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Teatro

“L’altalena” di Martoglio, nell’allestimento di Guglielmo Ferro

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Cala il sipario sulla stagione di prosa “Turi Ferro” 2016/2017. Scroscianti applausi, ieri sera al Teatro ABC di Catania, per la messa in scena dell’ultimo spettacolo del cartellone organizzato da ABC Produzioni. L’istrionico Enrico Guarneri è tornato a confrontarsi con un grande classico di Nino Martoglio, ”L’altalena”, nel nuovo allestimento firmato da Guglielmo Ferro.

Il testo teatrale si colloca nella grande tradizione siciliana della ‘commedia tragicomica’. La trama, molto semplice, è la storia d’amore di Neli (Rosario Marco Amato) e della bella Aitina (Nadia De Luca), contesa dal ‘fratellastro’ di Neli, Mariddu (Emanuele Puglia). Una sorta di ‘sceneggiata’ drammatica stravolta, però, dalla presenza di due personaggi comici, al limite del grottesco, i due barbieri Nino e Pitirro, interpretati, rispettivamente, da Enrico Guarneri e Vincenzo Volo. Intorno a loro, con grande arguzia, Martoglio costruì una serie di situazioni esilaranti che ripropongono tipi e macchiette della Catania d’inizio secolo.

“Nino e Pitirro – spiega il regista Guglielmo Ferro – ormai due maschere del teatro comico siciliano, interpretano quella vena di follia che è presente in ogni siciliano. Rappresentano la capacità di virare in risata anche la più grande tragedia; capacità specifica di noi isolani, per cui dramma e farsa convivono come due facce della stessa medaglia”.

“L’altalena” (o “Voculanzicula”, in catanese) andò in scena per la prima volta interpretata da Giovanni Grasso, nel 1912. Fu uno dei cavalli di battaglia di Turi Ferro, che, con il suo genio interpretativo e drammaturgico, cambiò il modo di intendere la comicità.

“Ecco – continua il regista – il nostro vuole essere un omaggio a quell’incredibile ed irripetibile attore che era Turi Ferro. Un omaggio rispettoso e propositivo che vuole confermare le nostre radici e guardare al futuro. Enrico Guarneri, attore ormai consacrato al successo, è l’interprete ideale per quest’operazione. Enrico rappresenta non solo la grande tradizione, di cui si è nutrito, ma anche il mondo contemporaneo, di cui è interprete esemplare”.

Il cast completo de “L’altalena” vede in scena Enrico Guarneri (Nino), Rosario Marco Amato (Neli), Vincenzo Volo (Pitirro), Nadia De Luca (Aitina), Emanuele Puglia (Mariddu), Vitalba Andrea (‘Za Sara), Francesca Ferro (canzonettista), Pietra Barbaro (Don Anselmo), Mirella Petralia (Donna Flavia) e Giovanni Fontanarosa (avventore). Le scene sono di Salvo Manciagli, i costumi di Dora Argento.

Quattro le repliche in programma al Teatro ABC di via Mascagni a Catania: venerdì 5 maggio (ore 21), sabato 6 (ore 17.30 e 21) e domenica 7 (ore 18). (Fonte Videobank)

 

 

In Evidenza

Teatro Biondo, la stagione 23/24, Radici

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Il Ficus Magnolia è re della Sicilia ed emblema dell’anelito umano all’espansione del sapere, della ricerca di nuova conoscenza, della conquista della bellezza: ha radici profonde nella terra in cui germina, ne ha altre che escono dalla terra e creano arabeschi, ed altre ancora che si proiettano nell’aria per radicarsi più in là… ancora più in là. Così nutrito, l’albero diventa una cattedrale di bellezza. Siamo usciti dal tunnel dell’isolamento e della paura più insicuri: guerre, instabilità economica e allarme ambientale ci rendono fragili; perciò, più che mai ci interroghiamo sulla nostra identità.

L’albero

Come l’albero meraviglioso noi siamo ciò di cui ci siamo nutriti dalla nascita (radici profonde), ciò di cui abbiamo deciso di alimentarci in seguito (radici scelte), e ciò che vorremmo assimilare nel futuro, perciò lanciamo radici al vento per captare, per ricevere stimoli, per crescere. Il nostro lavoro in teatro continua in questa strada d’identità, di classici, di storie e artisti “nostri”, si arricchisce di letteratura e linguaggi di cui ci siamo innamorati, che ci hanno incantato; infine, gettiamo radici al vento per proporvi novità, curiosità, grafie ed espressioni nuove che chiedono di arricchire il nostro bagaglio culturale e il nostro pensiero, e di espandersi in tutti i terreni possibili. La stagione “Radici” offre un ventaglio di proposte per esplorare questi tre diversi sentieri e arrivare ai tre angoli della nostra identità… una Trinacria? Pamela Villoresi (direttrice artistica)

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Cultura

“La vita è un sogno”, al Brancati di Catania

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Originale spettacolo al “Brancati” con la Regia di Giuseppe Dipasquale

La vida es suono, y los suenos son. È questo il messaggio del capolavoro di Pedro Calderon de la Barca, filosofo e scrittore del Seicento, adattato per il palcoscenico dal regista Giuseppe Di pasquale e rappresentato nei giorni scorsi al teatro Brancati di Catania.

