

Teatro
La “Carmen” di José Perez
Sabato 15 luglio, alle ore 21.30, al Teatro Antico di Taormina va in scena il balletto Carmen, di e con José Perez, il celebre coreografo e ballerino cubano, che nella sua peculiare versione in danza propone una rilettura in chiave moderna del capolavoro operistico di Georges Bizet, tratto a sua volta dal racconto di Prosper Mérimée. La produzione vede la sinergica collaborazione del Teatro Massimo Bellini di Catania e dell’Asdc Futuro Danza Palermo, che ha portato alla costituzione di una giovane compagnia formata da tersicorei, la maggior parte siciliani, appositamente selezionati per l’occasione, contribuendo al loro avviamento alla carriera.. Lo spettacolo fa parte del circuito Anfiteatro Sicilia, promosso da Regione Siciliana – Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo e Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. José Perez, molto noto anche al pubblico televisivo per la partecipazione al programma “Amici di Maria De Filippi”, oltre a curare la coreografia rivestirà con il suo carisma il personaggio di Don José. Negli altri ruoli principali spiccano Chiara Amazio (Carmen), Paola De Filippis (Micaela), Marco Bozzato (Escamillo). L’Orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania sarà diretta dal maestro Stefano Salvatori. Le scene del raffinato allestimento sono curate da Raffaele Ajovalast, i costumi da Xanto Danza di Marcella Panico.
Sullo sviluppo del circuito regionale ha posto l’accento Anthony Barbagallo, Assessore regionale al Turismo, Sport e Spettacolo, intervenuto alla presentazione tenutasi nel foyer del Teatro Massimo Bellini, alla presenza dello stesso Perez e della Amazio, del sovrintendente Roberto Grossi e della presidente di Futuro Danza Palermo Simona Filippone: «La partecipazione del Teatro Massimo Bellini di Catania – è tra le più rilevanti all’interno della seconda e più ricca edizione di Anfiteatro Sicilia, che abbiamo lanciato con vivo successo la scorsa estate allo scopo di mettere in rete i millenari “teatri di pietra” e valorizzarli, da Taormina a Tindari, da Morgantina a Catania, nell’ottica di un generale incremento del turismo culturale. La scelta del Bellini di offrire una chance a tanti giovani ballerini, in prevalenza siciliani, rappresenta un valore aggiunto rispetto ad un prodotto prestigioso sul piano artistico e culturale, qual è Carmen, balletto costruito su un mito letterario e musicale di chiara matrice mediterranea. E se ad infiammare la cavea di Taormina è stata invitata un’étoile del calibro di José Perez, a fargli da corona saranno i talenti selezionati per dare nuova linfa alla danza non solo isolana».
Dato particolarmente significativo è appunto la giovane compagnia formata da tersicorei, la maggior parte siciliani, appositamente selezionati per l’occasione, contribuendo al loro avviamento alla carriera. Lo ha sottolineato in una nota Enzo Bianco, sindaco di Catania e presidente del Teatro «Per il secondo anno consecutivo il Teatro Massimo Bellini di Catania porta a Taormina una produzione impegnativa e di grande impatto, confermandosi istituzione artistica e culturale di eccellenza. Il Massimo catanese mette in scena il mito libertario di Carmen, che si fa danza grazie alla rivisitazione di una stella internazionale come José Perez, accanto al quale si esibirà una formazione di giovani danzatori che auspichiamo possano spiccare il volo e intraprendere, da qui in avanti, un felice percorso d’arte e lavoro. La collaborazione con Futuro Danza Palermo fa parte della recente strategia del Teatro Bellini, aperto alla collaborazione con i privati e alla realizzazione di nuove forme di produzioni artistiche».
