografia e i costumi

Entrambi i David di Donatello vanno al film di Roberto Andò, La stranezza. In particolare, Giada Calabria per l’arredamento e Loredana Raffi. Mentre Maria Rita Barbera vince la statuetta per i migliori costumi.

Bollani miglior compositore e Iacoponi vince per il miglior trucco

Il David come miglior compositore è di Stefano Bollani per il film Il pataffio di Francesco Lagi. «La mia prima candidatura, entro nella famiglia del cinema», ha detto. Enrico Iacoponi vince, invece, il miglior trucco per la pellicola di Marco Bellocchio, Esterno Notte.

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Debutta in prima serata il film: “Favolacce”

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La grottesca meschinità degli adulti, egoisti e disattenti e la visione del mondo più ordinata e complessa dei loro figli: due mondi contigui destinati a incontrarsi solo in maniera deflagrante e terribile.

È il film “Favolacce”, di Damiano e Fabio D’Innocenzo, in onda lunedì 17 aprile 2023 alle 21.15 su Rai5. Nel cast Elio Germano, Tommaso Di Cola, Lino Musella, Ileana D’Ambra, Cristina Pellegrino, Giulia Melillo, Laura Borgioli, Enrico Pittari, Federico Majorana, Giulia Galiani.

In un comprensorio della periferia romana vivono diverse famiglie di estrazione popolare, legate fra loro anche dall’amicizia dei loro figli che frequentano la stessa scuola. Ma i rapporti fra gli adulti, al di là di una esile convenienza, sono intrisi di invidia e livore.

Favolacce e i ragazzi

Proprio a scuola i ragazzi apprendono come fabbricare una bomba artigianale, grazie a un insegnante che trasmette loro, involontariamente, le nozioni necessarie a mettere insieme l’ordigno. La reazione delle famiglie, pur stordite e disattente, provoca il licenziamento del docente che, prima di lasciare l’istituto, indurrà i suoi alunni a un’atroce vendetta.

Al Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2020, il film – prodotto da Pepito Produzioni, Rai Cinema, Vision Distribution, Amka Film Production, Qmi – ha vinto l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura.

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Massimo Troisi, dedicato all’attore

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La figura del grande attore e regista Massimo Troisi sarà celebrata durante la quarta edizione di Napoli Città Libro – Salone del Libro e dell’Editoria, in programma dal 13 al 16 aprile presso il Centro Congressi della Stazione Marittima di Napoli. Sarà presentato domenica 16 aprile, alle ore 15, il sesto volume di “Visioni di Cinema – Quaderni di Visioni Corte Film Festival”, dedicato a Massimo Troisi in occasione dell’anniversario dei 70 anni dalla nascita.

Il volume, curato dal giornalista Giuseppe Mallozzi, vuole essere una riflessione sul dualismo dell’essere umano, mostrando come possano coesistere coraggio e fragilitŕ. Un volume evidente nell’indecisione e nei mutamenti d’umore del protagonista, interpretato sempre da Troisi stesso. Centrale č anche l’amore, ad emergere le difficoltŕ nelle relazioni con donne emancipate, con personaggi chiamati a comportarsi in maniera contraria rispetto alle proprie convinzioni tradizionali. Massimo Troisi ha rivoluzionato il teatro e il cinema con la sua comicitŕ garbata che risalta nella mimica e nella gestualitŕ tipicamente napoletane, che sono diventate la sua maschera di attore. La sua maniera di parlare, spesso difficile da comprendere, č una peculiaritŕ inimitabile dei personaggi che interpretava. La modernitŕ del suo cinema č proprio nel proporre l’antieroe insicuro e complessato, con uno sguardo evasivo dovuto alla sua timidezza, ben visibile nel fiume di parole che fluisce per mascherarla goffamente.

Il sesto della serie di “Visioni di Cinema – Quaderni di Visioni Corte Film Festival” vuole essere un omaggio al grande attore e regista di San Giorgio a Cremano, in occasione dei settant’anni dalla nascita. Hanno partecipato con i loro scritti i critici cinematografici Ciro Borrelli, Gisella Calabrese, Gordiano Lupi, Domenico Palattella, Ignazio Senatore, approfondendo vari aspetti della sua carriera.

Il libro, edito da Ali Ribelli, è disponibile in tutti gli store online e nelle librerie.

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