Basilio, monarca di una Polonia immaginaria, uomo di vasta erudizione, legge negli astri che il suo erede, in quanto di indole violenta e tirannica, avrebbe arrecato danni irreparabili allo Stato. Per evitare che ciò accadesse ha ordinato che il figlio, Sigismondo, venisse chiuso in una torre e isolato dal resto del mondo. Unico contatto consentito, quello con il suo precettore, Clotaldo.

Il destino del principe arriva a una svolta allorché il vecchio padre decide di fornirgli un’ultima possibilità di diventare re. Basilio ordina dunque che venga narcotizzato e condotto nella reggia. Appena sveglio, il giovane si dimostra basito per le riverenze che gli vengono riservate e comincia a chiedersi se si trova a vivere un sogno, o se invece  si è  appena destato da un sogno antecedente.

L’esperimento di Basilio, peraltro, non sembra poter dare i risultati sperati. Sigismondo conferma infatti la sua indole malvagia e la conseguente inidoneità al potere. Egli trova però il sostegno del popolo che lo impone al vertice dello Stato e in maniera del tutto inattesa avviene un cambiamento radicale nella persona, che scopre doti di mitezza e saggia determinazione.

In perfetta armonia con la formazione dello scrittore spagnolo, il progetto nasce da “simpatie” filosofiche, oltre che da precise scelte letterarie. La condizione di Sigismondo, isolato dal mondo e imprigionato in una torre inaccessibile, suggerisce suggestioni platoniche, anche se l’epicentro della Vita è un sogno non è la contrapposizione fra luce e ombra, come nel filosofo greco, ma fra realtà e apparenza, tema dal sapore molto più moderno.

Le domande che si pone Sigismondo sono peraltro quelle dell’autore. Come discernere la realtà dal vagheggiamento onirico, il vero dal falso?

E soprattutto  l’intera vita dell’uomo è una realtà, oppure un sogno, contrapposto a una logica più ampia che conduce all’Eterno?

La trama, nel testo originale, così come nella riduzione teatrale di Dipasquale, che con una coraggiosa sforbiciata rinchiude tutto in  due atti, (erano tre nell’ opera di Calderon de la Barca), ingloba toni tragici ( si sfiora il parricidio) e di vago sapore epico, e si arricchisce di vicende  estranee al fil rouge dell’opera, (come il conflitto amore-odio di Rosaura e Astolfo), ma che creano una cornice guasconesca e di cortigianeria, che arricchisce il racconto con un po’ di suspense che non guasta.

Perfetti nei rispettivi ruoli Mariano (Basilio) e Ruben (Sigismondo) Rigillo (padre e figlio), Angelo Tosto (il precettore Clotaldo) e Alessandro D’Ambrosi (giullare) così come Filippo Brazzaventre, Federica Gurrieri, Valerio Santi e Silvia Siravo che completano il cast.

Meritorio l’impegno del regista, se non altro per avere ricreato sul palcoscenico il clima di una stagione rivoluzionaria del pensiero,  e della conseguente crisi del vecchio dogmatismo. Un pensiero trasversale e transnazionale, che su diversi piani, vedeva impegnati filosofi e scrittori del livello di Cartesio, Shakespeare, Cervantes. E ovviamente Calderon de la Barca.

Al regista Dipasquale va riconosciuto il merito e il coraggio di cimentarsi con un testo molto impegnativo, in quanto metafora di sintesi ardite fra umano e divino, realtà e sogno, assoluto e relativo, che si aggrovigliano e confondono, rendendo il testo più adatto a menti filosofiche che a spettatori di media cultura.

Né giova alla linearità dello spettacolo lo stile baroccheggiante del testo,  che, pur contribuendo a creare “atmosfera”, appesantisce  la comunicazione e rischia di confondere.

Per alleggerire la grevità della pièce ci saremmo aspettati una scenografia più intrigante che andasse oltre le pur apprezzabili proiezioni sulla scena. Azzeccata, invece, l’idea di dare risalto alla figura del giullare (il bravo e convincente Alessandro D’Ambrosi), che con le sue uscite cialtronesche, ha offerto spunti di comicità molto apprezzati.