Spiega Roberto Grossi, sovrintendente del Teatro Massimo Bellini di Catania «Dopo il successo della scorsa estate, ritorniamo nel suggestivo scenario del Teatro Antico di Taormina con un progetto inedito, che mira a valorizzare i giovani danzatori, e in particolare quelli siciliani. Abbiamo infatti creato, e in ciò consiste la novità, una compagnia che è frutto di una rigorosa selezione di freschi talenti, dando loro l’opportunità di esprimersi su un palcoscenico straordinario. Abbiamo portato avanti un’iniziativa coraggiosa nel segno di Tersicore, in un contesto nazionale in cui la danza, come del resto la cultura in generale, sta attraversando una grave crisi che ha di fatto decimato i corpi di ballo, ormai privilegio quasi esclusivo delle maggiori fondazioni liriche. Carmen nasce dunque con l’intento di dare un impulso innovativo, producendo spettacoli che possano favorire il rilancio di questa meravigliosa arte».
Sull’avviamento professionale si sofferma Simona Filippone, curatrice dello spettacolo e presidente dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Culturale Futuro Danza Palermo: «L’idea di creare una compagnia di giovani ballerini nasce dal desiderio di valorizzare le nuove leve siciliane, dando loro la possibilità di vivere una forte esperienza sul palcoscenico insieme a dei professionisti. Voler investire sul loro percorso professionale dando un’opportunità concreta di lavoro è l’altro motivo che mi ha spinta alla realizzazione di questo spettacolo. Un esempio calzante è la giovanissima Chiara Amazio, interprete del ruolo di Carmen, di origini catanesi, da poco laureatasi all’Accademia del Teatro alla Scala, al suo debutto in un contesto di questo spessore. Buona parte dei danzatori sono anch’essi siciliani».
Per José Perez si tratta di un gradito ritorno, che segna un rinnovato impegno: «Sono molto contento di collaborare con il Teatro Bellini di Catania, che ha appoggiato il progetto proposto da me e dall’associazione Futuro Danza Palermo. Conoscevo bene il teatro etneo, tra i più belli del mondo, sul cui palcoscenico ho avuto il piacere di danzare come étoile nel ruolo di Romeo e oggi, sapendo che in questo teatro non esiste più un corpo di ballo, ho pensato di portare a Taormina la mia “Carmen”, presentata nel 2015 al Teatro Romano di Benevento e già concepita per una cavea classica. Sono onorato e ringrazio la direzione del Massimo catanese per aver sostenuto e promosso la produzione».
Tra le numerose trasposizioni coreografiche di Carmen, firmate da maestri come Roland Petit o Mats Ek, quella riletta da Perez è un balletto in due atti che si pone come un ponte tra passato e presente, in cui è centrale il nodo dei sentimenti emotivi. L’ambientazione rimanda ad una Spagna esotica, specchio della tradizione popolare di una terra che fu crocevia di popoli e culture, proprio come la Sicilia. La piazza dove si svolge l’azione potrebbe trovarsi in qualunque luogo, Oriente o Occidente, con personaggi contemporanei. La lotta tra le sigaraie è simbolo di quella per il territorio che potrebbe essere in ogni dove, non ha una collocazione storica precisa. La stessa diversità tra i personaggi è riportata all’attualità, per essere poi superata in un concetto di abbattimento delle barriere sociali.
La struttura coreografica è arricchita di contrasti fra i festosi motivi zingareschi e l’incalzare drammatico dell’azione, con una costante “narratività” esplicitamente espressa e mai fine a sé stessa. Carmen si distingue come donna diversa, fuori dagli schemi precostituiti, molto sicura, che non teme confronti e vuole tutte le attenzioni su di sé. È sfrontata, non si lascia condizionare da nulla, sa di essere la più bella ed è ben consapevole del suo ascendente, né cede a compromessi, neanche quando va incontro al suo destino. Don José inizialmente non si concede, resta nella sua posizione di uomo autoritario, un soldato, determinato nella scelta di andare fino in fondo nel suo proposito: ammaliato dalla sua bellezza, vuole far valere sulla sigaraia la propria posizione, portando questo comportamento alle estreme conseguenze.
Con il suo fascino, Carmen dimostra di essere più forte del potere militare e la sua danza rappresenta la vittoria psicologica della donna e dell’amore senza regole sul soldato e sull’autorità. José si spoglia dei gradi di sergente per diventare un uomo del popolo, in una dimensione in cui le differenze sociali sono azzerate. Il suo sentire diventa quello di un uomo comune, che non può fare più affidamento sullo status di militare per dominare gli eventi e il cui dramma interiore nasce proprio dal confronto sul piano prettamente umano con Escamillo, toreador elegante e vittorioso nell’arena, che fa innamorare Carmen. Tuttavia, José, pur non indossando più la divisa, resta un animo austero, intrappolato in rigidi schemi, incapace di gestire il confronto con il rivale e con la libertà della gitana, che non è solo la libertà dalle catene della prigione, ma una libertà di spirito che destabilizza totalmente l’uomo-soldato, incapace di adeguarsi ad una vita in cui non sono più le sue armi a dettar legge. Dal conflitto interiore di José scaturisce la decisione di uccidere Carmen nella piena consapevolezza che, togliendole la vita, non sarà neanche più sua.
Biglietti disponibili sul circuito Box Office Sicilia: https://goo.gl/iRi1m
SCHEDE
José Perez, ballerino e coreografo
Conosciuto nel nostro Paese per la sua partecipazione al programma televisivo “Amici di Maria De Filippi”, José Perez è giunto in Italia dopo aver lavorato nelle più prestigiose compagnie di danza internazionali, tra Brasile, Gran Bretagna, Germania, Danimarca, Slovenia e Messico. Nato a L’Avana nel 1976, Jose inizia i suoi studi alla Scuola Nazionale “Alejo Carpentier”, dove si diploma nel 1996. Nello stesso anno viene invitato in Italia per partecipare al concorso “Giovani Talenti”, lo vince e viene scritturato dalla Compagnia del Teatro Nuovo di Torino. Dopo aver poi ballato per alcuni mesi con il Ballet Nacional de Cuba, decide di lasciare la sua terra per trasferirsi in Brasile, dove nel 1997 è indiscusso vincitore del primo premio al “Festival Internacional de Brasilia”. L’anno successivo si trasferisce in Germania, iniziando così la sua carriera di Primo Ballerino all’Opera di Dresda. Nel 2003 riceve il “Mary Wigman Price” come miglior ballerino dell’anno e viene invitato dal Teatro del Maggio Musicale Fiorentino in qualità di étoile ospite e in seguito entra a far parte dello Scottish Ballet. Nel marzo del 2004 viene invitato, per i suoi meriti artistici, alla trasmissione italiana “Amici di Maria De Filippi” e a Roma riceve il premio “Gino Tani” per le sue straordinarie doti di ballerino classico; nello stesso anno ritorna al Maggio Musicale Fiorentino. Dal 2005 porta la propria professionalità ed esperienza all’interno del programma “Amici di Maria De Filippi”, con l’intento di far conoscere al grande pubblico la danza, arte ancora poco ammirata e valorizzata sugli schermi televisivi. Nel 2006 è Primo Ballerino nell’Aida di Verdi al Teatro Sferisterio di Macerata, su coreografie di Gheorghe Iancu. Attualmente, oltre ai suoi impegni televisivi come giudice del talent show di La5 “Tra sogno e realtà”, prosegue in parallelo anche la sua carriera artistica teatrale, ballando nei maggiori contesti nazionali e internazionali. Nel 2015 ha interpretato Otello di Fabrizio Monteverde al Teatro San Carlo con Anbeta Toromani. Quest’anno si è impegnato ne Lo Schiaccianoci di Mario Piazza per il Balletto di Roma, nell’Otello sempre al Teatro San Carlo e in seguito nella Cenerentola di Fabrizio Monteverde al Teatro Massimo di Palermo. Dallo scorso settembre sta portando la sua Carmen in tournée in diversi teatri italiani e internazionali.