E’ un testo ancora attuale, quello di Calderon de la Barca? La risposta è univoca, ed è sì. Il messaggio dell’opera è politico, etico ed esistenziale a un tempo ed è universale. Esso si dipana lungo tutta l’opera, ma nell’adattamento di Dipasquale, con grande impatto scenico, esaltato dalla bellezza dei costumi, viene concentrato nelle ultime battute, quasi un testamento spirituale con cui, dopo avere sperimentato la metamorfosi che la politica produce nei confronti dell’individuo e avere folgorato con precisione chirurgica quel tanto di machiavellico che soggiace all’etica del potere, perviene a un’illuminante  riflessione sull’importanza del sogno nella sua contrapposizione alla realtà, un’intuizione che anticipa di quasi duecento anni uno dei presupposti fondanti del pensiero romantico e che soprattutto si presta a richiamare  a una dimensione più umana le scelte di vita dell’uomo moderno.

 Alfio Chiarello

 

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Cultura

“Il valore dell’utopia” Walter Veltroni al Politeama

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“Il valore dell’utopia” Walter Veltroni affascina il pubblico del Teatro Politeama

Politico, giornalista, scrittore e regista, tanti ruoli nella vita, tutti realizzati appieno, un solo grande rammarico, non avere conosciuto suo padre Vittorio, primo direttore del TG1, prematuramente scomparso, a soli 38 anni, quando Walter aveva 1 anno.

Il teatro Politeama

Il teatro Politeama di Palermo, in passato, fu utilizzato fin dalle origini, anche per mettere in scena incontri di boxe e spettacoli circensi come quelli del Circo Togni e Orfei. Questo legame con il circo si può ammirare ancora dalla copertura del tetto, che ricorda proprio un tendone.

La grande cupola che sormonta il teatro, richiama proprio quel tendone di circo, che incantò gli occhi di Fellini bambino, luogo in cui i clowns trovano la loro ragione di esistere.

Nicola Tarantino

Una storia che molti non conoscono e che il commissario straordinario della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana, Nicola Tarantino, ha raccontato in macchina, durante il viaggio dall’aeroporto verso Palermo, a uno dei più arguti intellettuali del nostro tempo, Walter Veltroni.

Domeniche civiche

Gianna Fratta

Invitato nell’ambito del progetto: “Domeniche Civiche, ideato dalla direttrice artistica della FOSS, la direttrice d’orchestra Gianna Fratta, Veltroni ha parlato a braccio per quasi un’ora. Non una riga di appunto, tanti gli argomenti e le riflessioni.

Il clowns

I riferimenti al cinema sono stati costanti, e a proposito di circo ha citato il film, girato da Federico Fellini nel 1970, “I Clowns”. La critica lo definì un volo in perenne sospensione tra finzione e realtà; un tentativo meraviglioso di raccontare il reale attraverso il filtro dell’autore.

Giandomenico Vaccari

Prima di approfondire il tema affidato, dopo avere fatto riferimento al cinema e al circo, Veltroni si è  rivolto al Sovrintendente Giandomenico Vaccari.

“I nostri padri si sono conosciuti seppure nella loro breve vita spezzata, ha detto Veltroni, solo sul palco, sotto un occhio di bue che lo illumina in viso commosso.

L’ex sindaco di Roma era piccolissimo quando ha perso il padre e in qualche modo ha avuto occasione di conoscerlo dalla madre, Ivanka Kotnic, attraverso filmati di famiglia, i racconti di chi lo ha conosciuto e ha lavorato con lui e dalle teche Rai.

Papà Vittorio è stato cronista del servizio radiotelevisivo pubblico, stimato giornalista la cui capacità dialettica è arrivata in dono a Walter.

Giacomo Vaccari, invece rimase vittima di un grave incidente stradale a 32 anni. Era considerato come il più moderno e sensibile regista della televisione italiana.

Walter Veltroni

Il racconto scorre fluido e Veltroni evidenzia il ruolo dei padri in quella difficile ricostruzione italiana del dopoguerra. Erano anni difficili di grande povertà ma dove si sognava la rinascita.

E qui scivola dentro il tema dell’utopia che serve a dare una speranza e un camino.

Quella stessa speranza che si trasformò in sogno in Martin Luter King con quel memorabile discorso che tenne il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington.

Il suo amore per il cinema, lo porta a citare la leggenda italiana,  Totò, il principe Antonio De Curtis,  che proprio al Politeama tenne il suo ultimo spettacolo. Cita anche il suo ultimo film Totò a colori”, dove, la notizia non è certa, pare che per la troppa luce dei r iflettori, che richiedeva la pellicola a colori del tempo, divenne cieco.

Balarm Trio

Pubblico delle grandi occasioni ha tributato a Veltroni solenni applausi, lui commosso ringrazia e nell’imbarazzo se lasciare il palco o rimanere preferisce uscire sommessamente lasciando il posto ai musicisti del Balarm Trio, Giorgio Chinnici, viola Giuseppe Mazzamuto, percussioniRiccardo Scilipoti, pianoforte per un concerto che sapeva di amarcord e che sarebbe stato di grande efficacia se accompagnato dalle immagini

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