ASDC Futuro Danza Palermo di Simona Filippone
L’ASDC Futuro Danza Palermo, nella persona di Simona Filippone, ballerina del Teatro Massimo di Palermo, nasce nel 2013 con l’intento di diffondere la cultura della danza in tutte le sue forme per la valorizzazione dei talenti presenti in tutte le scuole di danza del territorio siciliano. Le attività consistono nella realizzazione di stage, laboratori coreografici, creazione di spettacoli, convegni e dibattiti per generare un momento di collaborazione, crescita e confronto tra le realtà culturali locali. S’intende divulgare la cultura della danza di qualità come accrescimento dei valori morali, artistici e culturali a scopo didattico e professionali. È necessario, infatti, che la formazione di un ballerino sia più completa possibile, per consentirgli di affacciarsi al mondo del lavoro con un bagaglio di conoscenze sostenuto, che nel tempo andrà comunque coltivato ed arricchito. Con il supporto di artisti di chiara fama nazionale ed internazionale, gli allievi potranno fare nuove e costruttive esperienze con l’augurio che possano in futuro realizzare i propri sogni. Oltre alla diffusione artistica e culturale dell a danza, l’Associazione tende a promuovere lo sviluppo turistico nei nostri luoghi per valorizzare al meglio le nostre ricchezze artistiche, monumentali e paesaggistiche, il cui valore inestimabile è riconosciuto in tutto il mondo. L’Associazione, infatti, ha in programma la realizzazione di una serie di spettacoli che avranno come scenario i migliori teatri presenti nel territorio siciliano.
In Evidenza
Teatro Biondo, la stagione 23/24, Radici

Il Ficus Magnolia è re della Sicilia ed emblema dell’anelito umano all’espansione del sapere, della ricerca di nuova conoscenza, della conquista della bellezza: ha radici profonde nella terra in cui germina, ne ha altre che escono dalla terra e creano arabeschi, ed altre ancora che si proiettano nell’aria per radicarsi più in là… ancora più in là. Così nutrito, l’albero diventa una cattedrale di bellezza. Siamo usciti dal tunnel dell’isolamento e della paura più insicuri: guerre, instabilità economica e allarme ambientale ci rendono fragili; perciò, più che mai ci interroghiamo sulla nostra identità.
L’albero
Come l’albero meraviglioso noi siamo ciò di cui ci siamo nutriti dalla nascita (radici profonde), ciò di cui abbiamo deciso di alimentarci in seguito (radici scelte), e ciò che vorremmo assimilare nel futuro, perciò lanciamo radici al vento per captare, per ricevere stimoli, per crescere. Il nostro lavoro in teatro continua in questa strada d’identità, di classici, di storie e artisti “nostri”, si arricchisce di letteratura e linguaggi di cui ci siamo innamorati, che ci hanno incantato; infine, gettiamo radici al vento per proporvi novità, curiosità, grafie ed espressioni nuove che chiedono di arricchire il nostro bagaglio culturale e il nostro pensiero, e di espandersi in tutti i terreni possibili. La stagione “Radici” offre un ventaglio di proposte per esplorare questi tre diversi sentieri e arrivare ai tre angoli della nostra identità… una Trinacria? Pamela Villoresi (direttrice artistica)
Cultura
“La vita è un sogno”, al Brancati di Catania

Originale spettacolo al “Brancati” con la Regia di Giuseppe Dipasquale
La vida es suono, y los suenos son. È questo il messaggio del capolavoro di Pedro Calderon de la Barca, filosofo e scrittore del Seicento, adattato per il palcoscenico dal regista Giuseppe Di pasquale e rappresentato nei giorni scorsi al teatro Brancati di Catania.
Basilio, monarca di una Polonia immaginaria, uomo di vasta erudizione, legge negli astri che il suo erede, in quanto di indole violenta e tirannica, avrebbe arrecato danni irreparabili allo Stato. Per evitare che ciò accadesse ha ordinato che il figlio, Sigismondo, venisse chiuso in una torre e isolato dal resto del mondo. Unico contatto consentito, quello con il suo precettore, Clotaldo.
Il destino del principe arriva a una svolta allorché il vecchio padre decide di fornirgli un’ultima possibilità di diventare re. Basilio ordina dunque che venga narcotizzato e condotto nella reggia. Appena sveglio, il giovane si dimostra basito per le riverenze che gli vengono riservate e comincia a chiedersi se si trova a vivere un sogno, o se invece si è appena destato da un sogno antecedente.
L’esperimento di Basilio, peraltro, non sembra poter dare i risultati sperati. Sigismondo conferma infatti la sua indole malvagia e la conseguente inidoneità al potere. Egli trova però il sostegno del popolo che lo impone al vertice dello Stato e in maniera del tutto inattesa avviene un cambiamento radicale nella persona, che scopre doti di mitezza e saggia determinazione.
In perfetta armonia con la formazione dello scrittore spagnolo, il progetto nasce da “simpatie” filosofiche, oltre che da precise scelte letterarie. La condizione di Sigismondo, isolato dal mondo e imprigionato in una torre inaccessibile, suggerisce suggestioni platoniche, anche se l’epicentro della Vita è un sogno non è la contrapposizione fra luce e ombra, come nel filosofo greco, ma fra realtà e apparenza, tema dal sapore molto più moderno.
Le domande che si pone Sigismondo sono peraltro quelle dell’autore. Come discernere la realtà dal vagheggiamento onirico, il vero dal falso?
E soprattutto l’intera vita dell’uomo è una realtà, oppure un sogno, contrapposto a una logica più ampia che conduce all’Eterno?
La trama, nel testo originale, così come nella riduzione teatrale di Dipasquale, che con una coraggiosa sforbiciata rinchiude tutto in due atti, (erano tre nell’ opera di Calderon de la Barca), ingloba toni tragici ( si sfiora il parricidio) e di vago sapore epico, e si arricchisce di vicende estranee al fil rouge dell’opera, (come il conflitto amore-odio di Rosaura e Astolfo), ma che creano una cornice guasconesca e di cortigianeria, che arricchisce il racconto con un po’ di suspense che non guasta.
Perfetti nei rispettivi ruoli Mariano (Basilio) e Ruben (Sigismondo) Rigillo (padre e figlio), Angelo Tosto (il precettore Clotaldo) e Alessandro D’Ambrosi (giullare) così come Filippo Brazzaventre, Federica Gurrieri, Valerio Santi e Silvia Siravo che completano il cast.
Meritorio l’impegno del regista, se non altro per avere ricreato sul palcoscenico il clima di una stagione rivoluzionaria del pensiero, e della conseguente crisi del vecchio dogmatismo. Un pensiero trasversale e transnazionale, che su diversi piani, vedeva impegnati filosofi e scrittori del livello di Cartesio, Shakespeare, Cervantes. E ovviamente Calderon de la Barca.
Al regista Dipasquale va riconosciuto il merito e il coraggio di cimentarsi con un testo molto impegnativo, in quanto metafora di sintesi ardite fra umano e divino, realtà e sogno, assoluto e relativo, che si aggrovigliano e confondono, rendendo il testo più adatto a menti filosofiche che a spettatori di media cultura.
Né giova alla linearità dello spettacolo lo stile baroccheggiante del testo, che, pur contribuendo a creare “atmosfera”, appesantisce la comunicazione e rischia di confondere.
Per alleggerire la grevità della pièce ci saremmo aspettati una scenografia più intrigante che andasse oltre le pur apprezzabili proiezioni sulla scena. Azzeccata, invece, l’idea di dare risalto alla figura del giullare (il bravo e convincente Alessandro D’Ambrosi), che con le sue uscite cialtronesche, ha offerto spunti di comicità molto apprezzati.
E’ un testo ancora attuale, quello di Calderon de la Barca? La risposta è univoca, ed è sì. Il messaggio dell’opera è politico, etico ed esistenziale a un tempo ed è universale. Esso si dipana lungo tutta l’opera, ma nell’adattamento di Dipasquale, con grande impatto scenico, esaltato dalla bellezza dei costumi, viene concentrato nelle ultime battute, quasi un testamento spirituale con cui, dopo avere sperimentato la metamorfosi che la politica produce nei confronti dell’individuo e avere folgorato con precisione chirurgica quel tanto di machiavellico che soggiace all’etica del potere, perviene a un’illuminante riflessione sull’importanza del sogno nella sua contrapposizione alla realtà, un’intuizione che anticipa di quasi duecento anni uno dei presupposti fondanti del pensiero romantico e che soprattutto si presta a richiamare a una dimensione più umana le scelte di vita dell’uomo moderno.
Alfio Chiarello
Cultura
“Il valore dell’utopia” Walter Veltroni al Politeama

“Il valore dell’utopia” Walter Veltroni affascina il pubblico del Teatro Politeama
Politico, giornalista, scrittore e regista, tanti ruoli nella vita, tutti realizzati appieno, un solo grande rammarico, non avere conosciuto suo padre Vittorio, primo direttore del TG1, prematuramente scomparso, a soli 38 anni, quando Walter aveva 1 anno.
Il teatro Politeama
Il teatro Politeama di Palermo, in passato, fu utilizzato fin dalle origini, anche per mettere in scena incontri di boxe e spettacoli circensi come quelli del Circo Togni e Orfei. Questo legame con il circo si può ammirare ancora dalla copertura del tetto, che ricorda proprio un tendone.
La grande cupola che sormonta il teatro, richiama proprio quel tendone di circo, che incantò gli occhi di Fellini bambino, luogo in cui i clowns trovano la loro ragione di esistere.
Una storia che molti non conoscono e che il commissario straordinario della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana, Nicola Tarantino, ha raccontato in macchina, durante il viaggio dall’aeroporto verso Palermo, a uno dei più arguti intellettuali del nostro tempo, Walter Veltroni.
Domeniche civiche
Invitato nell’ambito del progetto: “Domeniche Civiche, ideato dalla direttrice artistica della FOSS, la direttrice d’orchestra Gianna Fratta, Veltroni ha parlato a braccio per quasi un’ora. Non una riga di appunto, tanti gli argomenti e le riflessioni.
Il clowns
I riferimenti al cinema sono stati costanti, e a proposito di circo ha citato il film, girato da Federico Fellini nel 1970, “I Clowns”. La critica lo definì un volo in perenne sospensione tra finzione e realtà; un tentativo meraviglioso di raccontare il reale attraverso il filtro dell’autore.
Prima di approfondire il tema affidato, dopo avere fatto riferimento al cinema e al circo, Veltroni si è rivolto al Sovrintendente Giandomenico Vaccari.
“I nostri padri si sono conosciuti seppure nella loro breve vita spezzata, ha detto Veltroni, solo sul palco, sotto un occhio di bue che lo illumina in viso commosso.
L’ex sindaco di Roma era piccolissimo quando ha perso il padre e in qualche modo ha avuto occasione di conoscerlo dalla madre, Ivanka Kotnic, attraverso filmati di famiglia, i racconti di chi lo ha conosciuto e ha lavorato con lui e dalle teche Rai.
Papà Vittorio è stato cronista del servizio radiotelevisivo pubblico, stimato giornalista la cui capacità dialettica è arrivata in dono a Walter.
Giacomo Vaccari, invece rimase vittima di un grave incidente stradale a 32 anni. Era considerato come il più moderno e sensibile regista della televisione italiana.
Il racconto scorre fluido e Veltroni evidenzia il ruolo dei padri in quella difficile ricostruzione italiana del dopoguerra. Erano anni difficili di grande povertà ma dove si sognava la rinascita.
E qui scivola dentro il tema dell’utopia che serve a dare una speranza e un camino.
Quella stessa speranza che si trasformò in sogno in Martin Luter King con quel memorabile discorso che tenne il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington.
Il suo amore per il cinema, lo porta a citare la leggenda italiana, Totò, il principe Antonio De Curtis, che proprio al Politeama tenne il suo ultimo spettacolo. Cita anche il suo ultimo film “Totò a colori”, dove, la notizia non è certa, pare che per la troppa luce dei r iflettori, che richiedeva la pellicola a colori del tempo, divenne cieco.
Balarm Trio
Pubblico delle grandi occasioni ha tributato a Veltroni solenni applausi, lui commosso ringrazia e nell’imbarazzo se lasciare il palco o rimanere preferisce uscire sommessamente lasciando il posto ai musicisti del Balarm Trio, Giorgio Chinnici, viola – Giuseppe Mazzamuto, percussioni – Riccardo Scilipoti, pianoforte per un concerto che sapeva di amarcord e che sarebbe stato di grande efficacia se accompagnato dalle immagini
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